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Nicoletta Musacchio: prima donna Presidente di AMD

Per una nuova diabetologia

di Marco Comoglio e Riccardo Fornengo


Nicoletta Musacchio

Romana di nascita e milanese di adozione, Nicoletta Musacchio è la prima donna alla guida di AMD, la più grande associazione scientifica della diabetologia italiana, a cui afferiscono oltre 2200 soci. E’ entrata in carica a conclusione del XX Congresso nazionale AMD, svoltosi a Genova, dove è stato anche eletto il nuovo vicepresidente, Domenico Mannino, che succederà alla presidenza nel maggio 2017.

Nicoletta Musacchio è responsabile dell’Unità Operativa Semplice di Cure Croniche e Diabetologia Territoriale degli Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano, dove coordina e organizza le attività dell’équipe territoriale aziendale che comprende 12 diabetologi, un dietista e 3 dietologi. Ha collaborato con il gruppo di lavoro Chronic Care Model dell’Istituto Superiore di Sanità contribuendo a delineare e strutturare i modelli di assistenza e gestione della malattia cronica. Nel 2009 ha vinto il premio AWARD-DAWN per il “Progetto Sinergia: esperienza di un PDTA in diabetologia centrato sulla persona”. Dal 1996 al 2002, per l’Istituto di Formazione della Regione Lombardia, è stata coordinatore dei percorsi e delle attività di progettazione e docenza in educazione terapeutica. Presso l’Università di Ginevra ha frequentato l’Unità di formazione e insegnamento delle patologie croniche, centro di riferimento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, diretta da Jean Philippe Assal. Ha conseguito i titoli di auditor di sistemi di gestione in qualità del settore sanitario (attestato Cermet) e di formatore certificato dall’Istituto Superiore di Sanità per la realizzazione del progetto nazionale IGEA. Ha fondato e diretto per 7 anni la Scuola nazionale permanente di formazione dell’AMD, certificata ISO, e ha diretto il gruppo AMD dei Percorsi Assistenziali, dedicato allo studio di modelli organizzativi per la gestione delle malattie croniche. La incontriamo dopo la ressa del congresso e dopo i primi giorni da Presidente.


Nicoletta, che effetto fa essere la prima donna Presidente di AMD?
Che strana domanda. Del resto me la fanno tutti. Se mi permettete una battuta: per me non rappresenta un problema essere donna… Come dire: ci sono abituata! Battute a parte, non credo che il genere abbia una sua rilevanza o abbia un significato sostanziale. Certo, è vero che abbiamo approcci diversi ai problemi, ma questo in una squadra che si forma è fonte di stimolo e ricchezza. Tra l’altro nell’attuale Direttivo ci sono molte donne. Certamente una diversità costruttiva che abbinerà una certa maggiore sensibilità femminile alla concretezza maschile. Una gran bella squadra…

Quale programma per il tuo biennio?
In sintesi: proseguire le attività di ampio respiro già avviate e sviluppo di articolate iniziative varate di recente. Già da due anni è iniziato un progetto che prevede due precisi momenti, il cui tema generale è quello dell’appropriatezza, affrontato a 360 gradi. Da una parte un’appropriatezza terapeutica, in termini sia di gestione evidence-based del farmaco sia di strategia di cura. Quest’ultima costituisce un approccio innovativo per una disciplina che si occupa di cronicità e deve basarsi anche sulle modifiche dello stile di vita e della motivazione del paziente, e che quindi tiene conto della continuità e dell’aderenza alla terapia nel lungo periodo.

Il secondo momento?
Appropriatezza significa anche valutare qual è il valore dello specialista della cronicità all’interno dei nuovi modelli organizzativi. Per questo abbiamo deciso di aprire uno studio approfondito su quali sono le competenze che identificano un diabetologo, quali sono le attività e quindi le prestazioni che risultano essere prioritarie e indispensabili al paziente per una corretta gestione della malattia diabetica.

Un’attività che vedrà sempre più coinvolti i gruppi AMD?
Tutti i gruppi AMD stanno già lavorando in termini di appropriatezza. In più, abbiamo attivato un progetto denominato Diabetes Intelligence, il DIA&INT. Si è partiti traducendo dagli Standard di Cura le 25 attività che vengono considerate caratteristiche della specialità, utilizzando una metodologia di grading (validazione internazionale riconosciuta). Tramite la somministrazione di questionari e utilizzando modelli matematici di business intelligence si è chiesto ai diabetologi di dare una prioritizzazione, ossia un peso di valore, verso l’ottenimento degli outcome. Questi ultimi sono stati a loro volta tradotti dal Piano Nazionale Diabete e dal Manifesto dei Pazienti che rappresentano due documenti istituzionalmente riconosciuti da cui vengono poi declinati gli outcome che il Ministero della Salute e la stessa AMD ritengono si debbano ottenere per parlare di efficacia terapeutica in diabetologia. Ciò ci ha permesso di ottenere una lista delle attività con un peso.

