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Associazione del Time in Range, valutato attraverso il CGM, con la retinopatia diabetica nel diabete tipo 2

A cura di Enrico Pergolizzi

3 dicembre 2018 (Gruppo ComunicAzione) – Il continuous glucose monitoring (CGM) permette di rilevare il profilo del glucosio per diversi giorni e può essere il modo migliore per valutare l’andamento del compenso glicemico attuale di un individuo. Sono numerose le evidenze che dimostrano che l’uso del CGM migliora il controllo glicemico, con un rischio di ipoglicemia invariato o addirittura diminuito rispetto al controllo glicemico tradizionale. L’introduzione del CGM ha fornito l’opportunità di sviluppare nuove metodiche di misura del controllo glicemico che forniscono informazioni molto importanti oltre a quelle fornite dall’emoglobina glicata (HbA1c). Tra queste metodiche c’è il Time in Range (TIR), che si riferisce al tempo che un individuo trascorre all’interno dell’intervallo di glucosio considerato come obiettivo (di solito 70-180 mg/dl), e fornisce preziose informazioni sul miglioramento della frequenza e della durata dell’ipoglicemia o dell’iperglicemia nel tempo. Inoltre, il TIR è utile per valutare e confrontare l’efficacia di diversi tipi di intervento in caso di ipoglicemia. Non sorprende, quindi, che una recente consensus internazionale sul CGM abbia raccomandato il TIR come elemento chiave del controllo glicemico negli studi clinici (1). Detto questo, nonostante l’uso del TIR nella valutazione del controllo glicemico, la relazione tra TIR e complicanze del diabete rimane sconosciuta.

La retinopatia diabetica (RD) è una delle principali complicanze microvascolari del diabete mellito (DM). Poiché la prevalenza del DM è in continuo aumento, il numero di pazienti con RD continuerà ad aumentare nel tempo, e, purtroppo, la RD può portare a gravi e permanenti deficit visivi ed è la causa più comune di cecità negli adulti in età lavorativa. Nello storico studio DCCT (Diabetes Control and Complications Trial), il rischio di RD era significativamente più elevato nel gruppo in trattamento insulinico convenzionale rispetto al gruppo in trattamento intensivo, anche se entrambi i gruppi avevano elevati ed equivalenti valori di HbA1c, un consolidato fattore di rischio per RD. Tale dato ha fatto emergere la possibilità che altre misure di controllo glicemico oltre all’HbA1cpossano essere correlate allo sviluppo di RD.

Per questo motivo, Jingyi Lu (Shanghai Jiao Tong University) et al. hanno voluto valutare l’associazione del TIR con la prevalenza di RD in pazienti con diabete tipo 2 (DT2). I dati sono stati pubblicati sulla rivista Diabetes Care (2).

Sono stati reclutati 3262 pazienti con DMT2. Il TIR è stato definito come la percentuale di tempo trascorso nell’intervallo di glucosio 70-180 mg/dl durante un periodo di 24 ore. È stata valutata anche la misura della variabilità glicemica (VG). La RD è stata identificata utilizzando l’esame del fundus oculi e classificata come 1) non RD; 2) RD non proliferante (RDNP) lieve; 3) RDNP moderata; o 4) RD a rischio di ipovisione (RDI).

La prevalenza complessiva di RD è stata del 23,9% (RDNP lieve 10,9%, RDNP moderata 6,1%, RDI 6,9%). I pazienti con RD in stadio più avanzato avevano un TIR significativamente più basso e una maggiore VG (p per trend <0,01). La prevalenza di RD in base alla gravità era più bassa man mano che il TIR aumentava nei quartili superiori (p per trend <0,001), e la gravità della RD kiwi casino sites era inversamente correlata con i quartili di TIR (r = -0,147; p <0,001). La regressione logistica multinomiale ha rivelato associazioni significative tra TIR e tutti gli stadi di RD (RDNP lieve, p = 0,018; RDNP moderata, p = 0,014; RDI, p = 0,019) dopo aggiustamento per età, sesso, BMI, durata del DM, pressione arteriosa, profilo lipidico e HbA1c. Un ulteriore aggiustamento rispetto alla VG ha parzialmente attenuato tali associazioni, anche se il legame tra TIR e la presenza di qualsiasi grado di RD è rimasto significativo.

Gli autori concludono che il TIR è associato alla prevalenza di RD nel DT2, e questa associazione è indipendente dall’HbA1c. I dati dimostrano che il TIR dovrebbe essere maggiormente utilizzato sia nei trial di ricerca che nella pratica clinica, ma sono necessari ulteriori studi per meglio definire il suo ruolo nell’insorgenza e nella progressione della RD.


1) Diabetes Care 2017;40:1631-40

PubMed

2) Diabetes Care 2018;41:2370-76

PubMed


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