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Diabete.it

D come Donna, e come Differenza

In molti Paesi le donne con diabete sono curate meno e in modo meno intensivo rispetto agli uomini. In Italia non è così: la rete dei Servizi di Diabetologia garantisce eguali opportunità di cura. Ma esistono differenze fisiologiche che rendono più difficile per le donne raggiungere il compenso glicemico. Intervista a Valeria Manicardi

Intervista a Valeria Manicardi

Direttore del gruppo Donna di AMD

In questo secolo, finalmente, la medicina ha iniziato a indagare le differenze fra femmine e maschi nell’andamento delle patologie croniche e nell’efficacia delle cure. È nata così la ‘medicina di genere’, vale a dire l’indirizzo di studi che analizza le specificità della patologia e dell’assistenza nei due generi.

Un indirizzo di studi con un grande avvenire e molto lavoro da fare, «perché per molti anni la maggior parte degli studi scientifici per valutare sicurezza ed efficacia dei farmaci in vista della loro autorizzazione al commercio, erano effettuati per ragioni pratiche in larga misura su soggetti di sesso maschile», spiega Valeria Manicardi, direttore del gruppo Donna di AMD. «Questi farmaci ‘testati sui maschi’ possono avere un’efficacia o effetti collaterali diversi quando prescritti alle donne».

Il Gruppo Donna ha intrapreso in questi ultimi anni una serie di studi basati sulla formidabile base degli Annali AMD che raccolgono i dati delle cartelle cliniche di centinaia di migliaia di persone con diabete in Italia. «Sono emersi dati interessanti e confortanti», riassume Valeria Manicardi che dirige l’Unità Complessa di Medicina Interna presso l’ospedale di Montecchio Emilia in provincia di Reggio Emilia.

All’estero infatti ricerche simili avevano rilevato una ‘discriminazione di genere’. «In molti paesi le donne risultavano seguite più tardi, in numero minore e con minore intensità rispetto ai maschi. In Italia per fortuna non è così», riassume Valeria Manicardi, «merito della rete italiana di Servizi di Diabetologia che è un unicum a livello internazionale e che si prende carico fin dal primo momento del paziente seguendolo durante tutta la sua vita con il diabete».

Ma veniamo ai dati: il diabete di tipo 2 è leggermente più frequente nei maschi che nelle femmine (55% contro 45%). «Ma i dati raccolti su un ‘campione’ di 451 mila casi, 180 mila dei quali relativi a donne, ci dicono che maschi e femmine arrivano ai Servizi di Diabetologia nelle stesse condizioni di controllo glicemico», spiega Valeria Manicardi, che è stata presidente della Sezione Regionale AMD Emilia Romagna e membro del Comitato Direttivo Nazionale di AMD.

Purtroppo però in tutte le fasce di età, le femmine fanno più fatica a mantenere il controllo glicemico. E lo stesso vale per il profilo lipidico che è sempre decisamente peggiore. In particolare le donne già alla diagnosi hanno valori di colesterolo LDL (il colesterolo aterogeno o “cattivo”) più elevati, e raggiungono di meno il target di LDL < 100 mg/dl.

«In parte questa difficoltà può essere legata al sovrappeso e all’obesità che sono più frequenti nelle donne, ma le differenze rimangono anche dopo aggiustamento per queste differenze. Ci sono probabilmente differenze biologiche specifiche, come la maggiore variabilità ormonale sia durante il ciclo sia nella pre-menopausa e nella menopausa, che rende fisiologicamente più difficile per le donne raggiungere gli obiettivi di compenso glicemico e lipidico. Non abbiamo dati sulla aderenza alla terapia, ma non ci sono ragioni per pensare che ci siano differenze di genere».

Questi risultati ci sono a parità di trattamento con statine, ed è stata dimostrata nelle femmine una ‘resistenza’ alle statine. «Vediamo qualcosa di simile anche per la pressione arteriosa: il compenso ottenuto da maschi e femmine con diabete è simile ma per ottenerlo le donne hanno bisogno di cure più intensive: la quota di femmine trattate con due o più farmaci per la pressione è maggiore rispetto ai maschi», riporta Valeria Manicardi, «così come ci sono più donne in trattamento insulinico o combinato (insulina + farmaci orali). L’insieme di questi dati fa sì che il rischio cardiovascolare complessivo delle donne con diabete sia peggiore rispetto a quello dei maschi: lo Score Q di qualità di cura complessivo è peggiore nelle donne».

Uno studio analogo è stato svolto nel 2014 sulla popolazione italiana con diabete tipo 1: sono stati analizzati i dati di 28 mila donne con diabete di tipo 1. Anche questo tipo di diabete colpisce più spesso i maschi (55%) che le femmine; l’età media è simile e così la durata di malattia.

«Anche nel diabete di tipo 1 vediamo in ogni età che le donne fanno più fatica a rimanere sotto il 7% di emoglobina glicata (53 mmol/mol) rispetto gli uomini. Il trattamento è più intensivo e prevede più spesso il ricorso al microinfusore (19% verso 14%), ma le differenze restano», conclude Valeria Manicardi.