Uso di empagliflozin nel diabete tipo 1: i risultati degli studi EASE
A cura di Lucia Briatore
5 novembre 2018 (Gruppo ComunicAzione) – Fin dall’inizio della loro commercializzazione si è pensato alle gliflozine come a farmaci potenzialmente utili nel diabete tipo 1 (DT1), per il loro meccanismo di azione insulino-indipendente e per l’effetto di calo ponderale, con tuttavia preoccupazione per il rischio di chetoacidosi (diabetic ketoacidosis, DKA).
Nuove informazioni a riguardo arrivano dal programma EASE (Empagliflozin as Adjunctive to inSulin thErapy), che comprende due studi di fase 3 in doppio-cieco controllati vs. placebo in cui è stato valutato un totale di 1707 pazienti (1). Nello studio EASE-2 sono stati confrontati empagliflozin 10 mg (n= 243), 25 mg (n= 244) e placebo (n= 243) per 52 settimane, mentre nello studio EASE-3 il confronto è stato tra empagliflozin 2,5 mg (n= 241), 10 mg (n= 248), 25 mg (n= 245) e placebo (n= 241) per 26 settimane. Quale endpoint primario è stata valutata la variazione di emoglobina glicata (HbA1c) a 26 settimane; quali endpoint secondari la variazione del peso corporeo, il tempo trascorso con la glicemia in range (>70 a ≤180 mg/dl), il dosaggio di insulina, la pressione arteriosa e le ipoglicemie.
Sia nello studio EASE-2 sia nell’EASE-3 la riduzione di HbA1c a 26 settimane è stata dose-dipendente, pari a 0,54% con la dose di 10 mg, 0,53% con 25 mg e 0,28% con 2,5 mg di empagliflozin, sempre con una differenza significativa rispetto a placebo (p <0,0001). Una maggiore riduzione di HbA1c è stata raggiunta nel 60% dei pazienti che avevano un valore basale ≥8% (fino a 0,64, 0,70 e 0,35% per le dosi di 25, 10 e 2,5 mg rispettivamente; p <0,0001).
Empagliflozin ha inoltre comportato un significativo calo ponderale dopo 26 settimane, pari a 3,4, 3 e 1,8 kg per le dosi di 25, 10 e 2,5 mg rispettivamente (p <0,0001 in tutti i casi). La pressione arteriosa sistolica si è ridotta di 3,7, 3,9 e 2,1 mmHg con empagliflozin 25, 10 e 2,5 mg rispettivamente (p <0,0001 per 25 e 10 mg, p <0,05 per 2,5 mg). La dose totale di insulina è stata significativamente ridotta in tutti e tre i gruppi, del 12,6% con 25 mg, del 9,5% con 10 mg e del 6,4% con 2,5 mg di empagliflozin rispetto a placebo (p <0,0001 per tutti).
Nessuno dei tre dosaggi di empagliflozin ha aumentato le ipoglicemie sintomatiche, classificate dai ricercatori come glicemie <54 mg/dl, o le ipoglicemie gravi. Le ipoglicemie riportate si sono ridotte con empagliflozin 10 e 25 mg fino alla 52ma settimana.
Il rischio di DKA è risultato dose dipendente. Sebbene gli eventi di DKA siano stati bassi nel gruppo trattato con 2,5 mg e simili al placebo (0,8 e 1,2%, rispettivamente), il tasso di DKA è stato maggiore con empagliflozin 10 mg e 25 mg (4,3 e 3,3% rispettivamente, in confronto all’1,2% del placebo). DKA gravi si sono verificate in un paziente nel braccio con placebo, in nessun paziente trattato con 2,5 mg, in 2 pazienti trattati con 10 mg e in 6 pazienti trattati con 25 mg. Tra questi ultimi, un paziente è deceduto a causa di una ritardata diagnosi di DKA. Come fattori di rischio per la DKA, a parte il dosaggio di empagliflozin, sono stati riscontrati il sesso femminile e la terapia insulinica con microinfusore.
Le infezioni genitali si sono verificate nel 12,8% dei pazienti con 10 mg, nel 14,3% con la dose di 25 mg e nel 4,3% nel gruppo con placebo nello studio EASE-2. Nello studio EASE-3 con 2,5 mg il tasso è stato del 5,4 vs. 2,5% con placebo.
Gli autori concludono che empagliflozin, in pazienti con DT1, riduce significativamente l’HbA1c e il peso corporeo senza aumentare le ipoglicemie, ma ai dosaggi comunemente utilizzati nella pratica clinica aumenta il rischio di DKA. Il dosaggio ridotto di 2,5 mg è meno efficace sulla riduzione dell’HbA1c ma non aumenta le DKA rispetto al placebo. Le DKA in corso di terapia con gliflozine possono essere di difficile identificazione poiché si verificano senza iperglicemia marcata. La misurazione dei chetoni può essere un metodo per identificare precocemente la DKA e ridurre il rischio, tuttavia devono essere valutate ulteriori strategie di prevenzione della DKA prima di diffondere l’utilizzo di tali farmaci nei pazienti con DT1.
1) Diabetes Care 2018 Oct; dc181749
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