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L’uomo e i suoi limiti

Don Luigi Ciotti ci racconta la sua vita e i suoi incontri con i limiti dell'uomo. E parla della necessità di una nuova etica, per tutti. Anche per i medici

di Marco Comoglio


 

In occasione del convegno regionale AMD Piemonte Valle d'Aosta, che aveva per titolo: "Limes. La diabetologia, un fine oltre il confine", abbiamo avuto la partecipazione di don Luigi Ciotti. In un intervento appassionato e coinvolgente di 45 minuti ci ha raccontato la sua vita e il suo punto di vista sui limiti dell'uomo, sulla nostra professione, sulla società, sulla politica. Ha spiegato come una nuova etica dovrebbe muovere le nostre azioni e la nostra professione, come la stessa dovrebbe basarsi su un corretto utilizzo della conoscenza. Abbiamo colto l'occasione per raccogliere questa breve intervista.


Don Luigi Ciotti, viviamo in un momento complesso. Come leggerlo e interpretarlo?
Guardi, ho solo una laurea in scienze confuse, nessun altro titolo… Però da quando avevo vent'anni frequento la strada, gli ultimi, gli esclusi, gli emarginati, i sofferenti, i fragili. Da questa prospettiva posso tentare di leggere e cercare di interpretare i cambiamenti e le trasformazioni della nostra società. Dal primo centro droga aperto a Torino quarantasette anni fa siamo passati all'Aids, a fragilità come l'anoressia, e oggi alla dipendenza da internet, una vita virtuale solitaria priva di vita reale…

Se lo sarebbe mai immaginato di passare dalla droga a internet?
Droga, malattie sessuali, anoressia, internet e altro ancora sono aspetti diversi di quella patologia che chiamerei abuso di consumismo. Come dire: il complesso aspetto sociale della nostra epoca e l'aspetto medico sono le due facce delle sofferenze sociali che nel contesto attuale si acuiscono sempre più, che ci danno quella realtà tragica di ragazzi di 14, 15, 16 anni che si suicidano, che se ne vanno lasciando messaggini a chi resta… La ragazzina che se ne va messagiando: "Adesso faccio così poi vedo". Non comprendendo l'irreversibilità del gesto. Segno dell'inconsapevolezza dell'uso delle nuove tecnologie che ci distaccano dal reale.

Ma le nuove tecnologie ci sono utili o no?
Certo che sono utili. Però dobbiamo mettere insieme le nostre esperienze, le nostre conoscenze, le nostre professionalità per trovare soluzioni a quello che definisco un grave peccato: quello del sapere d'accatto, di seconda mano, non approfondito…

Poca cultura? Ma non c'è mai stata tanta possibilità di accesso alla cultura come oggi…
Dipende che cosa si intende per cultura. Saper usare uno strumento elettronico? Oppure che è conoscere, conoscere veramente, cioè diventare più responsabili? Se è vero che la cultura è il sale della vita, se è vero che la cultura fornisce gli strumenti per affrontarla, capirla, se essa ci rende più liberi, vuol dire che educa. E voi, proprio voi diabetologi, ci insegnate che l'educazione, cioè la relazione, è fondamentale. E' l'unità di misura dei rapporti umani: la relazione col paziente è tutto, nella vostra professione, è quel faccia a faccia importantissimo che vi consente di capire, intervenire, riconoscere, se il caso curare.

Per noi l'educazione dovrebbe essere la base del rapporto col paziente…
Voi mi insegnate: non basta accogliere le persone, bisogna riconoscerle, devono essere le protagoniste della relazione. La prossimità, cioè l'ascolto, la partecipazione, è tutto.

Quanto la parola può curare?
Molto. Però oggi dobbiamo evitare il furto delle parole. Ci sono parole che sono state svuotate di significato, di senso, di valore. Chi non parla, oggi, di dignità umana, di legalità, di giustizia? Anche nella vostra professione ci sono parole che sono state utilizzate, e poi dimenticate… Faccio fatica a parlare di casi e di utenti. Il primo diritto di ogni persona è quello di essere chiamato per nome. Certo, poi può essere necessario codificare. Ma senza mai dimenticare che dietro quella codifica c'è una persona, la sua storia, la sua sofferenza, le sue fatiche, le sue speranze.

La medicina che cosa può fare?
Non posso entrare nello specifico della vostra professione. Posso però dire che deve essere evitata con forza la cultura della separatezza, degli specialismi a volte molto autoreferenziali. Allontanare la tendenza a chiudere la medicina in un ambito chiuso, fine a se stesso. Più utile che la medicina si apra ad altre discipline, alla complessità della realtà, ad altri pensieri. E' importante avere il senso del limite della singola professione, consapevolezza che la sofferenza richiede sì capacità tecniche specifiche, il saper fare della medicina, ma anche il sapere essere della persona, che comprende, capisce, si adopera per l'altro. Una capacità di relazione, di ascolto, quell'empatia che dà il profondo rispetto dell'umano.

