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"Nessuno ha più bisogno di lui. Deve essere un ottimo diabetologo". Battuta surreale che introduce le strane contraddizioni che il diabete ha aperto. Le ferite inferte al modello tradizionale della cura, ovvero: "il medico comanda e il paziente obbedisce". Questo modello con certe malattie e condizioni: diabete, asma, ipertensione, obesità... non funziona.
Il perché è presto detto.
La persona malata vive con la sua condizione 365 giorni all'anno mentre io la vedo qualche ora o minuti per 5-6 volte magari 10 in un anno.
La gestione del diabete richiede scelte e decisioni quotidiane e continue in situazioni che solo a grandissime linee possono essere previste dal diabetologo.
Queste scelte richiedono quindi capacità e volontà di adeguare i propri stili di vita. In altre parole motivazione.
E allora? Quale possibilità ha il diabetologo di controllare la malattia se non agendo attraverso il paziente stesso? Sembra banale ma questo richiede un cambiamento radicale delle abitudini di noi medici, cresciuti pensando a un modello prescrittivo.
Immaginate la crisi per noi medici abituati ad avercelo tutto il 'potere'. Cosa significa "agire attraverso il paziente"? Immedesimarsi nel paziente, perdere di vista gli obiettivi clinici, non contare più nulla? E invece... invece abbiamo scoperto che se ogni paziente è 'libero' di seguire o meno dei consigli, è libero di non farsi vedere dal medico, di mangiare come gli pare.?.
Non è affatto facile per il paziente (nè per nessuno) diventare 'autonomi'. Perché l'autonomia è riconoscimento della norma, del limite. La persona autonoma riconosce la norma (o una parte delle norme) e la segue non perché è imposta ma perché la trova giusta, l'avrebbe decisa lui se non l'avesse già trovata. La persona autonoma riconosce il limite (la convivenza con gli altri se parliamo delle leggi degli uomini, la convivenza con una malattia se parliamo di quella di natura) e non si chiede come negarlo o abbatterlo, o meglio dopo esserselo chiesto va oltre e cerca di disegnare il suo mondo e scopre magari che nel suo mondo quella norma (o una sua rappresentazione) ha senso.
Il percorso è difficile soprattutto in un mondo che respinge ai propri margini ogni condizione fisica diversa dalla perfezione.
... ecco allora il ruolo del Team di accompagnare la persona con il diabete in questo percorso. Lo fa con delle domande e non con delle risposte, ascoltando più che parlando. Ma con mano ferma. È il paradosso dell'educazione: la libertà di un altro spetta a me educatore. Ed è qui, se vogliamo, il mio processo di crescita professionale, e, perché no, personale. È questa la mia opportunità. In questo percorso con il paziente, con la consapevolezza di una responsabilità diversa, posso contare qualcosa e pensare che il mio obiettivo come 'tutore della norma' è quello di diventare "inutile".
Leggiamo in questo numero del Cuore del problema il racconto di Francesca, che descrive la sua evoluzione dalla schiavitù della paura alla 'libertà' della rabbia al percorso dell'autonomia e quello di Virna che grazie al microinfusore ha scoperto che è il diabete che deve adeguarsi alla vita e non viceversa.
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