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Se è l’infiammazione cronica a segnare i punti, la mortalità aumenta. Nuove evidenze per migliorare i modelli di predizione nel diabete tipo 2

Punti chiave

Domanda: L’infiammazione è associata al rischio di morte nei pazienti con diabete tipo 2: ma come possiamo valutarla e come attribuirle un valore predittivo?

Risultati: Le interleuchine-4, -6, -8, -13, la RANTES (regulated on activation, normal T cell expressed and secreted) e la IP-10 (proteina-10 indotta dall’interferone gamma) hanno dimostrato di associarsi in modo indipendente con l’evento morte. Un punteggio di infiammazione che comprende queste 6 molecole può avere valore predittivo e aiutare a identificare gli individui che sono a maggior rischio di morte.

Significato: Stratificare i pazienti con alta probabilità di incorrere in eventi fatali, attraverso modelli predittivi opportunamente validati, può giustificare un trattamento più aggressivo ed anche più costoso. L’analisi approfondita dell’intreccio tra infiammazione di basso grado e squilibrio del metabolismo del triptofano nell’aumentare la mortalità può aiutare a scoprire nuove terapie mirate ai pazienti caratterizzati da queste anomalie.


A cura di Raffaele D’Arco

8 ottobre 2024 (Gruppo ComunicAzione) – Il ruolo dell’infiammazione nell’aggravare il rischio di morte nel diabete non è ancora chiaro. Il diabete tipo 2 è una delle principali cause di morte e fonte di un pesante carico personale e sociale. Poiché la prevalenza della malattia è in forte aumento, tale onere è destinato ad aggravarsi e deve quindi essere affrontato senza esitazioni.

Il trattamento simultaneo e aggressivo di diversi fattori di rischio riduce il tasso di mortalità nelle persone con diabete tipo 2. Sfortunatamente, tale approccio è costoso e laborioso e quindi ne rende difficile l’attuazione in tutti i soggetti con diabete. Ciò rende necessario identificare i pazienti ad alto rischio di morte che trarrebbero il massimo beneficio da trattamenti più intensivi.

Nello studio condotto da Claudia Menzaghi (Research Unit of Diabetes and Endocrine Diseases, Fondazione Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico “Casa Sollievo della Sofferenza,” San Giovanni Rotondo [FG]) e collaboratori, e pubblicato recentemente sul JCEM, sono state utilizzate due coorti prospettiche: lo Studio di mortalità del Gargano aggregato (1731 individui; 872 decessi per tutte le cause) quale campione d’analisi e lo Studio di mortalità di Foggia (490 individui; 256 decessi) quale campione di validazione. Sono stati misurati 27 marcatori infiammatori. Precedenti evidenze hanno evidenziato la connessione tra infiammazione e metabolismo del triptofano (KTR) in diverse malattie croniche complesse e la probabilità di sopravvivenza. Pertanto, come obiettivo secondario, è stata indagata tale interdipendenza esplorando il legame tra i marcatori infiammatori e il rapporto tra kynurenina e triptofano (KTR, kynurenine to tryptophan ratio) nel determinare il rischio di mortalità.

Le interleuchine-4, -6, -8 e -13, la RANTES (regulated on activation, normal T cell expressed and secreted) e la IP-10 (proteina-10 indotta dall’interferone gamma) sono state associate in modo indipendente alla morte. Un punteggio di infiammazione che comprende queste 6 molecole è fortemente associato alla morte sia nella coorte d’analisi sia in quella di validazione. Il calcolo ha migliorato le misure di discriminazione e riclassificazione (tutte con p <0,01) di due modelli di previsione della mortalità basati su variabili cliniche. L’analisi di mediazione causale ha mostrato che il 28% dell’effetto del KTR sulla mortalità era mediato dalla IP-10. Studi su cellule endoteliali in coltura hanno dimostrato che il 5-metossi-triptofano, un metabolita antinfiammatorio derivato dal triptofano, riduce l’espressione della IP-10, fornendo così una base funzionale per la mediazione causale osservata.

L’associazione tra il punteggio di infiammazione e la mortalità per tutte le cause si è rivelato molto più forte nei soggetti più giovani e in quelli con una breve durata del diabete. Questo significa che l’effetto deleterio dell’infiammazione cronica sulla probabilità di sopravvivenza è più evidente quando altri fattori di rischio, come l’età e la lunga durata della malattia, sono meno influenti. Ciò suggerisce la necessità di prevenire o trattare l’infiammazione nelle fasi iniziali del diabete tipo 2, soprattutto nelle persone relativamente giovani in cui la malattia ha il maggiore effetto negativo sull’aspettativa di vita e in cui le strategie di intervento hanno più tempo per migliorare il percorso delle temibili conseguenze della malattia.

Lo studio presenta, comunque, qualche limitazione. In particolare, le due coorti studiate sono geograficamente vicine, limitando, forse, la generalizzabilità dei risultati.


LEGGI E SCARICA L’ARTICOLO: J Clin Endocrinol Metab 2024 Aug 28. Online ahead of print

PubMed


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