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Una “rete” per la libertà dell’individuo, della scienza, della medicina, del nostro domani?

Intervista a Gianni Vattimo, il filosofo del “pensiero debole”, sull’importanza della comunicazione nell’era di Internet e il suo rapporto con la conoscenza scientifica e la società

di Marco Comoglio


L’idea di affrontare il problema della comunicazione medico-scientifica con un taglio diverso da quanto siamo abituati a fare noi medici è venuta durante una riunione della redazione del nostro sito www.infodiabetes.it.

A tutti è piaciuta l’idea di provare a sentire il parere di un esperto che avesse una visione diversa da quella tipicamente tecnica e pragmatica che contraddistingue noi medici, per valutare, da una angolazione diversa, il significato e l’impatto sia sulla cultura medica che sui cittadini/pazienti della diffusione della informazione scientifica tramite la rete.

Abbiamo allora contattato il Prof. Gianni Vattimo, che ringrazio per la disponibilità dimostrata.

Gianni Vattimo, torinese, dal 1964 insegna all’Università di Torino, dove è stato anche Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia. Visiting professor in alcune università statunitensi (Yale, Los Angeles, New York University, State University of New York), europarlamentare, editorialista e commentatore, Vattimo è soprattutto noto per il “pensiero debole”, una filosofia che pensa la storia dell’emancipazione umana come una progressiva riduzione della violenza e dei dogmatismi e che favorisce il superamento di quelle stratificazioni sociali che da questi derivano. Rimanendo fedele alla sua originaria ispirazione religioso-politica, ha peraltro sempre coltivato una filosofia attenta ai problemi della società, non ultimo le tematiche e i problemi della comunicazione.

Professor Vattimo, nel ’97 lei scrisse un articolo – È una rete senza centro ma ci dà un premio: la libertà – dove affermava che la libertà dell’uomo può essere molto condizionata da una organizzazione centralizzata della società. La “rete” avrebbe potuto cambiare l’atteggiamento dei filosofi verso la tecnologia e le sue applicazioni sociali. A distanza di alcuni anni, dopo il progressivo incremento dell’uso di Internet, si può ancora dire che la “rete” potrebbe portare uno spirito di libertà alla società oppure è nuovamente la “rete” al centro della società che modella i comportamenti dell’uomo?

Effettivamente, il termine “rete” riassume tutte le ambiguità che appartengono al fenomeno: la rete è insieme una prigione e un sistema di connessioni in cui ci si può, o ci si potrebbe, muovere. Il mio scritto del ‘97 mi appare, oggi, alquanto ottimista. Sul piano politico, per esempio, ho dovuto constatare che il peso della comunicazione si è esercitato soprattutto nel senso di una riduzione della libertà dei cittadini. Ma anche su questo devo ammettere che non desidero irrigidire troppo il giudizio. In generale, essere “collegati” – cablati, branché, ecc. – significa aprire nuove vie alla pressione esercitata sulle nostre scelte: pubblicità, propaganda politica, ecc. Continuo però a pensare che il guadagno che deriva dalle accresciute possibilità di comunicare, non solo ricevendo ma anche inviando messaggi, sia maggiore delle perdite e dei danni. Si tratta solo –non è facile, certo – di mantenere aperti i canali, non permettere che siano monopolizzati, limitati, ecc. Saperne di più ci aiuta. Se poi con la rete siamo solo soggetti a maggiori controlli (i dati privati di tutti coloro che volano in USA, che oggi il governo americano immagazzina per motivi di sicurezza antiterroristica prefigurano un mondo totalmente “schedato”), la comunicazione ridiventa unidirezionale – qualcuno sa tutto di noi, ma noi non sappiamo niente di lui o di loro… Per me, oggi, è sempre più questione di politica, di effettivi controlli democratici sull’uso delle informazioni.

Apparentemente niente è più semplice e naturale del comunicare. Anche la medicina negli ultimi anni si è appropriata dei mezzi di comunicazione in modo massiccio, in particolare della “rete”.Questa diffusione della comunicazione medico scientifica può veramente essere considerata positiva?

