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LA GESTIONE DEL BURNOUT PER SUPERARE L’INERZIA TERAPEUTICA E GARANTIRE L’APPROPRIATEZZA DELLE CURE

10 – 11 settembre 2021
Hotel Villa Maria Regina (Roma)


Premessa

Il burnout è generalmente definito come una sindrome di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e derealizzazione personale che può verificarsi in tutte le professioni ad elevata implicazione relazionale (helping-professions); quindi molto frequente in sanità. Un’altra visione condivisa lo definisce come “Reazione alla tensione emotiva cronica del contatto continuo con esseri umani in particolare quando essi hanno problemi o motivi di sofferenza” (C. Maslach, 1975) oppure “Sindrome complessa, a componente prevalentemente psichica, che si instaura come risposta a una condizione di stress lavorativo prolungato” (Tomei, Tomao, Sancini, 2003) Il burnout, parola di origine anglosassone che letteralmente significa esaurimento, crollo o surriscaldamento, dà chiaramente l’idea di una condizione di stress. La sindrome del burnout venne  inizialmente associata alle professioni sanitarie e assistenziali, per poi essere riconosciuta come associata a qualsiasi contesto lavorativo con alte condizioni stressanti e pressanti dovute a disorganizzazione aziendale, messaggi discordanti tra funzioni, incertezza nei ruoli ricoperti, pressione da parte dei superiori, conflittualità con i colleghi, carichi di lavoro non distribuiti adeguatamente, ambiente di lavoro inadeguato e poco confortevole, mobilità, cambiamenti imprevisti, mobbing (Maslach C., Leiter M. P. , 1997, “The Truth about Burnout”, San Francisco, CA: Jossey – Bass.).

Lo stress è una sindrome generale di adattamento (SGA) atta a ristabilire un nuovo equilibrio interno (omeostasi) in seguito a fattori di stress (stressors).

Le alterazioni dell’equilibrio interno soggettivo/individuale possono avvenire a livello endocrino, umorale, organico, biologico. Il termine stress venne introdotto per la prima volta in biologia da Walter Cannon nel 1935; la sindrome venne definita in questo modo da Hans Selye nel 1936. Stress e burnout sono strettamente correlati. Si genera così un circolo vizioso, nel senso che tale disequilibrio stressante che l’individuo avverte sul luogo di lavoro porta con sè delle conseguenze, le quali pesano in primo luogo, sull’ individuo stesso, ed in secondo luogo sull’ organizzazione lavorativa.

Conseguenze in Diabetologia

La Sindrome del Burnot compromette la comunicazione e le relazioni con i colleghi, all’interno del team, con i Responsabili, con i pazienti e le rispettive famiglie. L’efficacia dell’educazione terapuetica è fortemente minata, come pure la sollecitazione all’aderenza e alla persistenza per prevenire le complicanze.

Conseguenze in Oncologia

In ambito oncologico il rischio di sviluppare il burnout sembra particolarmente elevato, sebbene non necessariamente più alto rispetto ad altri setting clinici. Riguarda almeno 1 operatore su 3 ed è accentuata da: difficoltà a relazionarsi con le paure e le aspettative dei pazienti e dei familiari; incertezze della prognosi; difficoltà a elaborare l’idea della malattia e della morte; rievocazione di vissuti personali.

Obiettivi Generali del Corso: Una prospettiva per la ricerca e la prevenzione

Un campo poco esplorato nella letteratura sul burnout sono i fattori protettivi. Sarebbe interessante valutare se determinate caratteristiche psicologiche “positive /costruttive ” consentano all ’operatore un maggior adattamento in contesti , come l’oncologia , dove il rischio di burnout è elevato . Da qui la possibilità di implementare programmi preventivi mirati a rafforzare certe caratteristiche positive nel professionista, come strategia da affiancare ad azioni sui fattori ambientali stressanti nell’ambito delle organizzazioni.

La mindfulness, termine con il quale si intende “la consapevolezza che emerge dal prestare attenzione in modo intenzionale, nel momento presente e in maniera non giudicante, allo scorrere dell’esperienza”, è uno di questi strumenti di prevenzione . Si tratta di allenare la mente a restare in ciò che accade nel presente senza essere travolti da giudizi e ricordi del passato o preoccupazioni del futuro. La consapevolezza permette di allenare la calma mentale , l’ascolto attivo senza giudizi , la curiosità e la pazienza , aspetti importanti nella vita e nella pratica clinica. Si allena la mente con esercizi strutturati e guidati per sviluppare la capacità di scegliere dove portare l’attenzione.

Programmi strutturati di mindfulness hanno dimostrato incrementare negli operatori i livelli di consapevolezza delle proprie emozioni e di riconoscimento degli automatismi mentali , di gestione dello stress, ansia e depressione , con conseguente incremento del livello di autocompassione , di empatia e delle competenze emotive (Kabat-Zinn J., Lipworth L., Burney R., 1985 “The clinical use of mindfulness meditation for the self-regulation of chronic pain”. J. Behav. Med. 8) Maslach (2011) dichiara essenziale, ai fini della prevenzione del burnout e della minimizzazione delle possibili cause, il forte engagement delle persone al proprio lavoro, ossia favorire un saldo senso di appartenenza e
coinvolgimento con i propri compiti, obiettivi e il proprio ambiente lavorativo. Ritiene, poi, che un intervento a livello di organizzazione sia più produttivo di un intervento a livello individuale poiché ciascun soggetto , all’interno di un’azienda , è parte di un gruppo che influenza e da cui è influenzato : l’interazione sociale può contribuire a fornire supporto ma allo stesso tempo può rivelarsi un fattore cruciale per lo sviluppo di un clima ostile (Leiter, 2012), così come l’orario lavorativo (Perlow & Porter, 2009) può contribuire, parimenti, al rischio di burnout.

Obiettivi Specifici

  • Promuovere la conoscenza del rischio burnout e la diffusione degli strumenti utili alla prevenzione e gestione del disagio degli operatori

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