Associazione fra controllo glicemico e outcome in pazienti con COVID-19 e diabete tipo 2 preesistente
A cura di Eugenio Alessi
18 maggio 2020 (Gruppo ComunicAzione) – Il COVID-19 è la patologia causata dall’infezione da parte del nuovo coronavirus SARS-CoV-2. I casi severi possono rapidamente evolvere in sindrome da distress respiratorio acuto (acute respiratory distress syndrome, ARDS), shock settico e insufficienza multiorgano. I pazienti più anziani e con comorbilità presentano un maggior rischio di sviluppare forme severe di COVID-19 e una maggiore mortalità. Il sovrapporsi della pandemia di COVID-19 alla pandemia di diabete ha fatto sì che il diabete tipo 2 (DT2) sia una delle comorbilità più frequenti ed è già documentata l’associazione fra diabete e outcome avversi nei pazienti con COVID-19. Meno chiaro è invece l’impatto del controllo glicemico sull’intensità del trattamento richiesto e sulla mortalità nei pazienti con DT2 preesistente.
Al fine di indagare tali aspetti, Liuha Zhu (Dept. of Cardiology, Renmin Hospital of Wuhan University, Wuhan, China) e coll. hanno condotto e pubblicato su Cell Metabolism (1) uno studio retrospettivo longitudinale multicentrico su 7337 pazienti con COVID-19 confermato, di cui 952 con DT2 preesistente (il 13,0% della popolazione in studio, in linea con la prevalenza in Cina nel 2017, 10,9%) e 6385 non diabetici, ricoverati in strutture ospedaliere della provincia dell’Hubei. L’età mediana della popolazione era di 62 anni in entrambi i gruppi e il BMI mediano era 24,7 nel gruppo con DT2 e di 23,4 nel gruppo di controllo.
I pazienti con DT2 avevano, rispetto al gruppo di pazienti senza il diabete, una significativamente più elevata prevalenza di astenia (38 vs. 31,4%) e dispnea (25 vs. 15,4%), nonché una maggior frequenza di comorbilità cardiovascolari e renali. La prevalenza di lesioni polmonari bilaterali alla TC torace era maggiore nei pazienti con DT2 (88,1 vs. 80,4%), i quali presentavano anche una maggior prevalenza di linfocitopenia (44,5 vs. 32,6%), un maggior tasso di alterazione dei marker di flogosi e una maggior frequenza di SpO2 <95% al ricovero rispetto al gruppo di controllo. I pazienti con DT2 hanno ricevuto un trattamento integrato più intensivo rispetto al gruppo di controllo, sia in termini di necessità di terapia antibiotica, antimicotica, corticosteroidea e con immunoglobuline, sia in termini di necessità di ventilazione non invasiva (10,2 vs. 3,9%) e di ventilazione invasiva (3,6 vs. 0,7%).
È stata condotta una analisi longitudinale, con un follow-up di 28 giorni, che ha mostrato, nonostante un trattamento più aggressivo, un tasso di mortalità intraospedaliera maggiore nei pazienti con DT2 (7,8 vs. 2,7%, p <0,001). L’HR grezzo per mortalità per tutte le cause a 28 giorni era, per i pazienti con DT2, di 2,9 (IC 95%, 2,21-3,81; p <0,001), rispetto ai pazienti non diabetici. Dopo correzione per età e sesso, l’HR per mortalità per tutte le cause fra i due gruppi era 1,70 (IC 95%, 1,29-2,24; p <0,001) e dopo aver corretto per la severità del COVID-19 era 1,49 (IC 95%, 1,13-1,96; p = 0,005). L’analisi mediante regressione di Cox ha mostrato una correlazione significativa del DT2 con ARDS, insufficienza renale acuta e shock settico, dopo correzione per età, sesso e severità del COVID-19.
La coorte di pazienti con DT2 è stata ulteriormente suddivisa in 282 soggetti con buon controllo glicemico (definito come variabilità glicemica compresa fra 3,9 e 10,0 mmol/l ovvero 70 e 180 mg/dl) e 528 soggetti con scarso controllo glicemico (limite superiore della variabilità glicemica >10,0 mmol/l o 180 mg/dl). I due gruppi non differivano in termini di età e BMI mediani e in termini di frequenza di comorbilità. L’HbA1c media era 7,3% (6,6-8,2%) nel gruppo in buon controllo e 8,1% (7,2-10,1%) nel gruppo in scarso controllo; la glicemia mediana era 115 mg/dl (93,6-135) nel gruppo in buon controllo e 196 mg/dl (129,6-257,4) nel gruppo in scarso controllo.
I pazienti in miglior controllo avevano una minor prevalenza di linfopenia (30,5 vs. 49,6%) e di SpO2 <95% al ricovero (12,6 vs. 22,7%). I pazienti con DT2 ben controllato richiedevano una minor intensità di cure, sia per quanto riguarda la necessità di farmaci, si per quanto concerne la necessità di ventilazione non invasiva (4,6 vs. 11,9%) e di ventilazione invasiva (0,0 vs. 4,2%).
Durante il follow-up di 28 giorni il tasso di mortalità era significativamente più basso nel gruppo in buon controllo (1,1 vs. 11,0%), con HR grezzo pari a 0,09 (IC 95%, 0,03-0,30; p <0,001) rispetto ai pazienti in cattivo controllo. Dopo correzione per età, sesso, severità di COVID-19 e sede del ricovero l’HR era 0,13 (IC 95%, 0,04-0,44; p <0,001). I pazienti nel gruppo in buon controllo presentavano inoltre una minor incidenza di ARDS, cardiopatia acuta, insufficienza renale acuta e shock settico, rispetto ai pazienti in cattivo controllo.
Per limitare l’impatto sui dati delle comorbilità cardiovascolari e renali, è stata effettuata un’analisi dopo aver “matchato” 1:1 tramite propensity score 250 pazienti del gruppo in buon controllo con 250 pazienti del gruppo in scarso controllo: i risultati confermavano la riduzione del rischio di mortalità per tutte la cause nei pazienti con DT2 in buon controllo, con HR aggiustato 0,14 (IC 95%, 0,03-0,60; p = 0,008), nonostante un trattamento più aggressivo nei pazienti con DT2 in cattivo controllo.
Le conclusioni degli autori, sulla base dei risultati ottenuti, sono che – nel COVID-19 – il DT2 si conferma un importante fattore di rischio per la progressione della patologia e la mortalità e che mantenere la variabilità glicemica entro il range 70-180 mg/dl si associa a una significativa riduzione dell’intensità del trattamento e del rischio di esiti avversi e di mortalità per tutte le cause.
I risultati esposti sono in linea con altre evidenze disponibili, sia relative all’impatto del diabete sugli esiti (2), che sull’importanza di mantenere un buon controllo dei valori glicemici nei pazienti ospedalizzati per COVID-19, sia con diabete preesistente che con iperglicemia di nuovo riscontro (3). I limiti dello studio sono legati alla natura retrospettiva, alla coorte di pazienti di provenienza etnica e geografica univoca, ai criteri con cui è stato classificato il controllo glicemico e al numero relativamente modesto di pazienti in controllo glicemico definito buono, per cui sono necessari studi prospettici di scala più larga e in popolazioni etnicamente e geograficamente differenti per poter meglio comprendere l’impatto del controllo glicemico sulla progressione del COVID-19.
2. J Endocrinol Invest 2020 Mar 28. doi: 10.1007/s40618-020-01236-2. [Epub ahead of print]
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