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XVI Congresso Nazionale AMD

Indice congresso    Report   

La tavola rotonda della I giornata del XVI Congresso Nazionale AMD si proponeva di fare il punto sulle attuali possibilità di prevenzione del diabete di tipo 2 (T2DM), e sulla loro trasferibilità nella pratica clinica. A moderare le relazioni di tre relatori di fama internazionale, Domenico Cucinotta (Messina) e G. Riccardi (Napoli).

J. Tuomilehto,
Finlandia

Il primo intervento aveva per oggetto la prevenzione della patologia sulla base dei risultati degli studi che hanno utilizzato solo l’intervento sullo stile di vita (dieta e attività fisica). A presentare i dati disponibili, a 5 anni di distanza dalla pubblicazione dei risultati del DPP, lo stesso Jaakko Tuomilehto (Helsinki, Finlandia), che ha ricordato come già E.P. Joslin, in un articolo apparso su JAMA nel 1921 (2 anni prima della scoperta dell’insulina), si ponesse il problema della prevenzione del T2DM. Anche in Finlandia, come nella maggior parte dei paesi occidentali, la prevalenza del diabete di tipo 2 è in rapido aumento, soprattutto con l’avanzare dell’età e nel sesso maschile (FIN-D2D Survey 2004). Lo studio DECODE, condotto su un campione di popolazione europea, documenta come il rischio di sviluppare la malattia nell’arco della vita, in forma clinica, sub-clinica o ignota, riguardi il 70% delle persone. Il DPS (The Finnish Diabetes Prevention Study; N Engl J Med 2001si proponeva di valutare se un intervento sullo stile di vita che prevedesse la riduzione dell’apporto di grassi (e in particolare di quelli saturi), l’aumento di quello di fibra e l’incremento dell’attività fisica a oltre 30 minuti/die, potesse ridurre il passaggio dall’IGT al diabete conclamato in una popolazione di oltre 500 soggetti sovrappeso (età: 40-65 anni). Come è noto, non solo il risultato fu raggiunto con esiti superiori all’atteso (riduzione del 58% del passaggio a T2DM a 6 anni), ma si osservò anche il miglioramento di ogni componente della sindrome metabolica (Figura 1 e Figura 2).

Figura 1

Figura 2

Tale effetto, confermato da altri tre studi di prevenzione basata sulla modificazione dello stile di vita, risultò manifestarsi già dopo 2 anni di malattia. Ogni elemento del programma d’intervento dimostrò di contribuire a fornire risultati efficaci; quello che più colpì, tuttavia, fu la possibilità di raggiungere un esito tanto importante con modificazioni non drastiche del comportamento, applicabili alla maggior parte degli individui. Tali risultati, inoltre, si confermarono nello studio di estensione del follow-up (Lindström et. al. Lancet 2006), a indicare che il cambiamento dello stile di vita, anche solo per un paio di anni, fornisce risultati importanti e duraturi sul metabolismo glicemico. Il Prof. Tuomilehto ha sottolineato l’importanza di piccoli cambiamenti comportamentali, purché continuati: evitare l’assunzione di 1 biscotto al giorno (50 kcal) produce, in un anno, una riduzione dell’introduzione calorica pari a oltre 18.000 kcal, equivalenti alla perdita di 2,5kg; lo stesso vale per l’aggiunta di 1km di cammino a ogni propria giornata (7000Kcal = 1kg di massa grassa). Non è mai troppo tardi per modificare il proprio stile esistenziale: risultati positivi si riscontrano per tutti i gruppi di età e di peso corporeo (Figura 3 e Figura 4).

Figura 3

Figura 4

Vista l’importanza della posta in palio, il sistema sanitario finlandese sta realizzando un programma di prevenzione basato sul calcolo di un punteggio di rischio individuale di sviluppare diabete (FINDRISK, FINnish Diabetes RIsk Score). L’intervento del prof. Tuomilehto si è concluso con alcuni cenni sul contributo genetico, in aggiunta a quello ambientale, per quanto riguarda il rischio di sviluppare la malattia (polimorfismo del PPAR-gamma, ecc.).

