Skip to content

Collaborare per crescere

Tra società scientifiche e aziende del settore è necessaria una collaborazione concreta e disinteressata: per crescere e per rispondere al bisogni di salute e dei pazienti

di Marco Comoglio


 

Sul JAMA del 2 aprile scorso è stato pubblicato un’interessante “research letter” di Timothy S. Anderson, Shravan Dave, Chester B. Goode Walid F. Gellad – dal titolo Academic Medical Center Leadership on Pharmaceutical Company Boards of Directors (JAMA 2014;311[13]:1353-5) – secondo cui, negli Stati Uniti, nel 40% dei consigli di amministrazione delle aziende farmaceutiche è presente una personalità proveniente dal mondo accademico o dal mondo delle società scientifiche ufficialmente a libro paga di tali aziende.

Viene preso in esame il possibile conflitto di interesse tra la presenza di tali figure nelle direzioni e la trasmissione ai medici delle informazioni scientifiche da parte delle stesse. Un tema caldo, di cui abbiamo parlato con Nicoletta Musacchio, responsabile dell'Unità OS di Diabetologia Territoriale e Cure Croniche degli Istituti clinici di perfezionamento (ICP) di Milano, nonché vice presidente AMD. Impegnata da anni in AMD, conosce assai bene le molteplici dinamiche che muovono il mondo della ricerca e della formazione e i rapporti con le aziende del settore.


Nicoletta, rispetto alla situazione USA, in Italia non disponiamo di dati simili per una valutazione altrettanto precisa e probabilmente la nostra organizzazione sanitaria prevede una diversa regolamentazione dei rapporti. Come vice presidente nazionale AMD hai però la possibilità di avere una visione "italiana": che opinione ti sei fatta dei rapporti tra le società scientifiche e le aziende del settore?
L'articolo in questione mi ha in effetti colpito. Non solo per il problema che pone, ma per il modo di approcciarlo. Certamente è un tema caldo e delicato e credo che, messo in quei termini, sembri scontato il conflitto di interesse, o quantomeno un reale rischio. Del resto, però, in ambito scientifico il controllo o meglio la valutazione scientifica dei lavori deve essere fatta nel modo più competente possibile, proprio per garantire il valore dei progetti. E mi chiedo: chi è il professionista più competente? In più vorrei ricordare che i medici, che sono dei "professionisti", hanno un codice deontologico, sottoscrivono un giuramento. Che è un obbligo per chi lo contrae, ma al tempo stesso una garanzia per la società, per i pazienti. Ciò che fa la differenza tra un professionista e – per dire – un artigiano, è proprio il modello di essere, per noi rappresentato appunto da quel giuramento col quale all'inizio della nostra professione garantiamo il nostro agire futuro. Questo vuol dire che noi siamo tenuti a rispondere anche del nostro comportamento deontologico e non solo professionale.

Ma si può essere rispettosi di quel giuramento e collaborare con le aziende del settore?
Penso che la quasi totalità dei medici operino sempre in linea con il proprio codice deontologico. E se seguiamo questa logica, il problema allora si definisce in modo diverso: la collaborazione attiva tra le aziende del settore e i medici serve a garantire una collaborazione professionale eticamente corretta. Da una parte l'azienda, dall'altra il medico, che ha competenze scientifiche, ma anche vincoli precisi rispetto alla società e rispetto ai suoi pazienti. Vincoli che non gli consentono di essere diverso da ciò che è: un curante, un ricercatore della migliore soluzione possibile per i pazienti in linea con quanto il dato scientifico offre.

I rapporti tra mondo accademico o società scientifiche e aziende farmaceutiche può originare dinamiche di "comunicazione" particolari, con conseguenze importanti sugli operatori sanitari. Come coniugare il ruolo di "esperto" con quel tipo di comunicazione?
Amplierei il discorso anche per superare il qualunquismo etico generale oggi così di gran moda. Ritengo infatti sia corretto anzi doveroso denunciare illeciti, che però non sono necessariamente la regola. Ritengo che la tendenza di generare diffidenza sempre e comunque verso qualunque istituzione o categoria non sia molto utile né produttivo. Chi comunica "deve" avere i titoli necessari per poterlo fare e "deve" essere un esperto. Se li ha e se lo è può gestire sia il rapporto col mondo delle aziende sia divulgare in modo corretto. Paradossalmente però, come ho accennato, più soggetti sono coinvolti, maggiori sono le possibilità di comunicare efficacemente, correttamente. Ovvio che se la comunicazione arriva da professionisti seri, che sanno comunicare in modo oggettivo e vero il dato della ricerca scientifica, viene correttamente interpretato.

