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Alessandro Liberati: un impegno e una testimonianza

Il 1° gennaio scorso è morto Alessandro Liberati. Medico e professore associato di statistica medica della facoltà di Medicina dell’Università di Modena e Reggio, molti lo ricordano come fondatore del Centro Cochrane Italiano. Con “ragione e passione”, come è stato scritto, ha divulgato, promosso e difeso la medicina basata sulle evidenze e la partecipazione informata dei pazienti nella ricerca. Portando come esempio la sua esperienza di paziente affetto da mieloma multiplo, aveva sollecitato recentissimamente – in una lettera pubblicata su Lancet – una nuova governance della strategia di ricerca in cui devono essere coinvolte tutte le parti interessate, prima fra tutti i malati.

Pubblichiamo il testo di quella lettera apparsa su Lancet e rilanciata, tradotta, dal sito Partecipasalute, di cui Alessandro Liberati era stato uno dei promotori.
 


 

La ricerca clinica è motivata da diversi fattori. Alcuni maggiormente difendibili di altri. Tuttavia la maggior parte dei ricercatori clinici affermerebbe che la loro ricerca intende migliorare l’efficacia e la sicurezza delle cure. Ci sono esempi nei quali i pazienti riescono a influenzare ciò che viene studiato, ma in realtà queste sono solo delle eccezioni. 

Ho avuto l’opportunità di prendere in considerazione, da più punti di vista, il divario esistente tra quello che i ricercatori studiano e quello di cui i pazienti hanno davvero bisogno. Io sono un ricercatore, ho la responsabilità di assegnare fondi per la ricerca, e ho avuto un mieloma multiplo negli ultimi dieci anni. Pochi anni fa ho dichiarato pubblicamente che le incertezze incontrate all’inizio della mia patologia si potevano evitare. Quasi dieci anni dopo – dopo una ricaduta – ho guardato l’epidemiologia degli studi sui mielomi sul sito ClinicalTrials.gov. Al 31 luglio 2011 una ricerca con il termine chiave “mieloma multiplo” ha identificato 1384 studi. Di questi, 107 erano studi comparativi di fase II o III. Tuttavia, solo 58 di questi aveva come obiettivo la sopravvivenza globale, e in soli 10 quest'ultima rappresentava l’obiettivo primario. Nessuno studio clinico riguardava confronti tipo "testa a testa" tra diversi farmaci o tra diverse strategie. Nel frattempo, gli esperti ritengono che gli studi citogenetici e i profili di espressione genica metteranno in luce trattamenti personalizzati per il mieloma, mentre le aziende farmaceutiche evitano la ricerca che potrebbe mostrare che i farmaci nuovi e più costosi non sono migliori rispetto a quelli di confronto già presenti sul mercato.

Se vogliamo che informazioni più pertinenti diventino disponibili, è necessaria una nuova governance della strategia di ricerca. Non si può pretendere che i ricercatori, abbandonati a se stessi, affrontino l’attuale squilibrio. I ricercatori sono intrappolati all’interno dei loro interessi – professionali e accademici – che li portano a competere per finanziamenti dell’industria farmaceutica per fasi precoci di trial invece di diventare “campioni” di studi strategici, testa a testa e di fase III.

Non sono i gruppi di pazienti a modificare il modello prevalente di ricerca: data la mancanza di meccanismi espliciti per la prioritizzazione della ricerca, essi sono spesso dominati dagli esperti con interessi personali. Né il solo finanziamento pubblico riuscirebbe a risolvere il problema. E' necessario sviluppare politiche nella fase di pre-approvazione dello sviluppo di un farmaco, e questo processo necessita di una stretta collaborazione con le aziende farmaceutiche e continui input degli organismi regolatori.

Una componente essenziale di ogni nuovo modello di strategia sarebbe quella di riunire tutte le parti interessate, partendo da un’analisi delle ricerche esistenti e in corso prodotte indipendentemente da ogni interesse personale. Le associazioni di pazienti affetti da mieloma spendono milioni per sostenere la ricerca con la speranza di promuovere una migliore assistenza. Con il supporto della collettività dovrebbero essere in una posizione di forza per chiedere una ridefinizione dell’agenda di ricerca nell’interesse dei pazienti. Spero che questo approccio possa essere ulteriormente discusso su The Lancet per molte altre aree della ricerca clinica, e non solo in oncologia.

Alessandro Liberati