Per una medicina che sia anche etica
Intervista al filosofo Carlo Augusto Viano
di Anna Chiambretti
Carlo Augusto Viano è nato ad Aosta il 10 luglio 1929 e si è laureato in Filosofia presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Torino nel 1952. A Torino è stato allievo e assistente di Nicola Abbagnano; poi ha insegnato nelle università di Milano e Cagliari. Già professore ordinario di Storia della filosofia presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Torino, è anche membro del Comitato direttivo della Rivista di filosofia e della rivista Bioetica. È stato membro del Comitato Nazionale di Bioetica, è socio dell’Accademia Europea e direttore della Classe di Scienze Morali dell’Accademia delle Scienze di Torino.
A lui abbiamo posto alcune domande su temi importanti.
Professor Viano, lei è un filosofo e un illustre esponente di quella corrente di pensiero nata nel 1970 e chiamata “Etica della vita”, o anche “Bioetica laica”, che grande sviluppo e grande rilievo ha avuto negli ultimi decenni all’interno del mondo occidentale. Perché questa scelta e perché, a suo pare, la bioetica interessa tanto?
Alla base della bioetica c’è la consapevolezza che la conoscenza scientifica e la tecnologia, cui essa ha dato luogo, sono diventate una faccenda di interesse pubblico. Ben prima della svolta tecnologica del secolo scorso la medicina era diventata un sapere e un’attività di interesse pubblico, ma soltanto dopo la seconda guerra mondiale ci si è resi conto che anch’essa dipendeva in misura crescente dalle conoscenze scientifiche disponibili e si stava dotando di mezzi tecnologici potenti e impegnativi. Tuttavia la medicina conservava una propria particolarità: sebbene l’assistenza sanitaria sia diventata sempre di più un’attività pubblica, organizzata secondo i canoni delle società industriali, in essa le scelte individuali hanno continuato a essere importanti. Mentre nelle scienze fondamentali e nelle grandi tecnologie le scelte decisive sono fatte da autorità politiche e da corporazioni di esperti, nella medicina contemporanea, in cui pure autorità e corporazioni intervengono pesantemente, uno spazio per le scelte individuali è rimasto. In questa prospettiva, la bioetica è nata appunto come difesa dell’autonomia dei pazienti dall’autoritarismo del medico tradizionale, che pretendeva di essere il giudice inappellabile degli interessi del malato, ma ha anche posto il problema più generale del controllo delle conoscenze e delle tecniche sulla base degli interessi delle persone.
La bioetica deve dunque la sua nascita al diritto dell’ammalato e al problema del controllo delle conoscenze e delle tecniche?
In realtà vi ha contribuito anche un altro elemento. Si è di solito ritenuto che le novità costituite dalle nozioni scientifiche e dalle potenzialità tecniche dovessero essere sottoposte a canoni etici tramandati dalle culture tradizionali, mentre la medicina ha messo in crisi quelle che sembravano certezze acquisite. La rivendicazione dell’autonomia del paziente nei confronti del medico e dell’organizzazione sanitaria, così come la migliore conoscenza di ciò che accade durante la gestazione e le più ampie possibilità di intervento medico nella procreazione e nella gestazione, hanno cambiato le nostre valutazioni, dando rilievo alla libertà delle donne, al peso delle loro decisioni nella procreazione e alla tutela della salute del nascituro. Parallelamente, la cronicizzazione di molte malattie, proprio per opera della medicina, e l’aumento dell’assistenza medica nella fase terminale di una malattia hanno fatto sì che sul percorso verso la morte si possano esercitare, almeno in parte, delle scelte; e anche questo è un campo in cui la morale tradizionale non dava suggerimenti. Infine la trasformazione delle medicina da un pratica per fronteggiare casi acuti e isolati a una disciplina che aiuta a promuovere o mantenere uno stato accettabile di salute, individuale o collettiva, ha fatto della medicina una punto di riferimento essenziale per rivedere regole generali di comportamento.
Per chi si è sempre occupato di filosofia e ha sempre letto scritti convenzionali, nei quali si esaltava una morale stabile e sicura, che andava applicata a ogni sorta di novità, comprese quelle dovute alle scienze e alle tecniche, per impedire un’esplosione dell’innovazione, la bioetica presentava il caso interessante di innovazioni conoscitive e tecniche che reagivano sulle norme morali e inducevano a correggerle.
