Una buona “salute cardiovascolare” riduce il rischio di sviluppare il diabete, indipendentemente dalla predisposizione genetica
A cura di Eugenio Alessi
La prevalenza del diabete tipo 2 sta aumentando a livello globale e si stima che, nel 2045, saranno circa 700 milioni gli esseri umani affetti da questa malattia metabolica. La sua comparsa dipende da fattori genetici e fattori non genetici, come l’obesità, l’alimentazione scorretta e l’inattività fisica, per cui sono quanto mai necessarie misure di prevenzione cha agiscano a molteplici livelli.
Il concetto di “salute cardiovascolare” (SCV) è stato introdotto per la prevenzione delle morti da malattia cardiovascolare e include fattori e comportamenti associati al rischio cardiovascolare, molti dei quali correlati anche al rischio di sviluppare il diabete, pur mancando dati sull’entità di tale rischio in rapporto alle categorie di SCV e su quale sia l’impatto dei fattori genetici su tale rapporto.
In uno studio recentemente pubblicato sull’European Journal of Preventive Cardiology sono stati utilizzati i dati di un ampio studio di popolazione (lo studio Rotterdam) per valutare il rischio di sviluppare il diabete in base alle categorie di SCV e il ruolo dei fattori genetici che predispongono al diabete.
Per calcolare il punteggio di SCV sono stati utilizzati sei parametri: indice di massa corporea (BMI), abitudine al fumo, pressione arteriosa, colesterolo totale, attività fisica, alimentazione, tutti misurati all’inizio dello studio. È stato ottenuto un punteggio da 0 a 12 ed individuate tre categorie: da 0 a 5 scarsa SCV, da 6 a 7 SCV intermedia, da 8 a 12 SCV ideale. È stata effettuata un’analisi genetica in cui sono state considerate 403 varianti associate al diabete tipo 2 ed è stato calcolato un punteggio di rischio (basso, intermedio, alto).
Su un totale di 5993 soggetti senza diabete (età media 69,1 anni, al 58% donne), 869 persone (il 14,5%) hanno sviluppato il diabete durante l’osservazione. Ad una età indice di 55 anni, il rischio di sviluppare il diabete nel corso della vita era del 22,6% per coloro che avevano una SCV ideale (il 17,4% della popolazione studiata), del 28.3% per coloro con una SCV intermedia (il 45,6% della popolazione) e del 32,6% per coloro con una scarsa SCV (il 37,0% della popolazione), con un gradiente significativo che rimaneva tale anche incrementando l’età indice e per entrambi i sessi. Nei 4952 soggetti di cui era disponibile l’analisi genetica, l’associazione fra SCV ideale e minor rischio di sviluppare il diabete rimaneva valida in ciascuno dei tre gruppi di rischio genetico.
Sebbene ci fosse un effetto “dose-dipendente” fra il numero dei fattori ideali di SCV e il rischio di sviluppare il diabete, sembravano pesare maggiormente i fattori “comportamentali”, ovvero attività fisica, fumo, alimentazione e – in particolare – l’indice di massa corporea, rispetto ai fattori biologici come pressione arteriosa e colesterolo totale, anche se rimane discutibile considerare l’indice di massa corporea, quindi l’obesità, come un comportamento e non un fattore biologico.
Il fatto che non sia stata individuata un’interazione significativa fra la predisposizione genetica e il punteggio di SCV nel determinare il rischio di diabete tipo 2, indica che i benefici potenziali nell’aderire a livelli ideali nei fattori comportamentali non dipendono dal profilo genetico e che, quindi, le strategie di prevenzione sono applicabili a tutti.
Gli autori concludono, pertanto, che ottenere una favorevole “salute cardiovascolare” durante la mezza età può ridurre il rischio di sviluppare il diabete tipo 2 nell’arco della restante vita, indipendentemente dalla predisposizione genetica, rendendo auspicabili provvedimenti a molteplici livelli per implementare la prevenzione del diabete.
Cardiovascular health, genetic predisposition, and lifetime risk of type 2 diabetes
European Journal of Preventive Cardiology , published online, October 2021