Fatta la legge, trovata la cura
Intervista a Quirico Carta
Nato e laureato a Torino, specializzato in Medicina interna, Endocrinologia, Malattie del Metabolismo e Diabetologia, ha diretto all’Ospedale Le Molinette la prima Divisione specificatamente dedicata alla Diabetologia nel Piemonte. È stato docente alla Scuola di specializzazione in Endocrinologia dell’Università di Torino. È consulente dell’Assessorato alla Sanità della Regione Piemonte. Come coordinatore della Commissione Diabetologica Regionale segue tutti gli aspetti amministrativi e normativi dell’assistenza diabetologica nella Regione Piemonte
Caro diario. Ti ricordi di quando mi iscrissi all’università? La scelta ‘ovvia’ fu Giurisprudenza. Mio padre era avvocato, mio nonno magistrato… nella mia famiglia di professionisti sardi ormai di casa a Torino, di leggi, norme e sentenze si parlava ogni giorno. La mia vocazione però era un’altra: curare invece che giudicare o assistere in giudizio. In breve tempo cambiai facoltà; mi iscrissi a Medicina con qualche delusione dei parenti. Per ironia della sorte ora oggi sono un medico che cura… attraverso le leggi. Già, perché la salute si garantisce anche (e sempre di più) collaborando a costruire un quadro normativo e amministrativo adatto. Ma facciamo un passo alla volta.
La Medicina era un’arte, fino alla legge 115. Laureato in Medicina, mi sono specializzato in Endocrinologia poi in Medicina interna e Malattie del Metabolismo e Diabetologia. Tutta la mia vita l’ho passata alle Molinette, l’Ospedale più grande di Torino, dove è stato aperta la prima Divisione (oggi si chiamerebbe Unità operativa complessa) espressamente dedicata alla Diabetologia. La Medicina allora era un’‘arte’, le corsie degli atelier. Ci si curava poco di discorsi come omogeneità delle cure, il concetto di ‘linee guida’ e ‘protocolli’ faticava a farsi strada. Anche l’idea di una assistenza ‘a vita’ al paziente entrava con difficoltà nella nostra mentalità di medici. Medicina e legge erano due mondi assai lontani. Il diabete però sfidava queste concezioni. Prima di tutto per i numeri in gioco. Milioni di persone in Italia hanno il diabete. Se non sono seguiti in maniera adeguata possono sviluppare complicanze o eventi cardiovascolari. L’infelicità e l’handicap di ciascuno moltiplicato per numeri con troppi zeri rischiano di diventare catastrofi sanitarie e assistenziali. Una scelta illuminata portò a redigere una legge appositamente per il diabete. La legge 115 del 1987. Questa legge (solo in parte messa in pratica) disegnava un modello che proiettava l’Italia all’avanguardia nel mondo in termini di assistenza alla persona con il diabete. Alle Regioni veniva richiesto fra le altre cose, di creare e aggiornare un registro delle persone con il diabete correlato all’emissione di uno specifico tesserino identificativo.
La Pubblica amministrazione… un mondo a parte. Essendo il primario della prima Divisione di Diabetologia del Piemonte, l’Assessorato alla Sanità mi chiese di collaborare alla messa in pratica di questo registro. In teoria avrei dovuto occuparmene 4 ore alla settimana, detratte dal lavoro in Ospedale. In pratica lavoravo 4 ore in più al giorno gratis ma… transeat. Iniziai a conoscere i corridoi della Regione. Un mondo a parte. Negli Ospedali regna l’urgenza, la concitazione (anche nelle divisioni dedicate alle malattie croniche); ogni caso è unico, le scelte vengono prese da singole persone e una certa imperfezione formale è ammessa laddove il contenuto è garantito. Nel mondo della Pubblica amministrazione, al contrario, l’urgenza è assai rara. Le decisioni sono lungamente condivise, e la perfezione formale è un requisito indispensabile.
Non mi trovai troppo a disagio… Non mi trovai subito a mio agio. Ma nemmeno troppo a disagio. Forse i ricordi di quel che sentivo dire a casa dai genitori, dai nonni e dai loro amici… ma iniziai a capire almeno in parte il lavoro dell’amministratore, se vogliamo del burocrate. Scrivere una norma in modo che sia intesa allo stesso modo da tutti, una circolare interpretativa che preveda davvero tutte le fattispecie, non è per nulla facile. Ancora meno lo è creare il consenso necessario per farla accettare e mettere in pratica. Ho imparato a rispettare anche la Politica, quella con la P maiuscola. Non sempre bastano il buon senso o la logica a definire la scelta migliore. Occorrono a volte delle scelte drastiche che non sono giustificabili tecnicamente ma hanno bisogno di un quadro di valori e devono essere sancite, ancorché indirettamente, dai cittadini. Occorre insomma anche la Politica.
