Basalizzare sempre: efficacia e sicurezza dell’uso dell’insulina glargine nella gestione della chetoacidosi diabetica
Punti chiave
Domanda: Può l’uso dell’insulina basale glargine durante un episodio di chetoacidosi accelerare la risoluzione del quadro acuto?
Risultati: Un trial clinico randomizzato in aperto ha dimostrato che, quando associata all’infusione ev di insulina rapida, l’uso dell’insulina glargine contribuisce a un’accelerazione della risoluzione della chetoacidosi rispetto alla sola infusione ev di insulina rapida, con differenze non significative in termini di eventi avversi (rebound dell’iperglicemia, ipoglicemia, ipopotassiemia e mortalità per tutte le cause) e una notevole riduzione dei giorni di degenza.
Significato: A oggi la gestione farmacologica della chetoacidosi diabetica è fondata sull’infusione ev di insulina rapida, e questo studio rappresenta il primo trial randomizzato con campione sufficientemente significativo in cui si è dimostrato che l’uso dell’insulina basale associata alla terapia standard è di ausilio alla risoluzione del quadro acuto e nella prevenzione della recidiva a breve termine. Ciò, assieme a precedenti evidenze, potrà contribuire in futuro alla revisione degli standard terapeutici relativi all’evento acuto più temibile per le persone affette sia da diabete tipo 1 e 2.
A cura di Fabrizio Diacono
6 febbraio 2023 (Gruppo ComunicAzione) – In ragione della crescente prevalenza del diabete tipo sia 2 (DT2) sia 1 (DT1) si sta osservando un aumento degli accessi nelle strutture sanitarie dedicate alla gestione dei pazienti in regime di urgenza per la complicanza acuta principale e più temibile dell’iperglicemia: la chetoacidosi diabetica, evento certamente più frequente nel DT1 ma osservabile anche nelle persone con DT2. La gestione dell’evento chetoacidosico è centrata sulla somministrazione ev di insulina rapida. Nella generalità dei casi le linee-guida raccomandano a oggi l’introduzione dell’insulina basale nelle fasi post-acute, ove ritenuta utile, in associazione a quella rapida sc al ristabilirsi dell’alimentazione per os, ma con l’indicazione di proseguire per qualche ora la somministrazione ev di insulina rapida al fine di evitare un nuovo rialzo dell’iperglicemia e una recidiva dell’evento chetoacidosico.
Alcuni studi osservazionali condotti in soggetti nei quali, durante l’evento chetoacidosico, veniva proseguito il regime insulinico basale precedentemente prescritto hanno dimostrato che in quei casi si registrava una più rapida risoluzione dell’acidosi metabolica e una riduzione dei tempi di degenza, senza un aumentato rischio di ipoglicemia. Alcuni trial clinici randomizzati hanno dimostrato un beneficio dell’uso dell’insulina basale glargine durante le fasi iniziali della chetoacidosi in termini di tempo di risoluzione del quadro acuto e prevenzione dell’ipoglicemia, ma in ragione delle popolazioni analizzate – esigue numericamente – e della non piena significatività di tutti gli outcome predeterminati tali evidenze non sono state al momento accolte dalle linee-guida di gestione della complicanza.
Nell’ultimo numero di Diabetes Obesity and Metabolism, Kitti Thammakosol e Chutintorn Sriphrapradang (Mahidol University, Bangkok, Tailandia) hanno pubblicato un trial clinico condotto in aperto su un campione di popolazione più consistente (60 soggetti adulti, nel 76,7% affetti da DT2) che veniva randomizzato 1:1 ad assumere insulina glargine 0,3 U/kg sc entro le prime 3 ore dalla diagnosi di chetoacidosi in aggiunta all’infusione sc di insulina rapida, o a essere trattati con la sola insulina rapida ev. La diagnosi di chetoacidosi era basata sui criteri proposti dall’American Diabetes Association: glicemia ≥250 mg/dl, ß-idrossibutirrato sierico ≥3 mmol/l, pH arterioso o venosi <7,3, bicarbonato sierico ≥18 mEq/l, anion gap ≥2 mEq/l. L’outcome primario era il tempo di risoluzione della chetoacidosi, in aggiunta sono stati analizzati diversi outcome secondari.
