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Impatto del setting assistenziale e della specialità del medico sulla qualità della cura nei pazienti con diabete di tipo 2

 

Nella prospettiva di garantire al paziente la cura migliore e allo stesso tempo di contenere i costi dell’assistenza sanitaria si è assistito alla presa di coscienza della necessità di valutare e di promuovere la qualità delle prestazioni fornite. L’outcome research, in altre parole la valutazione dei risultati dell’assistenza erogata, utilizza proprio l’eterogeneità dell’assistenza come osservatorio per la valutazione delle strategie assistenziali più efficaci in condizione di normale pratica clinica, e permette di conseguenza di indirizzare gli investimenti e di concentrare gli sforzi su quelle modalità assistenziali che presentano una più alta probabilità di produrre un beneficio in termini sia clinici che di qualità della vita.

La valutazione della qualità dell’assistenza, soprattutto quando si voglia confrontare l’operato di strutture diverse, pone inoltre particolari problemi metodologici. Le differenze riscontrate in termini di procedure adottate e di risultati ottenuti potrebbero infatti, almeno in parte, dipendere dalle caratteristiche degli assistiti, dalla complessità e dall’eterogeneità delle popolazioni di pazienti (misure di “case-mix”). La qualità della cura erogata a pazienti assistiti nell’ambito di una stessa struttura o da uno stesso medico tende, inoltre, ad essere molto più simile e omogenea di quanto possa essere l’assistenza erogata in centri diversi. In altre parole, esiste una correlazione tra le osservazioni relative a pazienti assistiti da uno stesso medico o struttura (effetto di clustering). Per tale ragione è fondamentale ricorrere a tecniche statistiche che tengano in debita considerazione la natura gerarchica dei dati. Non tenere conto delle diversità nelle caratteristiche dei pazienti potrebbe portare a conclusioni del tutto erronee riguardo la qualità dell’assistenza erogata, mentre non considerare la forte correlazione fra i profili assistenziali di soggetti seguiti presso una stessa struttura può determinare una sotto o sovrastima delle differenze di operato riscontrate fra strutture diverse. È quindi necessario compiere ogni sforzo per eliminare qualsiasi fonte di distorsione nella pianificazione, conduzione e analisi dei dati.

Lo studio QuED (Qualità della cura ed Esito in Diabetologia), nato da un’iniziativa del Consorzio Mario Negri Sud, in collaborazione con la Società Italiana di Diabetologia, l’Associazione Medici Diabetologi e il Centro Studi e Ricerche in Medicina Generale, è uno studio osservazionale longitudinale della durata complessiva di 5 anni, che rappresenta un esempio di outcome research applicato in campo diabetologico. È rivolto ad indagare il rapporto esistente fra l’assistenza erogata ai pazienti con diabete di tipo 2 e i risultati ottenuti.

In particolare esso si propone di valutare l’impatto dei diversi stili di pratica su misure di esito soggettive (stato funzionale, qualità della vita, soddisfazione), e oggettive (controllo metabolico, controllo dei fattori di rischio cardiovascolari, sviluppo delle complicanze, consumo di risorse).

Erano eleggibili per lo studio tutti i pazienti con diabete di tipo 2, di qualsiasi età e di entrambi i sessi, a prescindere dal trattamento ricevuto e dalla severità del diabete o delle patologie concomitanti. I pazienti sono stati reclutati sia da Medici di Medicina Generale (MMG) che da Servizi di Diabetologia (SdD).

Al progetto partecipano 112 MMG e 114 SdD (per un totale di 211 diabetologi) dislocati su tutto il territorio nazionale. Complessivamente, a fronte di un campione previsto di 2000 pazienti sono stati reclutati 3700 soggetti con diabete di tipo 2.

Nell’ambito dello studio QuED sono stati valutati nell’arco di 24 mesi i profili assistenziali dei pazienti con diabete di tipo 2 seguiti dai SdD e dai MMG. Il ruolo dei medici generici e degli specialisti nella gestione del diabete è infatti ancora oggetto di dibattito. I pochi studi condotti sull’argomento indicano che gli specialisti ottengono risultati migliori in termini di processo, senza tuttavia differenze sostanziali in termini di outcome.

 

Il confronto fra le due modalità assistenziali è stato basato su misure di processo e di esito intermedio. Fra le prime sono state considerate le percentuali di pazienti con: ³ 2 misurazioni/anno dell’HbA1c; ³ 1 misurazione/anno di colesterolo totale, HDL, trigliceridi, creatinina, proteinuria; ³ 1 esame/anno dei piedi e del fondo dell’occhio. Gli indicatori di outcome intermedio considerati comprendevano i valori di HbA 1c, pressione arteriosa e colesterolo totale.

