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Mortalità dopo intervento di CABG vs. PCI con stent: il ruolo rilevante del diabete

A cura di Eugenio Alessi

12 marzo 2018 (Gruppo ComunicAzione) – Se sia da preferire il bypass coronarico (coronary artery bypass graft surgery, CABG) o l’angioplastica coronarica (percutaneous coronary intervention, PCI) nei pazienti con malattia coronarica multivasale, in particolare nelle persone con diabete mellito (DM), è argomento molto dibattuto nella comunità cardiologica da oltre vent’anni, soprattutto dopo i progressi legati all’introduzione degli stent metallici e di quelli medicati.

Numerosi trial randomizzati hanno confrontato CABG e PCI con stent nel trattamento della stenosi dell’arteria coronaria sinistra o della malattia coronarica multivasale, ma nessuno di essi aveva l’adeguata potenza statistica per individuare una differenza significativa in termini di mortalità per tutte le cause. Per superare il limite della numerosità del campione, Stuart J. Head (Dept.of Cardiothoracic Surgery, Erasmus University Medical Center, Rotterdam, The Netherlands) e coll. (1) hanno condotto e recentemente pubblicato sulla rivista The Lancet una pooled analysis di dati individuali di pazienti reclutati in 11 trial randomizzati, selezionati mediante revisione sistematica della letteratura che individuasse studi che avessero valutato pazienti con malattia dell’arteria coronaria sinistra o coronaropatia multivasale, senza infarto miocardico acuto (IMA) in atto e che avessero un follow-up superiore a un anno dal giorno della procedura, con la mortalità per tutte le cause fra gli endpoint valutati.

L’endpoint primario dello studio è stato quindi la mortalità per tutte le cause, con analisi effettuata in tutta la popolazione in esame e, separatamente, nei pazienti con malattia dell’arteria coronaria sinistra e nei pazienti con malattia coronarica multivasale. Sono stati inoltre prespecificati sottogruppi di pazienti in base ad alcune caratteristiche al basale, quali età, sesso, BMI, ipertensione arteriosa, DM, ipercolesterolemia, vasculopatia periferica, pregresso IMA, frazione d’eiezione del ventricolo sinistro e SINTAX score (una misura della complessità della lesione). È stata stimata la mortalità per tutte le cause a 5 anni, usando l’analisi di Kaplan-Meier.

Negli 11 trial che hanno fornito i dati, 11518 pazienti sono stati randomizzati a CABG (n = 5765) o PCI (n = 5753). La PCI è stata effettuata con stent metallici in 1490 pazienti, con stent medicati di prima generazione in 2199 pazienti e di ultima generazione in 1920 pazienti. Durante un follow-up mediano di 3,8 anni sono deceduti 976 pazienti, il che ha conferito sufficiente potenza statistica all’analisi.

La mortalità per tutte le cause a 5 anni è stata significativamente più elevata dopo PCI (11,2%), che dopo CABG (9,2%), con HR: 1,20 (IC 95% 1,06-1,37) e p = 0,0038. Un modello tempo-dipendente ha mostrato che il rischio di mortalità era simile nei due gruppi durante il primo anno di follow-up, per poi divergere in favore di CABG dopo 1 anno. Il tipo di stent utilizzato nella PCI non interferiva con l’effetto del trattamento sull’endpoint primario, mentre l’unica fra le caratteristiche cliniche al basale che interferiva in maniera significativa era il DM (p interaction: 0,0077), tanto che erano solo i soggetti affetti da DM ad andare incontro a mortalità significativamente diversa fra le due procedure (15,7% dopo PCI vs. 10,7% dopo CABG, HR: 1,44, p = 0,0001).

Estremamente interessante l’analisi per sottogruppi, nella quale è emerso che nei pazienti con malattia dell’arteria coronaria sinistra non vi era differenza nella mortalità a 5 anni fra i due tipi di intervento (10,7% dopo PCI vs. 10,5% dopo CABG, p = 0,52), indipendentemente dalla presenza di DM, mentre nei pazienti con malattia coronarica multivasale la differenza era fortemente significativa (11,5% dopo PCI vs. 8,9% dopo CABG, p = 0,0019), ma ciò era valido solo nei soggetti con DM (15,5% dopo PCI vs. 10,0% dopo CABG, p = 0,0004), a differenza di quanto accadeva nei soggetti senza DM (8,7% dopo PCI vs. 8% dopo CABG, p = 0,49).

Gli autori concludono che il beneficio in termini di mortalità a 5 anni del CABG rispetto alla PCI è statisticamente significativo solo nei pazienti con malattia coronarica multivasale e DM e, in aggiunta a quanto già esposto, in tale categoria di pazienti anche il SYNTAX score ha un effetto significativo sulla differenza di mortalità fra le due procedure, con il beneficio correlato al CABG, che aumentava con l’aumentare della complessità della lesione. Non vi è stata, invece, alcuna differenza fra le due procedure in termini di mortalità a 5 anni nei pazienti con malattia dell’arteria coronaria sinistra e nei pazienti con malattia multivasale senza DM, indipendentemente dal SYNTAX score.

Lo studio presentava alcune limitazioni, segnalate dagli stessi autori, fra cui la principale è che i trial che hanno “fornito” la popolazione in esame presentavano criteri di inclusione ed esclusione tendenti necessariamente a selezionare solo i pazienti per cui la scelta fra CABG e PCI potesse essere considerata equivalente e quindi randomizzabile, il che ha portato ad includere pochi pazienti ad elevato SYNTAX score. Il follow-up, inoltre, tenendo conto dell’età media dei pazienti reclutati (64 anni circa), è relativamente corto.

Nel suo commento pubblicato nello stesso numero di The Lancet (2), Deepak L. Bhatt (Brigham and Women’s Hospital Heart and Vascular Center, Harvard Medical School, Boston, MA; USA) sottolinea che i risultati dello studio  – anche per il fatto di aver esaminato metodiche differenti di PCI coprendone la storia evolutiva – dimostrano in maniera definitiva che per i pazienti con malattia coronarica multivasale e DM, se clinicamente eleggibili a entrambe le procedure, il bypass coronarico è chiaramente la scelta da preferire. Non manca di rimarcare, però, che è necessario tenere conto anche delle altre comorbilità del paziente, delle sue preferenze, dell’età e che i risultati, ovviamente, non si applicano ai pazienti che si presentano con IMA, per cui il trattamento di elezione rimane la PCI.

Accanto al rischio di mortalità per tutte le cause, inoltre, altri fattori che impattano sulla qualità di vita devono influenzare la scelta del team di cura, come il rischio di ictus (maggiore con CABG), il rischio di nuova rivascolarizzazione (maggiore con PCI) e, in epoca di crescita esponenziale della spesa sanitaria, anche la costo-efficacia delle due procedure.


1) Lancet 2018 Feb 22. pii: S0140-6736(18)30423-9. doi: 10.1016/S0140-6736(18)30423-9. [Epub ahead of print]

PubMed

2) Lancet 2018 Feb 22. pii: S0140-6736(18)30424-0. doi: 10.1016/S0140-6736(18)30424-0. [Epub ahead of print]

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