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Diabete.it

Biosimilari ma non ‘bio-identici’

Scaduti i brevetti, anche i farmaci biotecnologici possono avere dei concorrenti. Si chiamano biosimilari e sono una cosa diversa, sotto il profilo tecnico e legale, dai più noti ‘generici’. Per essere messi in commercio devono superare test più complessi per garantirne la bio-equivalenza. Intervista ad Alberto De Micheli

Intervista ad Alberto De Micheli

Diabetologo a Genova, già direttore di AMDcomunicAzione

Ci sono farmaci e farmaci. Alcune molecole sono così complesse da non poter essere realizzate con i tradizionali procedimenti chimici. Nel laboratorio di chimica di un buon liceo scientifico possiamo sintetizzare l’acido acetilsalicilico. Ma nemmeno nei laboratori di Harvard potrebbero creare l’insulina umana ad esempio o l’ormone della crescita. Soltanto gli organismi viventi sono in grado di riprodurre tale complessità.

In passato questi farmaci biologici erano estratti da animali, generalmente grandi mammiferi, che fungevano da ‘fabbriche’ di farmaci. La sostanza così prodotta veniva lavorata e pulita, ma il processo era lungo e costoso.

Intorno agli anni ’70 si scoprì come insegnare a dei batteri a produrre alcune di queste molecole. Nacquero così le biotecnologie. Le molecole così ottenute non solo possono essere simili a quelle prodotte dall’uomo: possono anche essere migliori. L’insulina umana ha un effetto immediato. Ma la persona che usa iniezioni per gestire il suo diabete ha bisogno anche di insuline ‘lente’ in modo che una singola iniezione mantenga il suo effetto per molte ore (o giorni). I batteri, debitamente istruiti, ora producono analoghi dell’insulina ‘ultralenti’. I farmaci biotecnologici così realizzati sono particolarmente costosi. Anche se i loro brevetti sono scaduti, fino a pochi anni fa nessuna azienda osava produrre una ‘copia’ di un farmaco biotecnologico. Oggi sei classi di farmaci biotecnologici (ultima arrivata l’insulina glargine) hanno delle alternative ‘bio-similari’. Per le persone con diabete che usano insulina ci sono quindi cose nuove da imparare. Alberto De Micheli, diabetologo già direttore di AMDcomunicAzione ha scritto per AMD Journal una breve revisione sul tema.

Possiamo definire i biosimlari come i generici dei farmaci biotecnologici?
È una definizione, mi perdoni, ‘giornalistica’. Può servire in prima approssimazione, ma la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità insiste nel tenere ben separate le due categorie che sono, infatti, trattate in modo molto diverso sia nella procedura di autorizzazione sia nelle norme che ne regolano la prescrizione e la sostituibilità. I ‘generici’ sono una cosa, i ‘biosimilari’ sono una cosa diversa.

Nei farmaci ‘classici’ la versione generica è praticamente identica a quella originale. I farmaci biosimilari sono proprio uguali uguali a quelli originari?
Sì e no. No, perché i biosimilari non potranno mai essere identici, ma appunto solo simili, agli originari, in quanto sono prodotti con processi diversi da quelli dei farmaci di riferimento, poiché i processi di manifattura sono coperti da brevetto.

Ma i biosimilari hanno lo stesso identico effetto del farmaco originario?
Sì, su questo aspetto l’attenzione degli enti regolatori è altissima. Per avere l’autorizzazione a mettere in commercio un biosimilare dell’insulina è necessario dimostrare, con studi ampi e controllati, che il suo effetto sulla glicemia è identico, momento per momento, a quello del farmaco originario. Inoltre bisogna dimostrare che le inevitabili differenze nel processo di produzione non portano effetti secondari o collaterali di alcun tipo. Su questo non si transige. L’‘onere della prova’, diciamo così, è molto più alto per chi chiede l’autorizzazione a produrre un biosimilare di quanto non lo sia per i generici, il che – sia detto fra parentesi – riduce il numero di potenziali concorrenti e, almeno all’inizio, non porterà la riduzione di prezzo che ci si potrebbe attendere. Dunque una riduzione di prezzo inferiore, in percentuale, a quella che vediamo nei ‘generici’ ma piuttosto rilevante, in cifre assolute, trattandosi comunque di categorie di farmaci più costosi.

Il farmaco originario e quello biosimilare possono essere sostituiti dal paziente o dal farmacista?
L’European Medicine Agency ha lasciato libere le autorità nazionali di decidere. In Italia la risposta è no. Il paziente e il farmacista (ospedaliero o privato) non possono modificare l’indicazione. Se sulla ricetta c’è scritto Lantus sarà il farmaco originario, se c’è scritto Glargine Lilly sarà quello biosimilare.

E il medico? Può passare da un medicinale all’altro nel corso della terapia o gli può esser chiesto di farlo?
La posizione dell’Aifa e delle Società scientifiche è, al momento, chiara: anche se la loro equivalenza è accertata, meglio non sostituire il farmaco in corso di terapia. Quindi chi è in terapia con il farmaco originario non si vedrà prescrivere da un momento all’altro quello biosimilare, a meno che non vi siano ragioni precise per farlo, e viceversa ovviamente. Invece si potrà decidere se iniziare la terapia con uno o con l’altro dei due farmaci, anche se il motivato invito del decisore è alla scelta del più economico.

E se la Regione lo imponesse?
Credo che il payor possa chiedere di iniziare tutte le nuove terapie con il farmaco biosimilare ma non che possa imporre ai medici una scelta terapeutica e, ancora di più, la modificazione di una terapia soddisfacente e adeguata in quel momento per quel paziente. Devo ammettere però che i nostri colleghi nefrologi che hanno un’esperienza di più lunga data con l’epoietina, che ha un biosimilare commercializzato da tempo, si stanno chiedendo se vi siano ragioni forti per opporsi al cambiamento in corso di terapia. Non possiamo tuttavia dimenticare che la ‘precisione’ richiesta all’insulina sulle oscillazioni quotidiane della glicemia è problema ben diverso da un effetto a lungo termine sui globuli rossi, misurabile nel corso dei mesi. Una risposta potrà venire da studi ‘sul campo’.