Ma non dovrebbe essere una comunicazione controllata?
Certo, assolutamente sì. Serve un maggior controllo complessivo. E dal punto di vista scientifico e dal punto di vista culturale. E' evidente che la trasparenza maggiore e totale si avrebbe con fondi che provengano da ambienti totalmente altri rispetto al mondo delle industrie del farmaco. Dobbiamo iniziare a fare davvero propaganda per ottenere fondi per una ricerca completamente libera da interessi seppur semplicemente ipotizzabili. Ma è molto, molto difficile. Nel nostro paese c'è scarsissima sensibilità e cultura alla ricerca e alla formazione continua.

In Italia sappiamo che spesso si deve ricorrere alle aziende per sviluppare progetti di ricerca o di formazione. AMD lavora in partnership con molte aziende: cosa ci puoi dire su questi rapporti di collaborazione?
Anche il problema della formazione è serio e piuttosto critico. AMD collabora da tanti anni con le aziende del settore.. Se analizziamo i nostri vent'anni di attività societaria, possiamo vedere come le nostre collaborazioni con il mondo delle aziende siano stati sempre di crescita costruttiva, attenta al contenuto scientifico e al dato culturale e umano insieme. Per quanto riguarda ricerca e formazione, oggi c'è crisi, lo sappiamo, e forse varrebbe la pena di ripensarle in toto.

Come?
La formazione e la ricerca – soprattutto se queste vengono progettate e realizzate in modo serio e scientifico – sono attività costose, complesse, che proprio per i tagli che il mondo della sanità conosce ormai da alcuni anni, sono sempre più difficili da gestire in modo etico, chiaro, lineare, condiviso. Dunque a chi affidarle? Con chi collaborare? Penso sia bene per tutti, per la società e per i cittadini, avere delle società scientifiche forti, che possano essere dei soggetti propulsori, capaci di individuare degli obiettivi specifici e precisi e di allocare su di sé le risorse in modo da spenderle in modo consono, equo ed etico, rendendone conto ai propri soci e alla collettività.

In qualità di futuro presidente di AMD, cosa puoi dirci proprio sui progetti di AMD volti a migliorare l'indipendenza della ricerca?
Al di là dei progetti specifici, di nicchia o di settore, intendiamo ribadire il ruolo delle società scientifiche, che è fondamentale per una ricerca e una formazione il più possibile chiara e trasparente. Compito di una società scientifica è quello di far crescere i propri soci. Farsi "enzima" di nuove "vision" professionali, trovare nuovi orizzonti e ridisegnare la propria identità professionale per renderla specifica e moderna rispetto ai cambiamenti naturali della sanità e del sociale. Tali obiettivi sono sempre sopra le parti e ottenerli con una sana partnership, anche con le aziende, in modo trasparente, aiuta a crescere insieme. In particolare, va detto che AMD punta a una ricerca e a una formazione condivisa con tutti gli attori coinvolti nel sistema (amministratori, aziende, pazienti, altri operatori), così che si realizzi quella fondamentale pluralità che potenzia indipendenza ed è capace di rispondere sia alle esigenze di politica sanitaria generale sia a quelle particolari delle persone. Dunque, obiettivi comuni per raggiungere risultati sanitari certi e concreti, nella massima trasparenza: economica, di obiettivo, di risultato.

Pensi a forme di partnership?
Con le aziende fare partnership è fondamentale, dà trasparenza economica e di risultato scientifico che sono e restano i pilastri del nostro agire societario. Ma in AMD soprattutto vogliamo, ribadisco, trovare nuove fonti di risorse economiche. Una sponsorizzazione che viene da identità non direttamente coinvolte nel mercato, a mio parere, aumenta molto il valore del prodotto. Se un mio progetto formativo è "acquistato" che so, per fare un esempio, da una banca, ciò sta a significare che il mio progetto ha un obiettivo riconosciuto e riconoscibile così forte da avere un valore "sociale". In altre parole, vorrei che la tutta la società civile s'impegnasse, fosse coinvolta, per la crescita culturale dei propri professionisti e per una ricerca finalizzata a una insospettabile utilità.