Come ritiene che l’informazione scientifico-sanitaria da parte dei media contribuisca oggi al tema salute e alla crescita (o diminuzione) dell’autonomia, della responsabilità e della libertà degli individui? E come potrebbe migliorare?
In linea generale si sarebbe tentati di dire che sempre l’aumento dell’informazione favorisce l’aumento di libertà e autonomia. Ma bisogna essere prudenti quando si enuncia una tesi così generale. Tesi che peraltro è almeno in parte accettabile quando si tratta della medicina, nella quale le nozioni disponibili delineano le cose che si possono o non si possono fare e suggeriscono linee di condotta. Ovviamente l’informazione può anche condizionare le scelte e può farlo in modo scorretto, se è parziale o, peggio, se non è attendibile. È facile dire che occorre un’informazione attendibile e neutrale, mentre è più difficile, non soltanto ottenerla, ma anche soltanto stabilire a quali condizioni dovrebbe soddisfare per godere di quelle qualità. Una cosa importante sarebbe riconoscere l’esistenza di potenziali conflitti di interessi tra chi fornisce l’informazione, chi la diffonde e chi la dovrebbe ricevere, e trovare i modi per risolverli. I mass-media hanno una funzione importante nella diffusione dell’informazione scientifica, ma sono esposti a particolari pericoli. Uno è insito nella loro natura di strumenti a grande diffusione: devono infatti essere facilmente comprensibili e tempestivi e, per soddisfare a questi compiti, devono correre il rischio di essere imprecisi e di suscitare false aspettative. Inoltre i mezzi di comunicazione di massa sono imprese economiche significative e perciò costituiscono luoghi nei quali si annidano naturalmente conflitti di interessi. Oltre all’identificazione e alla denuncia dei conflitti di interessi, bisognerebbe dare al pubblico la capacità di vagliare gli annunci che riceve. Questo dovrebbe essere il compito di una scuola indipendente, che dia ai cittadini i mezzi per capire i messaggi che ricevono e per giudicarli.
Nell’ambito del dibattito sulla manipolazione genetica, cosa pensa sui possibili interventi riguardanti l’uomo?
Conoscenze genetiche approssimative, quali quelle che hanno circolato fino alla seconda guerra mondiale o poco dopo, hanno alimentato progetti folli di interventi sulla specie umana, nell’intento di migliorarla. Agiva allora l’analogia con l’agricoltura e la zootecnia. A parte l’equiparazione delle persone con vegetali e animali, la scelta dei caratteri positivi da selezionare e trasmettere era del tutto arbitraria ed era spesso suggerita da dottrine razziali prive di fondamento.
Per fortuna la svolta della genetica dovuta alla conoscenza dei meccanismi più profondi della trasmissione dell’eredità biologica ha abbandonato i piani di rimodellamento della specie umana e si è proposta soprattutto di affrontare le malattie ereditarie incurabili e la terapia genetica. La discussione su che cosa debba essere o non essere considerato una malattia è in parte ancora aperta, anche perché nella sua storia la medicina ha spesso considerato malattie i comportamenti ritenuti devianti; e i giudizi sulla normalità dei comportamenti sono più variabili dell’identificazione delle malattie. Ma oggi c’è un accordo di base sulle malattie genetiche gravi, sulle quali si ritiene opportuno concentrare la ricerca.
Conoscenze genetiche e tecniche di intervento genetico non sono prive di rischi, come c’è da aspettarsi ogni volta che si delineano innovazioni importanti nel sapere e nella tecnologia. Anche in questo caso è necessaria una vigilanza culturale libera, informata ed equilibrata, ma non va dimenticato che spesso proprio la cultura non scientifica e non tecnologica ha diffuso le peggiori ricette razziste.
E riguardo agli OGM?
Gli OGM sono un buon esempio di ciò che importanti innovazioni tecniche e scientifiche possono darci. Una corretta certificazione, che assicuri almeno la trasparenza merceologica dei prodotti, può essere una richiesta elementare. Ma spesso le etichette sono invocate come strumenti per demonizzare gli OGM, mentre si tace il fatto che l’etichettatura sarebbe utile anche per contrastare il mito dei cosiddetti “prodotti biologici”. Sugli OGM bisognerebbe dire con chiarezza che le mutazioni genetiche con le quali sono prodotti non hanno relazioni dirette con eventuali mutazioni genetiche di chi li consuma. Essi devono essere sottoposti a prove di nocività come qualsiasi altro prodotto. Non bisogna vedere negli OGM la soluzione di tutti i problemi dell’alimentazione, ma occorre mettere in luce i vantaggi che possono derivare dal loro impiego sia perché aumentano la produttività, sia perché danno prodotti migliori.
