Il mondo mi fa male.
Il timore del cibo contribuisce a creare intolleranze e allergie, ma, più in generale, è la sensazione sempre più acuta del rischio a generare ansia e attese negative nei confronti di praticamente tutto ciò con cui entriamo in contatto a provocare malesseri e malattie. Sono le conseguenze dell'effetto nocebo.
 

Si chiama 'effetto nocebo' (in latino significa 'ti farò del male') ed è il gemello cattivo del più noto 'effetto placebo'. Il concetto è nato nell'ambito medico e può essere così riassunto: l'effetto di un atto terapeutico (un farmaco, una cura, il semplice dialogo con un curante) è aumentato o diminuito dalle attese che il soggetto sviluppa nei suoi confronti.
«Queste attese possono essere di tipo diverso», spiega Fabrizio Benedetti, docente di Neurofisiologia all'università di Torino, autore di Placebo effects: Understanding the mechanisms in health and disease edito da Oxford University Press nel 2008 e Realtà incantata. L'effetto placebo nella vita di tutti i giorni (Zelig 2000), «possono essere verbalizzazioni, o 'sensazioni': per esempio l'architettura o l'arredamento del luogo dove viene effettuata la cura, l'espressione più o meno autorevole e rassicurante del medico e perfino l'aspetto esteriore del farmaco: le case farmaceutiche studiano con attenzione il colore e la forma delle compresse: l'antibiotico non per caso è una pillola di grandi dimensioni, mentre le compresse che devono essere assunte per lungo tempo tendono a essere piccole e di colore neutro, i tranquillanti sono spesso azzurri, i farmaci antidepressivi tendono spesso al rosso».
Lo stesso effetto cognitivo vale per le attese negative. Benedetti cita studi dai quali è emerso come creare attese negative (per esempio incaricando un medico di esprimere perplessità rispetto al possibile effetto del farmaco prescritto al paziente da un collega) può contrastare l'effetto del farmaco stesso.

Benedetti, consulente del National Institute of Health a Bethesda, MD (USA), ha lavorato all'Università della California a Los Angeles e all'Università del Texas a Dallas. Ha studiato le basi fisiologiche dell'effetto mostrando, con l'aiuto di tecniche di bioimmagine (che permettono di visualizzare le aree del cervello sollecitate da una determinata attività cosciente o inconscia) che le aspettative di beneficio terapeutico e i farmaci agiscono su aree simili del cervello. «Le attese positive o negative danno vita a una sequenza di effetti fisiologici ben precisi. Per esempio la paura di un aumento del dolore attiva la colecistochinina (Cck) un ormone che media la sensazione di dolore». È interessante notare che a essere modulate dalle attese non sono solo reazioni che sappiamo di poter controllare in parte, come il dolore, ma anche reazioni che consideriamo puramente fisiologiche: «Associando l'atto di cura a un simbolo elementare ben preciso e forte: una luce colorata o un suono, è possibile arrivare a quello che gli psicologi chiamano 'condizionamento'. Così come il famoso cane di Pavlov aumentava la salivazione al suono di una campanella il soggetto, inconsciamente, attiva quella stessa reazione fisica che l'atto di cura dovrebbe fisiologicamente indurre», nota Benedetti che cita due studi1,2 in cui ad alcuni pazienti (non diabetici) veniva praticata una iniezione di insulina che determinava una ipoglicemia. L'iniezione era associata a uno stimolo olfattivo e veniva fatta sempre alla stessa ora, nello stesso ambiente e dalla stessa persona. Dopo quattro sessioni al paziente veniva praticata una iniezione di soluzione fisiologica neutra «e il paziente andava lo stesso in ipoglicemia!», spiega Benedetti.
Un altro esempio, questa volta positivo, è dato da uno studio3 pubblicato nel 2007 da psicologi di Harvard e Yale su un campione di cameriere d'albergo. Dopo aver misurato loro pressione, giro vita e peso alcune cameriere si sono sentire dire che, grazie alla natura del loro lavoro, la quantità di esercizio fisico da loro svolta era coerente con le indicazioni date dall'agenzia per la salute governativa. Ad altre invece non era stato detto nulla. Dopo un mese si è visto che fra le cameriere che avevano ricevuto questo 'rinforzo', come si chiama in piscologia, il peso e la pressione erano diminuite mentre fra le altre non si era notato nessun miglioramento significativo.