Dopo aver aggiustato l’analisi per tutte le caratteristiche dei pazienti le strutture specialistiche sembrano garantire standard più elevati rispetto ai MMG per quanto riguarda le misure di processo relative al monitoraggio della malattia e delle sue complicanze. Le differenze riscontrate in termini di misure di processo tra MMG e specialisti sono dovute quasi esclusivamente al confronto tra MMG e diabetologi. Le differenze tra i MMG e gli altri specialisti presenti nei SdD appaiono meno marcate e non sistematiche. Non è tuttavia emersa nessuna differenza significativa per quanto riguarda gli indicatori intermedi di esito in termini di controllo metabolico e pressorio. Per quanto riguarda le misure di outcome considerate, livelli più soddisfacenti di colesterolo totale sono stati ottenuti molto più frequentemente dai pazienti seguiti dai SdD rispetto ai pazienti assistiti dai MMG, a prescindere dalla specializzazione del medico che opera nel SdD. Questo dato è supportato anche dalla maggiore proporzione di pazienti dislipidemici in trattamento con farmaci ipolipemizzanti riscontrati nei SdD rispetto alla medicina generale.

Le misure di risultato intermedio (controllo metabolico, pressorio e lipidico) appaiono maggiormente influenzate dalle caratteristiche individuali dei medici, a prescindere dal contesto assistenziale. Le modalità di erogazione dell’assistenza sono a loro volta implicate nel determinare i risultati della cura. Particolarmente importante sembra essere la continuità dell’assistenza, intesa sia come regolarità di accesso, sia come possibilità di avere sempre lo stesso interlocutore. I soggetti seguiti da medici diversi all’interno della struttura specialistica mostravano infatti risultati meno soddisfacenti in termini di controllo metabolico e lipidico, rispetto a pazienti seguiti sempre dallo stesso specialista, soprattutto se quest’ultimo adottava un atteggiamento “aggressivo” nel controllo dei fattori di rischio. Le strutture specialistiche dovrebbero quindi essere organizzate in modo tale da facilitare questa continuità di rapporto, oltre a promuovere una gestione realmente condivisa con il medico di famiglia.

Maggiore attenzione dovrebbe essere rivolta a minimizzare le differenze esistenti in termini di qualità della cura, a diminuire le cure non indispensabili e inappropriate, a promuovere un approccio di gestione condivisa della cura del diabete. A questo proposito, un primo importante passo è rappresentato dagli interventi educativi strutturati rivolti alla medicina generale e agli altri specialisti coinvolti nella cura del diabete, con lo scopo di raggiungere lo stesso livello di cura offerto dai diabetologi.

È auspicabile che il moltiplicarsi di iniziative di valutazione della qualità della cura, metodologicamente corrette e allargate il più possibile a strutture specialistiche e non, possa rappresentare un valido stimolo per ricondurre il dibattito sulla sanità sui binari della rilevanza clinica e dei bisogni inevasi degli assistiti, vincolando gli aspetti economici ai risultati ottenuti.

Giorgia De Berardis
Dip. Farmacologia clinica ed Epidemiologia
Consorzio Mario Negri Sud, Chieti


Commenti

Cari Amici,

la nostra rubrica vorrebbe essere un momento di stimolo alla discussione e di analisi di eventi talvolta contraddittori (vedi il problema della conservazione dell’insulina).

L’articolo preparato dal gruppo di Antonio Nicolucci, dell’Istituto Mario Negri Sud (Chieti), sull’analisi dei risultati ottenuti dall’assistenza ai diabetici nei servizi di diabetologia e dai MMG, ci pare un buon argomento di riflessione.

Esprimendo il nostro apprezzamento per lavoro, che riteniamo estremamente interessante e nuovo perché prende in esame degli strumenti semplici di verifica di processo e di risultato che potremmo provare ad utilizzare tutti, tentiamo di lanciare alcuni spunti di discussione sui risultati proposti.

Una delle conclusioni del lavoro è che, sulla base delle valutazioni degli outcome, essere curati da uno stesso specialista diabetologo darebbe risultati migliori che essere seguiti da diversi membri del gruppo.

È evidente che tra medici diversi ci possono essere modalità di approccio diverse e opinioni diverse, anche sui metodi di cura, tuttavia in un team ben strutturato le linee generali di comportamento dovrebbero essere condivise. D’altra parte, nell’esperienza quotidiana, capita talvolta di sentirsi dire dai pazienti di aver ricevuto consigli poco omogenei nell’ambito dello stresso gruppo, e ciò è curioso in tempi di EBM.

Questo potrebbe essere un messaggio che ci dice che non abbiamo ancora imparato, nei nostri Servizi, a condividere in modo adeguato le linee di comportamento, sia all’interno del team sia nella comunicazione con il MMG.

Crediamo inoltre che attuare gli interventi educativi strutturati rivolti alla medicina generale e agli altri specialisti coinvolti nella cura del diabete, con lo scopo di raggiungere lo stesso livello di cura offerto dai diabetologi, sia uno dei compiti peculiari del diabetologo.

Diabetologo che nella fattispecie è uno specialista “dedicato” che dovrebbe coordinare e collaborare con tutti gli altri attori alla gestione della malattia diabete.

Questa funzione di coordinamento potrebbe, forse, riuscire a colmare il divario individuato dal lavoro tra i risultati di assistenza tra Servizi Diabetologici e MMG.

Abbiamo lanciato alcuni spunti di riflessione e restiamo in attesa di altre osservazioni che saranno pubblicate su infodiabetes.

La redazione di www.infodiabetes.it