Se si guarda alla cosa dal punto di vista della liberazione dalla alienazione legata alla divisione del lavoro sociale – secondo le classiche idee di Marx – allora l’ideale sarebbe un mondo dove tutti sappiano curarsi da sé, unendo in se stessi il medico e il paziente. Naturalmente, come in molti altri campi, questo ideale può essere solo un ideale regolativo, un criterio “ultimo” a cui ispirarsi. Ma nell’idea di una società della comunicazione ci deve essere anche questo: per moltissimi “mali” minori, o diffusi, ecc. dovrebbe bastare consultare informazioni sulla rete per autoprescriversi i farmaci, o comunque le cure… Come sempre, si tratta di rendere egualitaria la competenza di ciascuno. Però oggi solo una parte dell’umanità accede alla rete…

Al contrario del “bene materiale” che, diffondendosi, può dare profitto ma anche ridursi di entità, il “bene spirituale”, la conoscenza, diffondendosi può soltanto accrescersi e forse anche migliorare. Internet applicato alla informazione medico-scientifica ha svolto questo ruolo di potenziamento?

Non posso rispondere sul piano specifico dell’informazione medico-scientifica. Certo, in termini generali, la questione è sempre dell’alfabetizzazione di base, anche perché là dove si tratta di farmaci e simili c’è sempre il rischio di errori fatali. Insomma: basta il dialogo del singolo “informato” con la macchina? Non vorremmo rinunciare del tutto al medico. Che, si è sempre detto, è un pò “come il confessore”. Ci si può confessare alla rete? Quello che mi piace di più della rete, forse, è che aumenta le possibilità di comunicare tra persone, dunque non riducendo ma anzi intensificando le relazioni interpersonali… Si vedano i molti aspetti positivi delle chat erotiche, degli incontri sentimentali sul net, ecc.

Se questo ruolo di potenziamento è stato svolto da Internet, come moltiplicatore della conoscenza e dell’informazione, questa diffusione eccessivamente aperta, strumentalizzata e non controllata del dato (che può dare adito ad errori di interpretazione e uso) che significato e quali risvolti può avere sulla conoscenza stessa?

È quel che dicevo sopra. Usare il net è utile, e forse solo “umanamente” possibile, se lo si usa insieme, non da soli. L’interpretazione “giusta” di un messaggio non è mai un lavoro totalmente individuale, avviene sempre dentro una qualche “comunità degli interpreti”…

La diffusione della ricerca/conoscenza medico-scientifica favorita dalla “rete” ha contribuito a dare un risvolto più sociale alla scienza medica stessa?

Anche qui ho poche esperienze da allegare. Da questo punto di vista sono un dinosauro, uno legato alle buone vecchie abitudini. Finora ho pensato che la rete serviva ai medici e agli operatori del settore, per esempio per l’epidemiologia, per i protocolli unificati di cura, soprattutto là dove si è in via sperimentale (AIDS, tumori, ecc.). Ma certo la prospettiva di renderci tutti un po’ meno incompetenti sul nostro corpo, le malattie, le cure, è una grande possibilità che vorrei vedere più esplorata…

Per scendere nel concreto, la “rete”, dal punto di vista del filosofo, potrà portare un miglioramento a quella parte di mondo che finora più che problemi di comunicazione ha problemi di sopravvivenza?

Sono in linea di principio ottimista, anche sulla possibilità che la comunicazione sia decisiva per l’emancipazione, e la vera e propria sopravvivenza, dell’immenso “terzo mondo” che ci circonda e che, sempre più, se non cambiamo, ci minaccerà in futuro. Oggi questo terzo mondo dispone del 15 per cento delle risorse per l’85 per cento dell’umanità. Basterà l’uso della rete per liberarlo dal bisogno, dalle malattie, dalla povertà estrema? È una domanda a cui devono rispondere prima di tutto loro, i nostri fellow men che sono anche i nostri potenziali carnefici, il giorno che si saranno stufati di morire di stenti mentre noi chiacchieriamo. A meno che anche noi impariamo, rapidamente, perché c’è sempre meno tempo, a usare tutte le nostre potenzialità, compresa anzitutto la rete, come mezzo di costruzione di un mondo più solidale. Forse converrebbe persino alle multinazionali, anche farmaceutiche, solo che guardino un po’ più in là del loro naso, e dei profitti immediati…