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Associazione fra storia di diabete gestazionale e rischio cardiovascolare a lungo termine, in un ampio studio prospettico su donne statunitensi

A cura di Eugenio Alessi

13 novembre 2017 (Gruppo ComunicAzione) – Il diabete gestazionale (gestational diabetes mellitus, GDM), inteso come comparsa o diagnosi di un’alterazione del metabolismo del glucosio durante la gravidanza, è considerato dall’American Heart Association un fattore di rischio cardiovascolare nelle donne, in base a consistenti evidenze sulla sua associazione con i tradizionali fattori di rischio cardiovascolare, quali il diabete tipo 2 (DMT2), l’ipertensione, la dislipidemia, la disfunzione endoteliale e l’aterosclerosi. Studi retrospettivi hanno inoltre dimostrato una correlazione positiva fra GDM ed eventi cardiovascolari maggiori (infarto miocardico [IM], ictus). Mancano, però, valutazioni prospettiche a lungo termine, con adeguata correzione per i fattori di rischio più comuni e le abitudini legate allo stile di vita.

Obiettivo dello studio di Deirdre K. Tobias (Harvard Medical School, Boston, MA; USA) e coll. pubblicato su JAMA Internal Medicine (1) è stato, pertanto, di studiare in maniera prospettica e a lungo termine l’associazione della storia di GDM con gli eventi cardiovascolari maggiori nella ampia coorte di donne partecipanti al Nurses’ Health Study II, in cui sono state arruolate 116.430 donne di età compresa fra 24 e 44 anni. In questa analisi sono state incluse le donne che hanno riportato una gravidanza fra il 1989 e il 2001, escludendo coloro che avevano già una diagnosi di DMT2, malattia cardiovascolare o neoplasia prima della prima gravidanza. La storia di GDM è stata determinata sulla base di questionari biennali, con validazione tramite esame della relativa documentazione in un sottogruppo; l’outcome primario era composito (IM fatale e non fatale e ictus), valutato mediante questionari biennali fino al 2013, con i singoli eventi confermati dall’analisi della documentazione medica. L’hazard ratio (HR) è stato stimato mediante modelli di regressione multipla di Cox. Le donne incluse nell’analisi erano 89.479, con una prevalenza di GDM del 5,9%. Si sono verificati 1161 eventi cardiovascolari durante un follow-up mediano di 25,7 anni (1,1 eventi ogni 1000 persone-anno).

Le donne con storia di GDM presentavano un rischio di evento cardiovascolare aggiustato per età del 60% maggiore rispetto alle donne con almeno una gravidanza ma senza storia di GDM (HR: 1,60; IC 95%: 1,26-2,04; p <0,001) e la correlazione rimaneva positiva anche dopo aggiustamento per fattori di rischio tradizionali (HR: 1,43; IC 95%:1,12-1,81; p = 0,004), attenuandosi ulteriormente dopo aver corretto per fattori di rischio legati allo stile di vita, come l’incremento ponderale rispetto al peso pregravidico, il fumo, l’attività fisica e uno score nutrizionale (HR: 1,29; IC 95%: 1,01-1,65; p = 0,04). Considerando separatamente IM e ictus, la storia di GDM era associata, nel modello full-adjusted, con IM (HR: 1,45; p = 0,02), ma non con l’ictus e con la mortalità.

Il 19% delle donne con storia di GDM sviluppava il DMT2 durante il follow-up, contro il 4,8% delle donne senza storia di GDM. Nel modello full-adjusted le donne con GDM e successivo DMT2 e le donne con solo DMT2 presentavano un rischio di eventi cardiovascolari circa 3 volte maggiore rispetto alle donne senza alcuna forma di diabete (HR: 3,71, IC 95%: 1,79-7,67 e HR: 3,74, IC 95%: 1,85-7,53 rispettivamente).

Le donne con storia di GDM, ma senza progressione a DMT2, non presentavano all’analisi multivariata un eccesso di rischio statisticamente significativo (HR: 1,20, IC 95%: 0,91-1,58). Nel momento in cui si stratificava l’analisi per i fattori di rischio legati allo stile di vita, l’associazione tornava però significativa per le donne che soddisfacevano solo due o meno dei quattro parametri considerati (HR: 1,57, IC 95%: 1,19-2,05) e lo stesso avveniva quando si consideravano le donne sovrappeso o obese prima della gestazione (HR: 2,04, IC 95%: 1,23-3,38).

In conclusione, in questo studio prospettico su un’ampia popolazione di donne, una storia di GDM era associata con un incremento del rischio di eventi cardiovascolari, in particolare per IM, per quanto modesto in termini assoluti per il basso numero di eventi verificatisi, anche in virtù dell’età relativamente giovane delle partecipanti. L’associazione si attenuava sensibilmente fra le donne che non sviluppavano durante il follow-up il DMT2 e che mantenevano comportamenti salutari, fra cui una dieta sana, attività fisica, controllo del peso e astensione dal fumo, a conferma dell’importanza di un corretto stile di vita per la prevenzione primaria di eventi cardiovascolari in una popolazione a rischio più elevato.

Anche alla luce di questa evidenza assume rilievo lo studio recentemente pubblicato da Graziano Di Cianni (UOC Diabetologia e Malattie Metaboliche, PO ASL 6, Livorno) e coll. su Diabetes Research Clinical Practice (2), in cui sono stati valutati la frequenza e gli esiti dello screening per GDM in una popolazione di donne italiane che hanno partorito nel 2015 in Toscana.

In Italia vengono utilizzati per la diagnosi di GDM i criteri dell’International Association of Diabetes and Pregnancy Study Groups (IADPSG), revisionati negli Standard italiani per la cura del diabete mellito di AMD-SID del 2016 per quanto riguarda l’estensione dello screening, non ritenuto universale, ma per il quale è stata reintrodotta una selezione basata sui fattori di rischio (maggiori: obesità, pregresso GDM, glicemia plasmatica a digiuno 100-125 mg/dl; minori: familiarità di primo grado per DMT2, pregressa macrosomia, sovrappeso, età ≥35 anni, etnia ad elevato rischio). Tali criteri comportano una più elevata prevalenza rispetto ai criteri di Carpenter e Coustan utilizzati nello studio su descritto, anche se viene raccomandato uno screening selettivo, da cui sono escluse le donne a basso rischio.

Nella popolazione toscana in esame, le linee-guida regionali seguono quelle nazionali e quindi raccomandano un OGTT con 75 g di glucosio solo in presenza di fattori di rischio. In realtà, le raccomandazioni sulla selettività dello screening non erano sempre rispettate, per cui solo il 55,6% delle donne che eseguivano l’OGTT aveva i criteri per la prescrizione e solo il 40% delle donne che non lo eseguivano erano classificabili a basso rischio. La prevalenza generale di GDM era di circa l’11% e spicca il dato che la prevalenza di GDM nelle donne a basso rischio, che non avrebbero dovuto effettuare lo screening, era del 7%.

Potrebbe essere, quindi, opportuno riconsiderare lo screening universale, sia per identificare effettivamente tutti i casi di questa complicanza della gravidanza sia per individuare una popolazione di donne a rischio più elevato, in cui le opportune modifiche dello stile di vita potrebbero efficacemente prevenire lo sviluppo di DMT2 ed eventi cardiovascolari, pur tenendo conto del fatto che l’utilizzo di criteri diagnostici differenti determina la selezione di una popolazione di donne con caratteristiche differenti.


1) JAMA Intern Med. doi:10.1001/jamainternmed.2017.2790, Published online October 16, 2017

PubMed

2) Diabetes Res Clin Pract 2017;132:149-156

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