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La presenza di anticorpi anti-GAD in una popolazione non diabetica di adulti: dinamiche temporali e influenza clinica. Risultati dello studio HUNT

9 ottobre 2015 (Congresso Medico) – Lo sviluppo del diabete autoimmune è fortemente associato con la presenza sierica di autoanticorpi e l’anticorpo più comunemente usato per scopi diagnostici è l’acido glutammico decarbossilasi (anti-GAD). Questo anticorpo è presente in oltre l’80% dei pazienti con diabete mellito tipo 1 (DMT1) che sviluppano la malattia durante l’infanzia o l’adolescenza. Gli anti-GAD e altri anticorpi contro antigeni pancreatici possono essere spesso individuati molti anni prima della manifestazione clinica del DMT1, indicando una lunga fase di “prediabete” dell’attività autoimmune. Gli studi che individuano i soggetti a rischio di DMT1 autoimmune sono principalmente condotti su parenti di pazienti con DMT1; sono invece molto limitati i dati disponibili sulla popolazione generale. Dati epidemiologici prospettici hanno dimostrato che molte persone che sviluppano il DMT1 autoimmune, in particolare DMT1 latente nell’adulto (LADA), hanno autoanticorpi presenti prima della comparsa della malattia e, di solito, in combinazione con una storia familiare di diabete. Tuttavia, gli studi condotti sia su adulti sia su bambini hanno dimostrato che gli anticorpi, in particolare gli anti-GAD, sono presenti anche in soggetti non diabetici che non svilupperanno il diabete nell’arco di breve tempo e che non hanno parenti stretti affetti da tale patologia. La frequenza di anti-GAD positività in tali individui non diabetici varia tra i diversi studi (0,7-4,8%) e l’importanza clinica di tale positività è molto dibattuta. Si è sostenuto che la positività in tali condizioni non abbia alcuna incidenza sul DMT1, che sia aspecifica (soprattutto se è debole) o che debba essere considerata come falsamente positiva. In effetti c’è una carenza di grandi studi prospettici epidemiologici basati su popolazione di individui autoanticorpi positivi, persistentemente non diabetici (PND).

Per tale motivo Elin Pettersen Sørgjerd e coll. (Norvegia) hanno condotto uno studio con lo scopo principale di indagare presenza, persistenza e potenziali implicazioni cliniche di anti-GAD positività in individui PND; risultati pubblicati recentemente sulla rivista BMJ Open Diabetes Research and Care.

Sono stati analizzati i dati relativi ad una coorte di soggetti adulti non diabetici seguiti nello studio HUNT (Health Study in Nord-Trøndelag). E’ stata selezionata una popolazione principale (4496 persone) scelta a caso dal gruppo di età 20-90 anni (50% uomini/donne), che risultava non diabetica sia alla raccolta dati HUNT2 (1995-1997) che HUNT3 (2006-2008). Gli individui anti-GAD-positivi a HUNT2, insieme con gli individui anti-GAD-negativi di età compresa tra 20-29 anni, sono stati ritestati per l’anti-GAD positività a HUNT3. Una popolazione secondaria invece era formata da persone con diabete mellito di tipo 2 (DMT2, n = 349) in HUNT3 che hanno sviluppato la malattia tra HUNT2 e HUNT3.

La frequenza di anti-GAD positività in PND era 1,7% (n = 76) a HUNT2. La positività non era associata a sesso, storia familiare di diabete o livelli di glicemia, ma era associata all’immunità antitiroidea (aumento della frequenza di positività per anti-TPO, p <0,002). Anche HLA-DQA1/DQB1, un aplotipo di rischio per autoimmunità, era associato con l’anti-GAD positività in PND. L’incidenza di anti-GAD positività era bassa (0,4%) nel sottocampione di individui che erano anti-GAD negativi in HUNT2. L’anti-GAD positività in PND era spesso labile, si perdeva nel 54% dei casi e di solito era di basso grado tra HUNT2 e HUNT3. C’era anche una labile autoimmunità valutata da anti-GAD positività durante la fase di “prediabete” in individui successivamente affetti da DMT2; ma tale associazione al momento non può essere affermata.

In conclusione, l’anti-GAD positività in PND è associata ad aplotipi HLA di rischio e ad autoimmunità tiroidea, ma non con i parametri clinici del diabete. Una fugace anti-GAD positività è comune; tuttavia, i risultati non supportano l’idea che una storia di autoimmunità sia presente nei diabetici di tipo 2, nella coorte studiata.

 

BMJ Open Diabetes Research and Care 2015;3:e000076

PubMed


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