Antagonista recettoriale del glucagone in add on all’insulina: una nuova chance all’uso degli SGLT2i nel diabete tipo 1?
Punti chiave
Domanda: Il blocco farmacologico della secrezione di glucagone, unitamente alla terapia con SGLT2i, è in grado di migliorare il compenso glicemico in persone affette da diabete tipo 1 mitigando il rischio di chetoacidosi?
Risultati: In uno studio randomizzato, controllato, condotto su 12 persone con diabete tipo 1, il trattamento combinato con un SGLT2i (dapagliflozin 10 mg) e volagidemab 70 mg/settimana, un antagonista recettoriale del glucagone, ha dimostrato, rispetto alla sola terapia insulinica e/o con SGLT2i/placebo, di aumentare il tempo nel range glicemico del 16% senza contestuale aumento di ipoglicemie. Tale risultato è stato osservato a fronte di una riduzione del fabbisogno insulinico quotidiano di circa il 27% e di un ridotto rischio di chetoacidosi.
Significato: L’associazione di un SGLT2i e di un antagonista recettoriale del glucagone, oltre a sottolineare il ruolo centrale del glucagone nella fisiopatologia del diabete tipo 1, potrebbe offrire una promettente arma per un migliore compenso glicometabolico e un impiego sicuro delle gliflozine in tale contesto clinico.
A cura di Roberta Poli
31 maggio 2024 (Gruppo Comunicazione) – La cura del diabete tipo 1 (DT1) è stata rivoluzionata dall’introduzione del monitoraggio glicemico continuo (CGM, continuous glucose monitoring) insieme ai sistemi automatizzati di erogazione di insulina (AHCL, advanced hybrid closed loop). Nonostante questi strumenti, il conseguimento di un ottimale compenso glicemico, insieme all’abbattimento del tasso di chetoacidosi diabetica (DKA, diabetic ketoacidosis) e ipoglicemie severe, rappresenta ancora una sfida attuale in tale popolazione di pazienti. Inoltre, l’aumentato rischio di malattia renale cronica e, più in generale, cardiovascolare rilevanti anche nel DT1, rimarcano la pressante necessità di nuove strategie terapeutiche oltre all’insulina.
Tuttavia, l’impiego degli SGLT2i, che ha radicalmente modificato il trattamento del diabete tipo 2, è stato notevolmente limitato dall’ormai nota associazione con un’aumentata incidenza di DKA. Tra i meccanismi implicati, vi sarebbe l’aumento del 37%, indotto da tali farmaci, della secrezione di glucagone a digiuno, che comporterebbe, a sua volta, lo stimolo della chetogenesi, soprattutto, in condizioni di insulinopenia. Pertanto, l’inibizione della secrezione di tale ormone potrebbe potenziare l’azione ipoglicemizzante degli SGLT2i ridimensionando il rischio di chetoacidosi.
In uno studio di fase 2, infatti, il volagidemab, anticorpo monoclonale inibente il recettore del glucagone, ha dimostrato, in add on alla terapia insulinica, di ridurre l’HbA1c dello 0,5% e il fabbisogno insulinico di circa il 12% in adulti con DT1. Ciononostante, l’impatto sulla chetogenesi di tale meccanismo farmacologico in combinazione con un SGLT2i non era stato ancora esplorato.
Su Diabetes Care è stato recentemente pubblicato uno studio randomizzato, in doppio cieco, con un formatcrossover su 12 partecipanti con DT1, che comparava gli effetti della sola terapia insulinica (basale) vs SGLT2i (dapagliflozin 10 mg + placebo) e/o l’associazione di SGLT2i + un antagonista recettoriale del glucagone (GRA, glucagon receptor antagonist) (volagidemab 70 mg/settimana). Tutti i pazienti erano muniti di CGM integrato con un sistema AHCL e si trovavano in buon compenso glicemico (HbA1c media 6,7%, tempo nel range glicemico [TIR, time in range] medio 70%).
Il design dello studio prevedeva, dopo un periodo di run in di sola terapia insulinica (basale), l’avvio di un test di insulino-deprivazione (IWT, insulin withdrawal test), in ambiente medico controllato. I partecipanti venivano quindi randomizzati ai due bracci di trattamento (SGLT2i/placebo vs SGLT2i/GRA) per 4 settimane, seguite da 6 settimane di wash-out con successivo crossover per ulteriori 4 settimane.
Gli endpoint erano il controllo glicemico, il dosaggio insulinico giornaliero, lo sviluppo di chetoacidosi e gli outcome paziente-relati determinati mediante questionari validati.
Il trattamento combinato SGLT2i/GRA comportava un aumento significativo del TIR (86% p <0,001 vs basela e p= 0,03 vs SGLT2i) senza contestuale differenza nel tempo sotto il target fra i tre gruppi. Il miglioramento del compenso glicemico si realizzava a fronte di una riduzione del fabbisogno insulinico quotidiano con l’associazione SGLT2i + GRA (0,41 UI/kg/die) sia vs la sola insulina (0,56 UI/kg/die, p <0,001) sia rispetto al gruppo trattato con SGLT2i (0,52 UI/kg/die p = 0,002).
Infine, gli autori evidenziano che, durante il periodo di IWT, il picco glicemico raggiunto era minore nel braccio trattato con SGLT2i e SGLT2i + GRA rispetto alla sola terapia insulinica, a riprova del rischio di DKA euglicemica che caratterizza tali farmaci. Tuttavia, la concentrazione massima di beta-idrossibutirrato osservata era minore con la combinazione SGLT2i + GRA (2 mmol/l) rispetto al braccio SGLT2i (2,4 mmol/l) e più simile a quella riportata nel gruppo insulino-trattato (2,1 mmol/l). In particolare, gli stessi autori mettono in risalto come la velocità di generazione dei chetoni, durante il periodo di insulinopenia, espressa da un indice di chetogenesi (Iket), fosse inferiore per il trattamento combinato SGLT2i + GRA rispetto alla sola terapia con SGLT2i.
In conclusione, pur considerati i limiti legati alle dimensioni del campione, lo studio dimostra come la terapia combinata SGLT2i + GRA, non solo possa essere un efficace strumento nel trattamento del DT1, ma anche una prospettiva per l’impiego in sicurezza degli SGLT2i in tale contesto.
Diabetes Care 2024 May 22. Online ahead of print
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