La medicina vorrebbe, o dovrebbe, essere così. Però la realtà è appunto complessa, fatta di molti aspetti e necessità…
Voi fate così, da quanto ho visto. Però non basta fare sistema al proprio interno. Bisogna interagire. Anche la migliore cura medica deve essere affiancata da altri interventi, che la sostengano, e che sono essenziali per il buon esito della cura stessa. Come dire: sanitario e sociale vanno a braccetto. L'epidemiologia ci dice proprio questo: quando la scienza medica si sposa con l'aspetto sociale, si ottengono i risultati.

Il diritto alla salute?
La salute di ciascuno è un bene per tutti, comune, non solo un fatto individuale. I medici difendono giustamente il loro interesse professionale. Ma sono anche capaci di tutelare in senso generale la salute. Oggi, in questa congiuntura difficilissima, la domanda è: viene prima la salute delle persone o i tetti di spesa? Certo, si devono evitare gli sprechi e l'inutilità. Ma non si deve calpestare la dignità di chi nella sanità lavora. Anche per essere più vivi e presenti per le persone malate.

Difficile da praticare, oggi…
Sono molto preoccupato perché la crisi economica sta minando la centralità della persona, in particolare della persona malata. Il nostro sistema sanitario nazionale per molti aspetti non riesce a essere adeguato: ad esempio, non ci sono i fondi per i non autosufficienti. Pensiamo agli ammalati di SLA, che hanno dovuto praticare lo sciopero della fame per vedere riconosciuti i propri diritti. E poi lo sbilanciamento fra nord e sud… Un sistema che non ha e non dà sempre pari dignità.

Mala tempora currunt…
La malasanità, come si dice, è una realtà. L'infiltrazione mafiosa c'è anche lì: oggi, ben quattro ASL sono sotto inchiesta per tale ragione… Senza contare tutto ciò che leggiamo giorno dopo giorno su sprechi, ruberie, truffe… Dobbiamo riconoscerlo questo male, chiamare per nome le responsabilità…

In effetti, la gestione della salute non gode al momento di grande stima…
Non basta indignarsi rispetto a quanto accade. Dobbiamo ridare dignità alla salute, alla professione di chi ci lavora, alla sua cultura, e soprattutto a chi soffre. E' una questione di democrazia, che si basa appunto sulla dignità e sulla giustizia, e sulla responsabilità: sociale ma anche personale. Delle istituzioni ma anche di ciascuno di noi. C'è il male, ma anche chi il male lo lascia compiere…

Ma questa è responsabilità sociale…
Da quattrocento anni parliamo di camorra, da duecento di mafia, da cento della 'ndrangheta calabrese: c'è chi la combatte, come le 1600 associazioni che costituiscono Libera, come le mille realtà che sino messe in gioco. Ma non bastano. Dobbiamo combattere l'illegalità anche a Roma, in parlamento: con leggi giuste, norme giuste… E questo vale anche per la medicina.

Responsabilità personale, intende?
Se c'è il male, come c'è, dobbiamo cercare di essere non cittadini a intermittenza bensì a tutto tondo. Non basta commuoversi. Dobbiamo muoverci. In gioco c'è la salute, la giustizia, la libertà. Non solo generalizzare sulla malapolitca, ma guardare tutte le responsabilità della nostra società. Anche le nostre, quelle proprie, personali.

I medici hanno il loro giuramento. Che è un'assunzione di responsabilità precisa…
La responsabilità è la spina dorsale della democrazia, del nostro vivere sociale. Anche chi, come i medici, è impegnato nel migliorare il sociale attraverso la cura della malattia, deve cercare un'etica più stringente. E la nostra etica è la coscienza dei propri limiti, il riconoscimento dell'integrità della nostra coscienza, deve potersi leggere nei nostri comportamenti, nel nostra fare, nelle nostre parole, nei nostri gesti. Chi soffre, capisce se chi gli sta accanto ha un'etica.

Parla di codici etici?
I codici etici nelle professioni sono importanti. Ma non bastano. E' necessaria l'etica come professione. Anche per la cura del malato. Dovremmo diventare tutti dei professionisti dell'etica. Le nostre competenze devono servire per il rinnovamento del ns. fare. Chi ci incontra deve trovare in noi questa profondità.

Cultura, responsabilità, etica, libertà… Come riassumere?
Direi: conoscere per essere più responsabili. Nelle lingue orientali, conoscere significa amare. La forma più alta di libertà è utilizzare le proprie conoscenze per andare incontro alle persone, amarle, aiutarle. Vivere per gli altri nella propria professione è la forma più alta della libertà.

Una speranza?
La speranza oggi si coniuga con progetti che pongano al centro la persona. Ha il volto delle politiche sociali. Non dimenticandoci che ogni esistenza è iscritta nel registro del possibile. Vogliamo che la speranza cresca: la vostra professione dà speranza. Lavorate per questo. Con coraggio, con cuore. Mettetecelo nell'operare. Di questo ha bisogno la nostra società, di questo hanno bisogno le persone.

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Guarda l'intervento di don Luigi Ciotti al convegno regionale AMD Piemonte Valle d'Aosta.