Ci sono già dei numeri?
Abbiamo già i primi dati e da questi il gruppo NICE avrà il compito di creare un documento contenente un curriculum professionale validato della diabetologia moderna, che vorremmo presentare alle istituzioni per diventare propositivi: non in modo autoreferenziale ma validato da un’intera comunità scientifica. Anzitutto per essere di supporto nella rivisitazione dei LEA, dai quali discendono le attività, e quindi le prestazioni che sono erogabili in quanto riconosciute.

Come gestire oggi la cronicità?
Sappiamo bene che gli aspetti della cronicità sono di ordine economico (quanto costa?), epidemiologico (aumenta? e di quanto?), tecnologico (implicano un costo? ma anche un risparmio prossimo futuro?), clinico (che tipo di gravità implica? conduce alla non autosufficienza?) e organizzativo (chi, dove, come e quando?). Le risposte che AMD cerca di dare stanno nella medicina integrata, nei progetti come IGEA e PDTA, nel disease management, nella medicina di iniziativa, ma rivisitati ed affrontati per studiare e riempire di competenza il braccio specialistico di questi modelli. Il modello concettuale della gestione della cronicità esiste: è complesso, le logiche sono anch’esse definite. Attendiamo di chiudere la questione in sinergia con le istituzioni e gli altri professionisti, ma vogliamo chiaramente “dire la nostra”.

Come?
Se dobbiamo implementare tale modello, vogliamo contribuire a capire come e dove riallocare le risorse necessarie per realizzarlo. Finanziare il sistema della cronicità è un problema di scelte, anche e soprattutto politiche. Dal Patto della salute ai piani sanitari di patologia ai LEA: tutto è concatenato. Avere chiaro cosa davvero serve e deve fare uno specialista per essere efficace è fondamentale.

A volte la gestione delle malattie croniche pare essere una questione di terminologie…
La nomenclatura è importante: serve per garantire ai cittadini un approccio moderno. Se pensiamo che il patto della salute era fermo da 15 anni…

I nuovi LEA?
Aggiornarli significa eliminare prestazioni e cure ormai obsolete, spesso costose, e sostituire con cure moderne, più efficaci. Ma soprattutto significa porre il paziente al centro del sistema, umanizzare le cure. Riorganizzare l’assistenza, dando valore e riconoscimento ad attività che permettono e garantiscono una crescita consapevole dei pazienti nel sistema Sanità. Bisogna avere competenze specifiche per ottenere questi risultati e questo tipo di attività oggi non sono minimamente riconosciute come prestazioni e rappresentano invece un importante “pezzo” del nostro impegno quotidiano sul paziente. Del resto i modelli di approccio alla cronicità e i modelli di medicina centrata sulla persona sono una reale novità ed il sistema ha la necessità anch’esso di innovarsi.

Il Piano Nazionale del Diabete?
Sono trascorsi 26 anni dal precedente: il nuovo piano, del 2013, dà finalmente valore alle competenze di settore, riconosce il valore e l’importanza del team, dei processi di empowerment, stressa il concetto di continuità, quindi di rete. E rende la giusta importanza all’utilizzo appropriato della tecnologia. Una serie di obbiettivi precisi: clinici, assistenziali e, appunto, di empowerment.

Ma le criticità?
Quelle ci sono sempre, e sono tante. Se lo scenario è ben definito, e se i Piani Sanitari di patologia danno il giusto valore alle competenze specialistiche e di settore, non si capisce il perché sia scomparsa la visita diabetologica…

Diciamo che c’è un po’ di schizofrenia nella politica?
Nonostante le diffuse dimostrazioni del “peso” del diabete, le azioni dei decisori a volte sembrano incongruenti e la best practice rischia di risultare inappropriata. Il doveroso riconoscimento di tempo a disposizione è in realtà riferito a una specificità professionale che non può essere misconosciuta. Insomma, come diabetologo, come faccio a fare cose necessarie ma non riconosciute? Quanto vale il ‘mio’ tempo?