Quello che vale per i farmaci e per la forma fisica vale anche per il cibo. «Le aspettative negative cambiano i parametri fisiologici sicuramente determinando una ansia anticipatoria e probabilmente determinando anche altre reazioni fisiologiche», spiega il neurofisiologo torinese. Se una persona è allergica a una sostanza potrebbe sviluppare una reazione semplicemente se gli viene detto che in un alimento che ha appena mangiato quella sostanza era presente.
Nel caso del cibo, l'ansia non deriva tanto da uno stimolo puntuale e preciso, quanto da una paura generalizzata che i media diffondono», nota il professor Fabrizio Benedetti. Ci sono molti studi relativi ad esempio ai disagi lamentati da persone che ritengono di essere danneggiate dalle radiazioni elettromagnetiche. «Sarebbe errato dire che si tratta di 'fantasie'. I sintomi che queste persone lamentano sono reali: hanno davvero mal di testa, sentono davvero spossatezza anche se non vi è nessuna prova che le radiazioni siano la causa, anzi esistono diverse prove del contrario», fa notare Benedetti, considerato il massimo sperto europeo in materia di effetto placebo e nocebo.
E allora? Si tratta di malattie create dalla paura della malattia: un fenomeno antico quanto il mondo e non privo di una tradizione letteraria, pensiamo a Il malato immaginario di Molière o allo stupendo passo di Tre uomini in barca in cui Jerome K. Jerome raccontava di aver sviluppato, leggendo un manuale di medicina, tutti i sintomi di ogni malattia descritta nel libro stesso.

Purtroppo c'è poco da ridere. Noi siamo molto più attrezzati contro le malattie dei nostri nonni ma siamo più preoccupati della nostra salute di quanto non fossero loro. Il paradosso della salute fa sì che a netti miglioramenti nel benessere clinico corrisponda un netto peggioramento nella soddisfazione per la nostra salute.
Un eccesso di attese negative rispetto al cibo, all'inquinamento chimico biologico o elettromagnetico genera uno stato di allerta e di ansia nei soggetti. A questo si aggiunge una particolare attenzione nei confronti di quei 'segni' che altrimenti sarebbero stati giudicati normali (un calo d'umore, una difficoltà nella digestione, un piccolo dolore), generando una sensazione di 'non salute' e quindi una domanda terapeutica. Il fatto che a questa domanda venga data una risposta conferma l'ansia e potrebbe aggravare la situazione.

Il fatto è che, come ha detto David Wainwright sociologo alla University of Bath intervistato dal Financial Times: l'effetto cumulativo di messaggi benintenzionati sta promuovendo «l'idea che praticamente tutto quello con cui entriamo in contatto pone un rischio e questo ci porta a sentirci più vulnerabili e a interpretare la nostra esperienza come un problema di salute. Oggi difficoltà riscontrate sul lavoro sono considerate di pertinenza medica e catalogate come 'stress' invece di esser e viste come problemi sindacali o sociali».
Il discorso va quindi ben oltre il cibo, sfocia in una riflessione collettiva davanti alla paura del cibo che diventa paura del mondo, è quindi importante ricordare che la Medicina (purtroppo solo nelle società avanzate) esce vincente dalla sua lotta con il disagio fisico. Il mondo per un occidentale è molto più privo di minacce di quanto non lo fosse 20 o 50 anni fa. Cibo compreso. Dobbiamo quindi brindare a questa conquista con la formula di rito: 'Alla salute!'.


1 Stockhorst U, Gritzmann E, Klopp K, et al. (1999). Classical conditioning of insulin effects in healthy humans. Psychosomatic Medicine, 61, 424-35.
2 Stockhorst U, Steingruber HJ and Scherbaum WA (2000). Classically conditioned responses following repeated insulin and glucose administration in humans. Behavioural Brain Research, 110, 143-59.
3 Crum AJ, Langer EJ. Mind-set matters: exercise and the placebo effect. Psychol Sci. 2007 Feb;18(2):165-71.

Fabrizio Benedetti
è docente di neurofisiologia all'univeristà di Torinio, consulente del National Institute of Health a Bethesda (USA), e membro della Mind-Brain-Behavior Initiative ad Harvard ha un Phd in Psichiatria a Los Angeles ed è stato assistente all'Università del Texas, ha scritto Placebo effects: Understanding the mechanisms in health and disease edito da Oxford University Press nel 2008 e Realtà incantata. L'effetto placebo nella vita di tutti i giorni (Zelig 2000).