"Medicina narrativa e Medicina delle evidenze: un'integrazione possibile" questo il tema del convegno che si è tenuto a Reggio Emilia nel giugno 2005. Ospiti d'onore due dei fondatori della medicina narrativa: Byron J. Good, antropologo, professore di Antropologia Medica presso il Dipartimento di Medicina Sociale della Harvard Medical School, e sua moglie, Mary-Jo Del Vecchio, sociologa e docente presso lo stesso dipartimento.

La medicina, un tempo disciplina umanistica ora tende a privilegiare il dato quantitativo...
È così. Credo essenzialmente perché l'apporto creativo/innovativo alla pratica clinica, come alla ricerca biomedica, venga considerato o superfluo o automatico. Non mi servono idee particolarmente innovative per sequenziare il DNA, il punto è: cosa ci faccio poi con tutti questi dati? Ho sempre invidiato la biblioteca del Karolinska Institut di Stoccolma, dove si possono trovare libri di poesia e di filosofia oltre a riviste e trattati di medicina. Negli Stati Uniti, oggi, le librerie chiudono, basta una connessione internet e l'ultimo numero delle riviste più importanti. L'approccio narrativo alla medicina è essenzialmente il riconoscimento che ogni atto medico, dalla prevenzione, alla diagnosi, alla terapia, è un'interpretazione di significati, biologici ed esistenziali, e quindi, un esercizio di ermeneutica.

Dopo tanto 'oggettivismo' (il dato di laboratorio o strumentale come fonte principale di verità) l'accento torna a cadere sul soggetto, il paziente e il suo vissuto esistenziale. È solo normale alternanza o c'è qualcosa di più?
C'è innanzitutto un dato 'oggettivo': molta medicina 'hi-tech' ha un'efficacia, e talvolta anche un'efficienza, scarsa, se valutata sulla base delle evidenze. A questo si aggiunge una duplice disgregazione del paradigma medico tradizionale: dall'interno, perché i pazienti sono sempre meno disposti a firmare deleghe in bianco ai professionisti della salute, dall'esterno, perché l'inevitabile metissage delle società multietniche e multiculturali impone punti di vista interpretativi diversificati. Inoltre, viviamo una fase di forte caduta della credibilità della classe medica e degli scienziati in generale.

Per concludere, è più facile fare una buona domanda o dare una buona risposta?
Credo sia più difficile fare delle buone domande, bisogna intuire molte cose dell'interlocutore, bisogna riuscire a fare domande aperte, che non precostituiscano la risposta, bisogna essere consapevoli del contesto in cui si colloca la comunicazione, e questo non s'impara sui libri o su internet, bisogna provare, sbagliare e riprovare, con metodo.