Tempistica e frequenza dei pasti: implicazioni nella prevenzione delle malattie cardiovascolari – Uno scientific statement dell’AHA
A cura di Francesco Romeo
31 marzo 2017 (Gruppo ComunicAzione) – Le abitudini alimentari degli adulti statunitensi sono notevolmente cambiate negli ultimi 40 anni e sono sempre più varie. Secondo il NHANES (National Helath and Nutrition Examination Survay), le percentuali di uomini e donne che hanno riferito di consumare tutti e 3 i pasti standard sono diminuite nel periodo considerato (dal 73 al 59% negli uomini; dal 75 al 63% nelle donne), il che riflette i cambiamenti nei modelli di consumo, piuttosto che i cambiamenti nella frequenza dei pasti.
La colazione rimane un pasto tipico, mentre pranzo e cena sono sempre più difficili da distinguere in quanto diventa sempre più frequente consumare spuntini e saltare i pasti principali.
Tali abitudini possono avere vari effetti sui marcatori di malattia cardiometabolica come obesità, profilo lipidico, insulino-resistenza e pressione arteriosa.
Nello statment dell’American Heart Association recentemente pubblicato sulla rivista Circulation Marie-Pierre St-Onge e coll. hanno valutato gli effetti cardiometabolici di specifiche abitudini alimentari: saltare la colazione, digiuno intermittente, pasti frequenti e numero di pasti occasionali.
Non si è presa dunque in considerazione l’alimentazione da un punto di vista qualitativo (composizione della dieta, macronutrienti) quanto la regolarità nell’assunzione dei pasti. Sono stati valutati dati epidemiologici e evidenze scientifiche.
Il consumo della prima colazione sembra determinare benefici sul metabolismo del glucosio e sul peso corporeo. Il digiuno a giorni alterni, ma anche prolungato, sembra avere benefici sul calo ponderale, ma non si hanno dati certi se questo beneficio si mantenga a lungo termine. Inoltre, il digiuno migliora i trigliceridi ma non ha effetti su colesterolo totale, LDL, HDL e glicemia. Anche l’aumentata frequenza dei pasti non sembra incidere in maniera significativa né sul peso corporeo né sui fattori di rischio cardiometabolici.
In conclusione, questi risultati suggeriscono che i modelli di alimentazione irregolare appaiono meno favorevoli per il raggiungimento di un profilo cardiometabolico ottimale. Mangiare in maniera regolare e con consapevolezza, rispettando il tempo e la frequenza dei pasti, sembrerebbe portare, secondo gli autori, a migliori risultati sui fattori di rischio cardiometabolici.
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