H.C. Gerstein, 
Canada

La prevenzione del diabete attraverso l’impiego di farmaci è stata trattata da Hertzel C. Gerstein (Hamilton, Ontario; Canada), che ha esordito dimostrando al pubblico presente in sala (con un sondaggio in diretta, per alzata di mano) come la disponibilità di ciascuno di noi ad assumere un farmaco quotidianamente, per tutta la vita, come profilassi, dipenda dalla nostra percezione di gravità della patologia da prevenire. Gli attuali criteri diagnostici per il diabete sono stati concordati sulla base del rischio, associato ai vari livelli di glicemia, di sviluppare complicanze microvascolari (retinopatia e nefropatia, in primis); tuttavia, il rischio di sviluppare complicanze macrovascolari (cardiopatia ischemica, ictus, scompenso cardiaco, demenza, mortalità complessiva) aumenta progressivamente già per livelli glicemici inferiori, rispetto a quelli stabiliti; la glicemia, cioè, è un fattore di rischio continuo e progressivo. Per quanto riguarda le condizioni di pre-diabete (IFG e IGT), queste si associano a un rischio elevato di sviluppare la malattia in forma conclamata, ma a un basso rischio di eventi e mortalità cardiovascolari. Quali sono dunque le ragioni per cercare di prevenire l’insorgenza del diabete? Se il motivo è legato alla riduzione dell’impatto delle sue conseguenze, lo sforzo risulterà senz’altro efficace per abbattere le spese di gestione della patologia, così come sarà probabilmente utile ai fini della riduzione del rischio di complicanze microvascolari; ma non esiste alcuna evidenza in merito alla possibile diminuzione del rischio di amputazioni, di patologia cardiovascolare, di deficit erettile, di declino cognitivo, ecc. La presentazione è proseguita con l’illustrazione delle varie possibilità farmacologiche di prevenzione del diabete di tipo 2, sulla base delle evidenze prodotte dalla letteratura. Nello studio DREAM (Elliot et al. Lancet 2007) è stata analizzata l’efficacia in tal senso, su una popolazione complessiva di quasi 150.000 individui, derivante dall’impiego di vari farmaci antiipertensivi, con un vantaggio a favore di sartani e ACE-inibitori sulle altre classi (Figura 5).

Figura 5

Risultati significativi (-60% d’incidenza), in prevenzione primaria, sono stati registrati anche con l’assunzione di rosiglitazone (molecola attualmente al centro di un’accesa discussione), nonostante gli sfavorevoli effetti sul peso e sulla circonferenza addominale. Su mille persone, attraverso l’assunzione per 3 anni del glitazone, si registrerebbero 144 casi in meno di T2DM e 4 casi in più d’insufficienza cardiaca (Figura 6).

Figura 6

Sono attualmente in corso diversi studi di prevenzione primaria, in pazienti con IGT, attraverso l’impiego di farmaci: il NAVIGATOR (9300 persone trattate con valsartan + nateglinide), il CANOE (n=200; rosiglitazone + metformina), l’ACT NOW (n=600; pioglitazone) e l’Indian DPP (n=500; pioglitazone); altri trial prevedono la prevenzione del diabete come outcome secondario. Al momento, nessun farmaco possiede l’indicazione per la prevenzione del T2DM (con l’eccezione dell’acarbose, in Cina), ma il processo è in evoluzione continua; la molecola con le migliori caratteristiche in tal senso è probabilmente la metformina (è stata la risposta a una domanda del pubblico). Gerstein ha poi concluso ricordando come gli ultimi 7 anni ci abbiano insegnato molte cose su come prevenire il diabete, ma molto poco sui meccanismi alla base di tali risultati.

