Gli integratori alimentari servono davvero?
Intervista a Maria Altomare
Dietista nel team di diabetologia dell’ospedale Pertini di Roma
Sono qualcosa più di un cibo, qualcosa meno di un farmaco. Sicuramente sono un business che cresce in un settore ancora non abbastanza controllato. Parliamo dei ‘nutraceutici’ cioè di quei prodotti a metà fra il settore alimentare e quello farmaceutico. Ne esistono migliaia, reperibili indifferentemente presso i supermercati, le farmacie o le erboristerie.
In sintesi sono principi attivi naturali estratti o riprodotti e riproposti ad alta concentrazione sia addizionati a ‘normali’ alimenti (latte o yogurt ad esempio) sia sotto forma di pillola, polvere o caramella o altro. Si tratta di vitamine, probiotici (ad esempio i fermenti lattici), anti-ossidanti come i caroteni o i polifenoli, acidi grassi polinsaturi (omega 3 e omega 6) o di concentrati di fibre.
Fanno bene? Rispondere a questa domanda non è facile. Per dire che una sostanza o un comportamento ‘fa bene’ occorre studiare una ampia popolazione di persone, verificare che assuma la sostanza e adotti il comportamento e studiarne gli effetti per un periodo di tempo più lungo possibile, confrontandolo con una popolazione identica che invece non ha assunto la sostanza (o ha assunto un placebo) o che non ha adottato quel comportamento. Studi di questo tipo sono estremamente costosi e di rado vengono intrapresi se non vi è l’interesse da parte del soggetto che ha un interesse specifico (ad esempio un brevetto).
«Questo spiega perché sugli effetti delle sostanze naturali abbiamo pochi dati assolutamente certi. E ancora meno ne abbiamo sui prodotti che inseriscono questi principi attivi in ‘quasi-farmaci’ come pillole o dentro altri alimenti», nota Maria Altomare, dietista nel team di diabetologia dell’ospedale Pertini di Roma, «sicuramente assistiamo da molti anni a un boom di questi prodotti che sono molto spinti dalle aziende: sia da aziende del settore farmaceutico sia da aziende alimentari», afferma Maria Altomare, «pediatri e medici di medicina generale fanno molta fatica a resistere alle pressioni di genitori e pazienti che desiderano farsi prescrivere o consigliare vitamine o neurostimolatori per i loro bambini o ‘qualcosa per dimagrire’».
In linea di principio una alimentazione sana e variata, insieme a qualche ora all’aria aperta, dovrebbe permettere al corpo di assumere e sintetizzare tutte le sostanze di cui ha bisogno. «Ci possono essere però delle eccezioni e delle situazioni in cui una integrazione può essere prevista. Un esempio? Le Linee guida richiedono alla persona con diabete di assumere 40 grammi di fibre al giorno. È davvero tanto: visto che frutta e verdura sono ricche d’acqua, per raggiungere questo obiettivo occorrerebbe mangiarne diversi etti al giorno. Un integratore: dalla classica crusca concentrata ad altri preparati, può aiutare a facilitare il transito intestinale e a rendere più omogeneo il passaggio degli zuccheri nel sangue, cosa importante per chi ha il diabete», spiega la dietista romana, «un altro esempio sono i fitosteroli, sostanze naturali che sono meno efficaci rispetto ai farmaci, ad esempio rispetto alle statine, ma che possono essere prese in considerazione o prima di passare alle statine o nelle persone allergiche a questa categoria di farmaci. In ogni caso la supplementazione di sostanze naturali non può sostituire le regole di una sana alimentazione, caso mai si aggiunge ad essa e la completa».
«Non bisogna aspettarsi troppo da questi nutraceutici, dando retta a una pubblicità che è molto meno controllata rispetto a quella dei farmaci. Non sono una ‘alternativa’ alle terapie prescritte», spiega Maria Altomare che si è laureata e specializzata presso l’Università Campus Biomedico di Roma, «ma non bisogna nemmeno sottovalutarle. Anche se si trovano sugli scaffali del supermercato, l’assunzione di queste sostanze va discussa con il diabetologo o con la dietista. Anche per evitare di… buttare via dei soldi. Per fortuna», conclude la dietista del Team di Diabetologia dell’ospedale Pertini di Roma, «la persona con diabete è più attenta a quello che assume e ha accesso almeno una o più volte l’anno a del personale esperto in questo campo».