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Associazione dei livelli di HbA1c con l’utilizzo di sulfaniluree, inibitori della DPP4 e glitazoni in pazienti con diabete tipo 2 in trattamento con metformina: un’analisi di “big data”

A cura di Eugenio Alessi

17 settembre 2018 (Gruppo ComunicAzione) – Nei pazienti con diabete mellito tipo 2 (DMT2) non adeguatamente controllati dalla terapia con metformina occorre utilizzare un farmaco di “seconda linea”, selezionato fra le molteplici opzioni disponibili in base a criteri quali efficacia, sicurezza e costo.

Al riguardo, le indicazioni in merito da parte delle società scientifiche e le linee-guida non sono univoche. Rohit Vashit (Observational Health Data Sciences and Informatics, New York, NY; Center for Biomedical Informatics Research, Stanford University School of Medicine, Stanford, CA; USA) e coll. hanno utilizzato un approccio innovativo, consentito dalla diffusione degli EMR (electronic medical records) e basato sui cosiddetti big data, pubblicando su JAMA Openun’analisi su efficacia e sicurezza dell’utilizzo di sulfaniluree (Sulfa), inibitori della DPP4 (DPP4i) e glitazoni (tiazolidinedioni, TZD), in associazione alla metformina.

I ricercatori hanno condotto una metanalisi di dati clinici provenienti da 8 database differenti in 3 nazioni (6 dagli Stati Uniti, 1 dalla Francia e 1 dalla Corea del Sud), riguardanti oltre 246 milioni di pazienti. I dati provenienti da ogni sito sono stati armonizzati in base allo schema dell’Observational Medical Outcome Partnership Common Data Model (OMOP-CDM) per poter essere analizzati uniformemente. Nello studio sono stati inseriti pazienti con diagnosi di DMT2, in trattamento con metformina e con la prescrizione di un trattamento di seconda linea almeno 90 giorni dopo la prima prescrizione di metformina, in un arco di tempo esteso dal 1979 al 2017, limitando l’analisi a coloro cui era stata prescritta una Sulfa, un DPP4i o un TZD.

L’outcome primario era rappresentato dal primo riscontro di HbA1c ≤7% dopo la prescrizione del farmaco di seconda linea. Outcome secondari erano la prima manifestazione di infarto del miocardio, di disordini renali e di complicanze oculari. Mediante l’utilizzo di propensity scoresono stati selezionati e “matchati” 24.777 pazienti per ogni gruppo di trattamento e sono state effettuate tre comparazioni: Sulfa vs. DPP4i, Sulfa vs. TZD e TZD vs. DPP4i. Sono stati inoltre individuati degli outcome “negativi” di controllo, ovvero sicuramente non associati al trattamento, al fine di “calibrare” la significatività (valore di P) per gli outcome reali in ogni sito dello studio. L’HR è stato calcolato con modello di regressione di Cox.

Per quanto riguarda l’outcome primario, i risultati “non calibrati” hanno mostrato che i pazienti trattati con Sulfa, rispetto a quelli trattati con DPP4i, avevano una probabilità maggiore di raggiungere livelli di HbA1c ≤7% (HR, 1,11; IC 95%, 1,08-1,15), ma dopo calibrazione con gli outcome di controllo la differenza non è risultata significativa (consensus HR, 0,99; IC 95%, 0,89-1,10; valore di P, 0,81). Per ciò che riguarda gli outcome secondari, la metanalisi dei differenti dataset ha mostrato, nonostante la “calibrazione”, un lieve, ma significativo, incremento del rischio di infarto del miocardio (consensus HR, 1,12; IC 95%, 1,02-1,24) e di complicanze oculari (consensus HR, 1,15; IC 95%, 1,11-1,19), con valori di P che, invece, non raggiungevano la significatività a livello di nessuno dei siti dello studio considerati singolarmente. Nessuna differenza significativa emergeva per quanto riguarda i disordini renali.

Nelle comparazioni fra Sulfa e TZD e fra TZD e DPP4i non emergeva alcuna differenza significativa nel raggiungimento di livelli di HbA1c ≤7% o nel rischio di infarto del miocardio, di disordini renali e di complicanze oculari.

I ricercatori concludono che la metanalisi sembra indicare che nessuna delle tre classi di ipoglicemizzanti in esame sembra più efficace delle altre nel raggiungere livelli di HbA1c ≤7%, sebbene vi siano differenze a livello dei singoli database, presumibilmente legate a differenze nella pratica clinica, nella popolazione di pazienti o nella standardizzazione dei dati. La terapia con Sulfa, rispetto a quella con DPP4i, sembra associata a un incremento molto lieve del rischio di infarto del miocardio e complicanze oculari, il che lascerebbe preferire i DPP4i in termini di safety.

L’approccio degli autori è certamente innovativo e consente di ottenere informazioni da una enorme mole di dati provenienti dalla vita reale e che non è possibile trarre da eventuali studi clinici di confronto tra differenti farmaci.

Rimangono i potenziali limiti di qualità del dato proveniente da voluminosi database sanitari, specie in termini di misura degli outcome, nonostante i molteplici accorgimenti metodologici e statistici messi in atto per evitare conclusioni erronee. Un rammarico deriva dal fatto che i ricercatori non hanno potuto valutare la terapia di seconda linea con analoghi del GLP-1 e inibitori di SGLT2, farmaci che hanno dimostrato un beneficio cardiovascolare in pazienti ad alto rischio, per il numero relativamente basso di soggetti che assumevano tali farmaci nei database esaminati.


JAMA Network Open 2018;1(4):e181755


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