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Dapagliflozin e diabete tipo 1: i risultati dello studio DEPICT-1

Highlights EASD 2017

A cura di Alessandra Clerico e Marcello Monesi

29 settembre 2017 (Gruppo ComunicAzione) – Il dapagliflozin, farmaco orale per il trattamento del diabete appartenente alla classe degli SGLT2 inibitori (SGLT2-I), è stato studiato come terapia di supporto nel diabete tipo 1 (DMT1) non adeguatamente controllato, determinando una riduzione dei livelli di HbA1c.

All’EASD 2017, nella sessione SGLT2 inhibitors: novel therapies for type 1 diabetes, il team di ricercatori guidati da Paresh Dandona, MD, PhD (Dept. of Medicine, State University of New York at Buffalo; USA), ha presentato i risultati dello studio DEPICT-1 (contemporaneamente pubblicati online su The Lancet Diabetes & Endocrinology): i due gruppi di trattamento previsti, 5 mg e 10 mg di dapagliflozin, in aggiunta alla terapia insulinica, hanno raggiunto l’endpoint primario in termini di riduzione dei livelli di HbA1c dopo 24 settimane (differenza in HbA1c dai valori di base alla 24a settimana: -0,42% per 5 mg vs. placebo, IC 95% da -0,56 a -0,28, p <0,0001; -0,45% per 10 mg vs. placebo, IC 95% da -0,58 a -0,31, p <0,0001). Inoltre, entrambi i dosaggi di dapagliflozin sono risultati associati a una significativa riduzione ponderale (5 mg vs. placebo: -2,96%, IC 95% da -3,63% a -2,28%, p <0,0001; 10 mg vs. placebo -3,72%, IC 95% da -4,38% a -3,05%, p <0,0001).

Il DEPICT-1 è il secondo studio, in un breve lasso di tempo, che ha dimostrato i vantaggi dell’utilizzo di un farmaco orale nel DMT1. Sempre all’EASD 2017, un gruppo di ricercatori ha infatti riportato analoghi risultati con sotagliflozin, un doppio inibitore SGLT1/2, sempre in una popolazione di pazienti affetti da DMT1. Allo stato attuale, però, nessun ipoglicemizzante orale è approvato per la terapia del DMT1.

Nell’articolo pubblicato dal gruppo di Dandona, si sottolinea come il controllo glicemico in quella popolazione di pazienti rimanga problematico nonostante le recenti acquisizioni in campo tecnologico, come ad esempio i sistemi per il monitoraggio continuo del glucosio, evidenziando così bisogni ancora non soddisfatti nel campo della terapia in add-on all’insulina.

“Idealmente” ha suggerito il team di Dandona, “questo tipo di terapia dovrebbe avere un meccanismo d’azione insulino-indipendente, essere sicura e, possibilmente, conferire benefici addizionali extraglicemici, come il miglioramento della pressione arteriosa e la riduzione ponderale, dato che ipertensione e sovrappeso presentano una incidenza in aumento anche nei soggetti con DMT1”.

Nell’editoriale che accompagna la pubblicazione della ricerca, John R. Petrie, MD (Institute of Cardiovascular and Medical Sciences, BHF Glasgow Cardiovascular Research Centre, University of Glasgow, UK), sottolinea come gli SGLT2-I non siano attualmente approvati per il trattamento del DMT1 in parte anche a causa dei precedenti riscontri di un aumentato rischio di chetoacidosi in corso di tale terapia.

Caratteristiche del DEPICT-1

Si tratta di uno studio multicentrico, randomizzato, controllato, in doppio cieco a tre bracci che ha coinvolto 143 centri in 17 paesi differenti.

Tra il novembre 2014 e l’aprile 2016 circa 780 pazienti adulti con DMT1 e HbA1c basale compresa tra il 7,7 e l’11,0% (media 8,53%, DS 0,67%) sono stati randomizzati 1:1:1 ai tre gruppi di trattamento (dapagliflozin 5 mg vs. dapagliflozin 10 mg vs. placebo).

Tra i criteri di esclusione vi erano: diabete tipo 2 o MODY, patologie pancreatiche, episodi di chetoacidosi o ricovero in ospedale per ipo- o iperglicemia nel mese precedente e interventi di chirurgia bariatrica nell’anno precedente l’arruolamento. L’analisi statistica ha stratificato i pazienti in base alla modalità di somministrazione dell’insulina e per l’utilizzo del monitoraggio in continuo del glucosio.