Problema insolubile?
Credo che il problema, forse, non sia tanto concettuale, quanto di attenzione dei decisori e di mancanza di strumenti per operare in modo appropriato. In altre parole, diventa indispensabile rendere evidenti le attività necessarie in una diabetologia moderna che sono diverse da quelle di qualche anno fa.

Cosa potrebbe servire?
Bisogna far emergere la best practice in diabetologia e legarla alle reali competenze necessarie.

Cos’è la best practice in diabetologia?
Tutte quelle attività attraverso le quali si ottengono i migliori outcome. Ovvero, come detto, appropriatezza e specificità. Ovvero, i progetti detti: NICE e DIA&INT…

Per ottenere?
La rielaborazione dei LEA e del nomenclatore, per dare un volto vero e concreto, cioè un modello, alla diabetologia, che ci certifichi professionalmente e sia esportabile anche in altre realtà.

Una prospettiva ambiziosa…
Vogliamo crescere, avere una identità precisa. Dunque, dobbiamo mettere a punto un sistema che consenta il collegamento con gli indicatori di performance di aziende e istituzioni, così da rendere misurabile il nostro operato. Un sistema che definisca le competenze necessarie alle attività in diabetologia, cioè il curriculum del team. Un sistema che sia in grado anche di analizzare le motivazioni sottese alle scelte terapeutiche.

E’ un tendere a categorizzare le competenze?
Le decisioni terapeutiche si prendono sulla base di conoscenze di diversa natura. Ad esempio, il modello DEPTH – documentation, experience, personal approach, training e heuristic – allontana il rischio di eccessiva semplificazione delle competenze necessarie a prendere le decisioni appropriate. Rischio che implica la conseguenza di “illusione di controllo” su situazioni che, invece, sono a rischio di caos.

Benefici? Dalla Diabetes Intelligence possiamo ottenere maggior indipendenza scientifica, maggior indipendenza nelle scelte formative, maggior indipendenza economica e maggior indipendenza strategica in generale. Dal curriculum del diabetologo possiamo ricavare migliori risultati di appropriatezza terapeutica, maggior coerenza ed efficacia nell’esercizio della professione del diabetologo e maggior possibilità d’incidere sulle scelte del servizio sanitario nazionale. Non mi par poco…

Quindi AMD cambierà?
Siamo già nel cambiamento…Le società scientifiche sono sempre in continua evoluzione perché evolvono con la cultura e il sistema. Questo è il loro compito: evolvere e far evolvere.

Domanda di parte: la comunicazione di AMD resta una priorità del nuovo CDN?
Certo. Dobbiamo sperimentare strumenti più moderni, fare anche comunicazione interna, essere squadra. Ai pazienti dobbiamo dare, con la comunicazione, consapevolezza del sistema e dei ruoli. Con altre società scientifiche dobbiamo comunicare per avviare sinergie per potenziarci e differenziarci. Dobbiamo comunicare per fare advocacy con le istituzioni. Dobbiamo comunicare per creare curiosità, interesse, ascolto. Per presentare dati concreti. Perché diventi indiscutibile per chiunque che un diabetologo possa essere sostituito solo da diabetologo.

Una sintesi?
Ci provo: il diabete è una malattia eterogenea nel genotipo e nel fenotipo. Impone percorsi articolati. Implica la negoziazione tra i bisogni della persona e della malattia. Chiede siano considerate la variabilità glicemica, le fluttuazioni circadiane, il rischio di ipoglicemia. Ma anche i fattori socioeconomici individuali e ambientali. E proprio perché eterogeneo, necessita di obiettivi di cura e aggressività diversificati. Chiede legittimazione a tutto tondo. E poiché è cronico, richiede modifiche dello stile di vita e aderenza nel lungo periodo. Ciò determina la necessità che lo specialista del diabete abbia capacità e competenze in ambito ovviamente clinico e farmacologico, che sappia personalizzare schemi di terapia sempre più complessi, ma che sia anche capace di motivare e rendere aderente il paziente a un trattamento che sarà per tutta la vita. Sia cioè capace di argomentare in modo efficace e sappia insegnare a interpretare i propri dati per rendere capace il paziente a gestire la propria terapia in modo consapevole. Questo è l’empowerment e per questo bisogna avere competenze di educazione terapeutica e di andragogia, che ci aspettiamo vengano prontamente riconosciute come atti sanitari di altissima qualità.

Una valutazione sulla prima votazione online per il rinnovo del Consiglio Direttivo Nazionale?
Un sistema moderno, che ha funzionato e merita di essere implementato.