Nel gruppo trattato con glargine si osservava un tempo di risoluzione della chetoacidosi medio di 9,89 ± 3,81 ore e nel braccio non trattato con glargine di 12,73 ± 5,37 ore (differenza media -2,84 ore; IC 95% da -5,24 a -0,43 ore; p <0,022), Nel sottogruppo di persone con DT2, analogamente, nel gruppo trattato con glargine si osservava un tempo di risoluzione della chetoacidosi medio di 9,63 ± 4,18 ore e nel braccio non trattato con glargine di 12,99 ± 5,50 ore (differenza media -3,36 ore; IC 95% da -6,38 a -0,34 ore; p = 0,03).
L’analisi degli outcome secondari mostrava: non differenze nella probabilità di rebound dell’iperglicemia nelle 12 ore successive la risoluzione della chetoacidosi; un solo caso di rebound di chetoacidosi nel gruppo di controllo; un’incidenza di ipoglicemia, anche severa, comparabile nei due gruppi; un’incidenza di ipopotassiemia (valore sierico <3,5 mEq) maggiore nel gruppo trattato con glargine, ma la differenza non risultava statisticamente significativa (veniva registrato solo un caso di ipopotassiemia severa nel braccio di controllo, e in generale durante gli episodi di ipopotassiemia i livelli sierici di potassio erano significativamente più elevati nel gruppo trattato con glargine). Il tempo di degenza era notevolmente inferiore nel braccio di trattamento (4,75 giorni [IGR 3,53-8,96] vs 15,25 [IQR 5,71-26,38]; p = 0,024).
Thammakosol e Sriphrapradang sottolineano che, nonostante l’analisi dei due gruppi mostrasse alcune differenze significative in termini di pH alla diagnosi della chetoacidosi (più basso nel gruppo randomizzato a glargine) e dei livelli di ß-idrossibutirrato sierico (maggiori nel gruppo randomizzato a glargine) che certamente non favorivano l’intento di dimostrare un beneficio dell’uso dell’insulina basale nel quadro di chetoacidosi, l’outcome primario ha mostrato numeri chiaramente favorevoli al braccio di intervento. Ancora più chiaro è risultato il vantaggio conferito dalla riduzione notevole dei giorni di degenza, aspetto che può certamente definire questo tipo di intervento ampiamente cost-effective.
In generale, quanto dimostrato dallo studio non si discosta da quanto già indicato da studi di carattere osservazionale e da tre trial clinici randomizzati già pubblicati e condotti su persone sia con DT1 sia con DT2, i quali – però – per l’esiguità del campione osservato producevano dati significativi parziali e che comunque mostravano segnali che orientavano nella direzione ampiamente colta dal lavoro che stiamo analizzando.
I limiti dello studio sono certamente la natura monocentrica e il fatto che gli operatori erano consapevoli dell’allocazione dei singoli pazienti in termini di bracci di trattamento. Utile sarebbe uno studio multicentrico randomizzato in cieco. Altro limite, che però ha un razionale farmacologico, è che questo, come precedenti studi, si sono concentrati sull’uso della glargine U100, scelta giustificata dalla farmacocinetica di quella insulina basale che risulta efficace già a 2 ore dalla somministrazione, a differenza dei tempi più lunghi necessari a raccogliere i benefici glargine U300 o della degludec.
Dunque, sembra chiaro che verosimilmente non sarà questo lo studio che farà accedere all’uso dell’insulina glargine negli standard di gestione della chetoacidosi diabetica, ma certamente vi è qui la chiara dimostrazione che il suo uso sarà a breve uno strumento valido sia clinicamente sia in termini di contenimento dei costi per chi – da diabetologo – tutti i giorni lavora nei setting assistenziali che si occupano delle complicanze acute del diabete.
Diabetes Obes Metab 2023;25:815-822
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