In un primo periodo di lead-in di 8 settimane i partecipanti hanno ricevuto una specifica educazione sulla dieta e sull’esercizio fisico ed è stato monitorato il dosaggio quotidiano di insulina. I soggetti venivano informati sulla necessità di ridurre del 20% (ma non oltre) il dosaggio insulinico complessivo per minimizzare il rischio di ipoglicemia e al contempo per evitare eccessive riduzioni “chetogeniche”, prima di titolare progressivamente verso i dosaggi insulinici precedenti.

Tra gli outcome secondari studiati, in entrambi i gruppi di trattamento con dapagliflozin si è registrata una significativa riduzione del dosaggio insulinico giornaliero alla 24a settimana (5 mg vs. placebo: -8,8%, IC 95% da -12,6% a -4,9%, p <0,0001; 10 mg vs. placebo: -13,2%, IC 95% da -16,8% a -9,4%, p <0,0001). Tali riduzioni si verificavano entro le prime 2 settimane dopo l’inizio della terapia e si mantenevano per la durata dello studio. Il gruppo di Dandona è stato favorevolmente colpito anche dal riscontro di un calo ponderale, non precedentemente dimostrato nell’analogo studio con sotagliflozin.

Un’analisi di sicurezza estesa anche a 55 partecipanti addizionali in terapia con dapagliflozin, esclusi dall’analisi degli outcome a causa di errori di randomizzazione, non ha riscontrato significative differenze rispetto a quanto osservato nel trattamento del diabete tipo 2. Il principale evento avverso era costituito da nasofaringite (14, 12 e 15% rispettivamente nel gruppo 5 mg, 10 mg e placebo), infezioni del tratto urinario (7, 4 e 5%), infezioni delle vie aeree superiori (5, 5 e 4%), cefalea (4, 6 e 4%). Le infezioni genitali risultavano maggiormente presenti nei gruppi in trattamento (12, 11 e 3%), analogamente a quanto osservato nei pazienti con diabete tipo 2.

La terapia con dapagliflozin non si è associata a nessun aumento del rischio per eventi avversi seri, comprese l’ipoglicemia comune (79, 79 e 80%) e grave (8, 6 e 7%).

Risultati analoghi sono stati osservati per i casi di chetoacidosi diabetica (1, 2 e 1%), in contrasto con quanto emerso dallo studio con sotagliflozin, in cui è emerso un incremento di tale rischio nel gruppo in trattamento.

I commenti

L’editoriale di Petrie evidenzia comunque che, nello studio DEPICT-1, la chetoacidosi può essere stata “più grave nel gruppo dapagliflozin 10 mg dal momento che tutti i 5 pazienti colpiti in questo gruppo hanno interrotto lo studio, a differenza di 1 interruzione su 4 casi nel gruppo dapagliflozin 5 mg e nessuna su 3 nel gruppo placebo”.

Julio Rosenstock, MD (University of Texas Southwestern Medical Center, Dallas; USA), non coinvolto nello studio, ha così commentato: “Credo che sia necessaria estrema cautela prima di affermare che dapagliflozin è sicuro e sotagliflozin no, in quanto si tratta di due studi differenti. Nello studio con dapagliflozin la maggior parte dei pazienti era in terapia multiniettiva, con migliore basalizzazione insulinica e conseguente minor rischio di chetoacidosi”. Rosenstock ha altresì sottolineato l’importanza di monitorizzare i livelli di beta-idrossibutirrato in pazienti con questo tipo di terapia per minimizzare il rischio di chetoacidosi.


Note
Questo studio è stato supportato da AstraZeneca e Bristol-Myers Squibb. Il servizio redazionale è stato supportato da AstraZeneca.

Fonti
Dandona P, et al. EASD 2017. S. SGLT2 inhibitors: novel therapies for type 1 diabetes.

Dandona P, et al. Efficacy and safety of dapagliflozin in patients with inadequately controlled type 1 diabetes (DEPICT-1): 24 week results from a multicentre, double-blind, phase 3, randomised controlled trial. Lancet Diabetes Endocrinol 2017; DOI: 10.1016/ S2213-8587(17)30308-X
Petrie, JR. SGLT2 inhibitors in type 1 diabetes: knocked down, but up again? Lancet Diabetes Endocrinol 2017; DOI: 10.1016/ S2213-8587(17)30315-7.


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