S. Colagiuri, 
Australia

L’ultimo intervento, che affrontava il tema delle difficoltà di applicabilità dei risultati discussi nelle prime due relazioni a livello di programmazione sanitaria, è stato affrontato da Stephen Colagiuri (Sydney, Australia), che ha esordito ricordando l’impegno manifestato dalle Nazioni Unite (in collaborazione con l’IDF) attraverso la recente risoluzione 61/255, che prevede, oltre all’istituzione di una giornata mondiale del diabete (14 novembre), l’incoraggiamento ai governi locali a implementare iniziative locali rivolte alla prevenzione e al trattamento della malattia.

Il Prof. Colagiuri ha quindi presentato l’esperienza della sanità australiana, Paese di 21 milioni di abitanti con una prevalenza di T2DM del 7,4% (3,7% i casi noti), e un 16,3% di IFG/IGT. Anche in quest’area del globo la patologia è in rapido aumento d’incidenza, con conseguenze economico-sanitarie sempre più di rilievo (riduzione della produttività e della forza lavorativa, con una diminuzione conseguente del gettito fiscale e un aumento dell’impiego delle risorse sanitarie). Pragmaticamente, secondo la tipica mentalità anglosassone, i motivi che nel febbraio 2006 hanno indotto i governanti australiani a programmare un intervento di prevenzione del diabete sono stati economici, più che umanitari. Come prima iniziativa, il sistema si è dotato di uno strumento di quantificazione del rischio di sviluppare la malattia, analogamente a quanto illustrato dal Prof. Tuomilehto per il programma FINDRISK. Tale intervento è stato propedeutico allo sviluppo di un programma nazionale di modificazione dello stile di vita, secondo le indicazioni di un panel di esperti. Grazie alle iniziative AusDiab I e II (Figura 7) si è calcolata l’epidemiologia delle condizioni di pre-diabete, con il proposito di realizzare, entro l’estate 2008, un Australian Risk Score sulla base della presenza di una serie di fattori di rischio (familiarità per la malattia, età, BMI, livello di attività fisica, positività anamnestica per diabete gestazionale, assunzione di farmaci antiipertensivi o ipocolesterolemizzanti). La valutazione individuale, ai fini della rilevazione di un rischio elevato di malattia nei soggetti di età compresa tra 40-49 anni, sarà affidata ai medici di medicina generale (MMG), appositamente remunerati con un grant supplementare. Per quanto riguarda le iniziative vere e proprie di prevenzione, si tratterà di programmare iniziative di modificazione dello stile di vita efficaci ai fini del miglioramento dei parametri metabolici, nel rispetto delle possibilità di implementazione su vasta scala. Ispirandosi al DPS finlandese e al Diabetes Prevention Studystatunitense, le autorità sanitarie cercheranno di ottenere una riduzione del peso (>5%) attraverso la modificazione della dieta e l’incremento dell’attività fisica (aerobia e non), anche grazie all’organizzazione di sessioni di gruppo (gestite dagli MMG) per pazienti ad alto rischio (il 20% circa della popolazione generale). Si stima che tale iniziativa possa ridurre l’incidenza di diabete del 24%. Per quanto riguarda la popolazione generale, il governo conta di puntare, unitamente alle iniziative pubbliche, sulla responsabilizzazione individuale nei confronti della modificazione dello stile di vita.

Figura 7

Il Prof. Colagiuri ha citato il caso di Nauru, isola del Pacifico nella quale la scoperta delle risorse di fosfati organici, all’inizio del secolo scorso, ha portato benessere e sovrappeso nella popolazione indigena, con un incremento del 30% dei casi di diabete; con l’esaurimento delle risorse e la perdita di tale “benessere”, l’incidenza di malattia è scesa al 16%(!). Il relatore ha rammentato che “la prevenzione è una responsabilità sia pubblica sia personale”, e che per superare le difficoltà organizzative occorre suggerire alle autorità sanitarie strategie percorribili e obiettivi realizzabili, nella speranza che queste dispongano delle risorse finanziarie necessarie. Prevenire il diabete è molto difficile, ma è una “mission possible”. Insieme, sarà più facile.