Con gli OGM ci sono ancora però problemi generali di due tipi. Da un lato occorre salvaguardare la varietà biologica, dall’altro bisogna sorvegliare l’assetto economico della produzione, intervenendo eventualmente sulla formazione di monopoli. Quest’ultimo è un problema che si pone per ogni tipo di risorse, e gli OGM hanno una posizione particolare, perché sono mezzi di produzione a basso costo e facilmente impiantabili: Cina e Cuba, non sospettabili di essere paesi capitalistici, se ne avvalgono.
Professor Viano, lei si è molto occupato di medicina, dei rapporti medicina-individuo, dei limiti, veri o presunti, dell’agire medico. Perché oggi si registra da una parte la sfiducia verso la sanità “ufficiale” e dall’altra una fiducia quasi cieca, incondizionata, verso taumaturghi maghi? È una questione solo sociale, educativa, o abbiamo ancora “bisogno” dell’irrazionale, del mistero, del miracolo?
Credo che la maggior parte di ciò che pensiamo sia costituita da credenze più o meno arbitrarie, e che credenze di questo tipo ispirino i nostri comportamenti. La gente spende in pratiche superstiziose, religiose o profane, somme ingenti, e complessivamente si danno più soldi a preti, maghi, indovini, cartomanti, pranoterapisti, omeopati ecc. che alla ricerca scientifica. Del resto autorità politiche e religiose governano promettendo cose che non si possono ottenere e anche le società evolute devono imparare a reggersi tenendo conto dell’importanza della credulità. Spesso ciò avviene con una specie di “sublimazione” delle credenze, che vengono trasformate in dottrine religiose o filosofiche senza conseguenze dirette (per esempio si rinvia alla fine del mondo la rigenerazione religiosa) o in rappresentazioni artistiche, e comunque confinando le credenze in un’ampia sfera privata, mentre si mantengono nella sfera pubblica le conoscenze consolidate. Un giudice potrà credere in privato che accadono i miracoli e le madonne appaiono o piangono, ma non ammetterà mai un miracolo tra i fatti invocati in un processo. Le credenze private premono per entrare nella sfera pubblica, e spesso ci riescono, anche perché politici e giudici possono cedere alla lusinga del consenso popolare, ma un argine possibile, dove esiste una medicina pubblica, è l’esclusione delle pratiche pseudomediche dal finanziamento pubblico. Sarebbe difficile, e negli ordinamenti liberali anche ingiustificato, vietare credenze private infondate, ma già lo stabilire una barriera tra credenze private e credenze pubbliche ha una qualche funzione, anche educativa.
La medicina, intesa come scienza, può avere un’etica che si coniughi con gli orizzonti sempre più articolati della ricerca?
Dopo la seconda guerra mondiale e dopo i processi ai medici nazisti la medicina, più di altre scienze, ha elaborato un proprio codice morale, espresso in documenti internazionali e recepito nelle legislazioni statali. Nella sua lunga tradizione la medicina si era data delle regole, suggerite sia dal fatto che i medici erano professionisti, e come tali avevano un rapporto con i clienti, sia dal fatto che la medicina tutelava, insieme con l’autorità politica, la salute pubblica. Ma il comportamento dei medici nazisti aveva sollevato l’indignazione generale. Si è poi venuto via via a sapere che esperimenti crudeli, esiziali e talvolta inutili erano stati compiuti su esseri umani anche altrove, ma ora ordinamenti generici e leggi specifiche condannano e vietano comportamenti del genere.
In linea generale oggi si può dire che nei paesi nei quali esiste un livello di legalità sufficientemente alto non si può fare, neppure a fini di conoscenza scientifica, nulla di ciò che è vietato dalle leggi vigenti: pertanto è proibito arrecare danni a qualcuno per ottenere conoscenze, per preziose che possano essere, o per sperimentare pratiche, per efficaci che possano presentarsi. Entro questi limiti la sperimentazione medica su persone deve osservare ulteriori regole, che prevedono l’informazione completa e il consenso pieno delle persone coinvolte.
E se c’è un limite, qual è?