La persona con il diabete ha bisogno di buone leggi quasi quanto ha bisogno di una terapia adatta? Andato in pensione mi venne chiesto di coordinare la Commissione diabetologica regionale, un organismo che è previsto più o meno in tutte le Regioni e che in Piemonte dopo essere stato rivitalizzato da una legge regionale del 2000 che ne ha ben definiti i compiti istituzionali, si riunisce con una certa regolarità e svolge un lavoro reale. “Sei passato dall’altra parte della barricata?” Mi si potrebbe chiedere pensando alla tradizionale rivalità che opporrebbe medici e amministratori. “No, sto dando il mio contributo di medico con metodi diversi”, potrei rispondere. Già, perché la persona con il diabete ha bisogno di buone leggi quasi quanto di una diagnosi corretta e di una terapia adatta. La persona con il diabete non ha bisogno di un singolo intervento (come potrebbe essere una appendicectomia o un bypass aortocoronarico) ma di una assistenza che sia omogenea durante tutta la sua vita. In questa vita il paziente può cambiare quartiere o città. Probabilmente la durata della sua malattia sarà superiore alla vita professionale del medico che lo cura. Non ha quindi (solo) bisogno di un buon medico ma di una struttura, anzi di una rete di strutture diabetologiche che si muovano in maniera omogenea. Inoltre, come ben sappiamo, la gestione del diabete è basata sulla prevenzione, su esami periodici.
Questi non possono essere lasciati al caso o all’estro del singolo medico. Bisogna prevedere calendari e percorsi che magari attraversano diversi tipi di strutture. Sarebbe opportuno definire cosa ci si attende dai medici di medicina generale e dagli specialisti, dagli ambulatori creati delle Unità operative di Malattie Metaboliche e Diabetologia (per legge regionale in ogni Azienda sanitaria locale o Azienda ospedaliera) e dalle Unità operative complesse specializzate. Queste cose non possono essere fatte dal singolo medico. Una Associazione scientifica come la AMD può portare avanti delle proposte ma non ha la potestà per realizzarle. Occorre l’intervento della Pubblica amministrazione: norme e regolamenti, circolari… burocrazia se vogliamo, ma nel senso alto della parola.
Informazioni, programmazione, gestione corretta delle risorse. Oltre che emanare normative la Regione deve anche programmare, definire con anticipo quali saranno i bisogni della popolazione. Quella raccomandazione della legge 115 che richiedeva alle Regioni di realizzare un registro dei pazienti è rimasta di fatto inapplicata in quasi tutte le Regioni. Poi è nata la legge sulla privacy, e quelle esigenze sono cadute. Ma in Piemonte questo registro è stato impostato su solide basi informatiche. Ambulatori e Unità operative condividono l’accesso a una base dati. La Regione conosce si può dire in tempo reale l’andamento dell’‘epidemia’ di diabete, l’evoluzione della patologia e può definire correttamente le risorse necessarie per farvi fronte. Un altro risultato meno tangibile è il clima positivo che si coglie nel dialogo fra la Regione Piemonte e i responsabili dell’Unità di Diabetologia ospedaliere e territoriali. Un dialogo nel quale ognuno ha imparato a riconoscere il punto di vista e le ragioni dell’altro. Certo aiuta il fatto che alcuni dei miei interlocutori sono stati miei allievi alla Scuola di specializzazione o miei aiuti alle Molinette. Ma non è solo quello.
Anche il paziente può fare qualcosa. Contrariamente a quello che si può pensare, però, l’Assessorato alla Sanità non è la ‘stanza dei bottoni’. È vero che lo Stato ha delegato alle Regioni una larghissima autonomia in materia sanitaria. Gli Assessorati alla Sanità regionali non sono però onnipotenti. In Piemonte, ad esempio, le singole Aziende hanno una grande autonomia: la Regione può chiedere, può porre degli obiettivi, ma sono i Direttori generali a decidere le priorità e le modalità. A volte ho la sensazione che per un Direttore generale di ASL siano più importanti le pressioni di un gruppo di pazienti – soprattutto se riportate dai giornali – che non una circolare interpretativa dell’Assessorato. Per la persona con il diabete, questo significa che diviene importante sapere quali sono i suoi diritti. Ad esempio in Piemonte la Legge regionale sancisce l’obbligo di stipulare un ‘accordo di reciproco impegno tra utente e struttura sanitaria erogante’ e della erogazione continua e sistematica di una ‘terapia educativa’. Avviene sempre? Se così non è, i pazienti possono e devono scrivere lettere, esprimere palesemente la loro insoddisfazione. Fare qualcosa insomma. Se hanno una legge dalla loro parte i risultati saranno superiori alle attese.
La medicina si dà le sue leggi. Del resto anche nella Medicina si osserva una maggiore ‘voglia di normativa’. Protocolli e Linee guida sono sempre più importanti. Ci si rende conto della necessità di definire le prassi migliori ed estenderle in maniera omogenea in modo che tutti i pazienti siano trattati nel modo migliore. Che è il fine della giurispridenza e della Pubblica amministrazione. Insomma la distanza fra camici bianche e toghe si sta riducendo. Mio padre e mio nonno sarebbero soddisfatti.