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Semaglutide settimanale in associazione a sistemi di erogazione automatica di insulina nel diabete tipo 1: uno studio randomizzato, in doppio cieco e cross-over

Punti chiave

Domanda: Il trattamento con semaglutide settimanale è in grado di migliorare il compenso glicemico in persone con DT1?

Risultati: In uno studio randomizzato, in doppio cieco, cross-over, condotto su 24 pazienti con DT1, in terapia con diversi sistemi di erogazione automatizzata di insulina, l’associazione di semaglutide iniettiva, sino a 1 mg/settimana o alla massima dose tollerata, ha documentato un miglioramento del compenso glicemico. Tale farmaco, rispetto al placebo, ha consentito un miglioramento del TIR del 4,8% (p = 0,006) senza aumentare il time spent below: <70 mg/dl, p = 0,19) e gli episodi di ipoglicemia grave (<50 mg/dl, p = 0,65). Tali benefici glicemici sono correlati alla riduzione ponderale indotta dal farmaco. Infine, sono stati riportati due casi di chetosi euglicemica prontamente risolti con la terapia insulinica.

Significato: Sempre maggiore è la prevalenza di obesità anche tra le persone con DT1 ed è ormai noto che sino al 50% dei pazienti in trattamento con sistemi di erogazione automatizzata di insulina non consegue un adeguato compenso. In tale contesto, la semaglutide settimanale potrebbe contribuire a un maggiore controllo glicemico e alla riduzione del rischio cardiovascolare.


3 giugno 2025 (Gruppo ComunicAzione) – A cura di Roberta Poli

Che cosa si sa già? Il gold standard del trattamento del diabete tipo 1 (DT1) è rappresentato dal monitoraggio glicemico continuo, insieme ai sistemi automatizzati di erogazione di insulina (AID, automated insulin delivery), che hanno dimostrato di ridurre significativamente i livelli di HbA1c mediante incremento del tempo passato nel range terapeutico (TIR, time in-range).

Tuttavia, nei grandi trial, condotti in corso di trattamento con AID, il 34-53% dei pazienti non raggiungeva il target di HBA1c (≤7%), anche in ragione di un controllo non ottimale delle glicemie post-prandiali. Inoltre, sempre maggiore è la prevalenza di obesità anche nelle persone con DT1, con conseguente ulteriore incremento del rischio cardiovascolare. Gli studi DCCT (Diabetes Control and Complication Trial) ed EDIC (Epidemiology of Diabetes Intervention and Complications) hanno messo in luce come il tasso di obesità, nella coorte di pazienti, sia passato dall’1%, nel periodo 1983-1985, al 31% nel 2005. D’altro canto, la semaglutide, appartenente ai GLP-1 RA, ha dimostrato, in diversi studi clinici, di promuovere il calo ponderale e la protezione cardio- e nefrovascolare in pazienti con DT2.

Quali sono le nuove evidenze? Il beneficio clinico dell’uso off-label della semaglutide in pazienti con DT1 è stato osservato, sinora, solamente in studi retrospettivi e di real world.

Su Nature Medicine il gruppo di Melissa-Rosina Pasqua (Div. of Endocrinology & Metabolism, McGill University Health Centre, Montréal, Quebec, Canada) e colleghi ha recentemente pubblicato uno studio (NCT05205928) in doppio cieco e cross-over, condotto su 24 persone con DT1, di cui il 79% in trattamento con i diversi sistemi AID disponibili in commercio. Il 61% era costituito da soggetti di sesso femminile, l’età media dei partecipanti 45 anni e il 64% era obeso. Di interesse il dato che, meno di un terzo dei pazienti arruolati, raggiungeva, al basale, il target di HbA1c (<7%).

L’endpoint primario dello studio era rappresentato dal miglioramento del compenso glicemico, determinato dall’associazione di semaglutide al sistema AID, che si è rivelato pari a una differenza di 4,8 punti percentuali (p = 0,006), in termini di TIR, fra il gruppo trattato (TIR 74,2%) vs placebo (TIR 69,4%). E anche i livelli di HbA1c venivano ridotti dalla terapia con semaglutide, in misura maggiore nei pazienti che presentavano una migliore secrezione insulinica residua.

In particolare, i ricercatori sottolineano che il compenso era tanto migliore quanto maggiore il calo ponderale (-5,9 kg nei pazienti trattati con semaglutide rispetto al placebo, p <0,001). Tutto ciò a fronte di un decremento del fabbisogno insulinico quotidiano di circa 11 UI nel gruppo trattato con semaglutide vs placebo p <0,001).

Infine, gli effetti avversi più comuni documentati interessavano il versante gastrointestinale, mentre sono stati registrati soltanto due casi di chetosi euglicemica, risoltasi prontamente con potenziamento della terapia insulinica.

Commento e spunti per la pratica clinica. Considerata la sempre maggiore prevalenza dell’obesità anche tra le persone con DT1, gli autori dello studio suggeriscono che l’impiego della semaglutide come add on alla terapia con AID potrebbe — attraverso la riduzione ponderale e una migliore gestione delle iperglicemie post-prandiali — rappresentare un’opzione terapeutica in tale contesto clinico. Viene in ogni caso raccomandata cautela nell’uso del farmaco e prospettata la necessità di studi di più larga scala per verificare l’effettivo rischio di chetoacidosi iatrogena.


LEGGI E SCARICA L’ARTICOLO ORIGINALE: Nat Med 2025 Apr;31(4):1239-45

PubMed

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