La medicina attuale ha però posto problemi particolari, perché è stata formulata la pretesa di tutelare nei confronti della sperimentazione medica soggetti che non sono riconosciuti negli ordinamenti giuridici vigenti. La vita è tutelata dalle leggi, come un bene di cui godono tutti coloro che sono nati; ma la vita, come fenomeno biologico, per giunta mal definito dal punto di vista scientifico, non è tutelata dai codici vigenti. Eppure c’è chi sostiene che la vita in quanto tale è un bene in sé, indipendentemente dal soggetto che ne gode. I codici vigenti ammettono che una persona possa suicidarsi, ma disfarsi della vita durante un trattamento medico è considerato un reato. Questo divieto si ricava per ora soltanto in modo indiretto dalle leggi in vigore, ma c’è chi sostiene che deve diventare esplicito.
Cosa che ci porta alla “querelle” sulla fecondazione, sulla tutela della vita embrionale, della liceità delle sperimentazioni animali…
Nei codici non esiste una figura come l’embrione, tanto meno come l’uovo fecondato, ma coloro che intendono reintrodurre e rafforzare il divieto dell’aborto sostengono che le leggi dovrebbero riconoscere la personalità del “concepito”: in questo modo la protezione delle leggi di estenderebbe alle cellule e si vieterebbero ricerche sulle cellule staminali embrionali, perché le sperimentazioni su di esse verrebbero parificate a sperimentazioni letali su persone.
Un problema ancora aperto è la sperimentazione su animali. Molte legislazioni contengono la tutela degli animali, più debole di quella prevista per gli umani, e in molti paesi sono stati emanati leggi e regolamenti per far valere la tutela degli animali nella sperimentazione scientifica. C’è però chi considera la situazione attuale non soddisfacente, sia perché le norme non sono osservate, sia perché le norme sono insufficienti. Qualcuno ritiene che la specie umana non abbia diritto di usare le altre specie per tutelare la propria salute e propone di abbandonare del tutto la sperimentazione animale, accettando gli svantaggi che ne possono derivare per la specie umana. Alcuni di coloro che sostengono questa posizione propongono di sostituire gli esperimenti su animali con esperimenti in vitro o con simulazioni matematiche, senza tener conto però del fatto che è per ora insicuro saltare la sperimentazione in vivo. Più condivisa è la raccomandazione di mettere in pratica tutto ciò che potrebbe servire a ridurre la sperimentazione animale, in particolare la sperimentazione sui grandi animali, ai quali si possono attribuire sofferenze, anche psicologiche, simili a quelle che potrebbero affliggere un essere umano.
Ma possiamo dire che esistono o debbano esistere regole, etiche ma anche economiche, per orientare gli indirizzi di ricerca medica?
Cosa ardua. In linea generale gli ambientalisti sostengono che la ricerca dovrebbe mirare alla salvaguardia dell’ambiente e non al suo sfruttamento, dovrebbe tener conto delle generazioni future e non soltanto del benessere di quelle esistenti, e dovrebbe tener conto dell’equilibrio di tutto il pianeta. Questi obiettivi si possono trasferire anche alla medicina, la quale incontra però problemi specifici. La ricerca medica risente oggi del mercato, non soltanto di quello ristretto rappresentato dal mondo della ricerca mondiale, ma anche di quello più vasto, costituito dai consumatori diretti o indiretti di farmaci e di prestazioni sanitarie. Il primo mercato può spingere a cercare risultati che sembrano a portata di mano, indipendentemente dalla loro utilità, o che siano particolarmente apprezzati nella comunità scientifica o nella cultura diffusa. Il secondo mercato porta a cercare risultati che interessino le persone colpite da malattie diffuse nei paesi ricchi, nei quali la domanda è generosa. Ciò porta a trascurare le malattie magari molto diffuse nei paesi poveri, che non hanno risorse per sostenere una domanda consistente, o le malattie rare riscontrabili anche nei paesi ricchi. Il mercato danneggia anche la ricerca sui vaccini rispetto a quella sulle terapie di malattie croniche, che garantiscono una domanda costante. A ciò si aggiunge il problema dei brevetti sui farmaci e ora anche sui prodotti biologici. Risolvere questi problemi non è facile, sia perché non esistono organi centrali di governo della ricerca scientifica, né nazionali né internazionali, sia perché nessuno crede alla capacità di un governo autoritario di essere più liberale e illuminato di imprese che assicurino l’indipendenza e la libertà di coloro che partecipano a esse. È anche la mancanza di progetti concreti ed efficaci e di istituzioni affidabili che suggerisce di affidare all’etica raccomandazioni che possano correggere alcuni degli indirizzi attuali della ricerca e della pratica medica.