Ho il diabete, di chi è la colpa?
Riccardo Fornengo
specializzato in endocrinologia e malattie del ricambio all’Università di Torino, è diabetologo presso il Servizio di Diabetologia della ASL TO 4 di Chivasso.
Alcuni concetti scientifici, o almeno che erano tali all’origine, si radicano nel sentire comune, entrano a far parte della ‘opinione pubblica’ e lì restano, anche quando la ricerca scientifica li ha superati o corretti in parte.
Due di questi concetti, opposti ma conviventi, riguardano anche il diabete. «Si tratta del concetto ‘cattolico’ del diabete o dell’obesità come ‘punizione’ per aver mangiato troppi dolci», elenca Riccardo Fornengo diabetologo presso il Servizio di Diabetologia della ASL TO 4 di Chivasso, «e del concetto opposto della predestinazione genetica. Le persone svilupperebbero il diabete o altre malattie perché ‘questo è scritto nei loro geni’. In realtà nessuna di queste due concezioni è vera o perlomeno lo sono solo in parte», spiega Fornengo, specializzato in endocrinologia e malattie del ricambio all’Università di Torino.
Partiamo dalla ‘predestinazione’ genetica. Cosa c’è di vero?
Poco. Esistono delle malattie ereditarie dovute a un vero e proprio difetto genetico. In quei casi eredita il codice ‘errato’ ha la sicurezza o una probabilità definita di sviluppare la malattie. Ma sono relativamente poche.
Cosa succede nelle altre patologie? Ho letto che esiste una predisposizione genetica e una causa ambientale che può scattare o meno. È così?
Le cose sono ancora più complesse. Alcune malattie nascono così: un ‘grilletto’ ambientale fa scattare una ‘pistola carica’ genetica. Ma quando parliamo di obesità o diabete dobbiamo tenere conto che la relazione fra genetica e comportamento non è univoca. È in qualche misura reciproca. C’è una intera branca della ricerca che si chiama epigenetica che studia queste relazioni ‘inverse’ fra l’organismo e i geni. È provato che se adotto un certo stile di vita o mi trovo in un certo ambiente, intere sezioni del codice genetico si ‘aprono’ o si ‘chiudono’. Con il mio stile di vita io posso quindi influire, se non sui geni, sulla loro espressione. Del resto è chiaro che l’evoluzione non può avere selezionato organismi che non sono in grado di reagire a un cambiamento dell’ambiente. Questa flessibilità del codice genetico ci permette di rispondere a un mutamento dell’ambiente. È come quando vai in montagna in mezza stagione. Ti conviene portare una valigia di abiti pesanti e una di abiti leggeri. Così puoi affrontare sia le ore o le giornate calde che quelle fredde. Se porti solo cose leggere e fa freddo non sei più adatto all’ambiente. Da questo emerge che le nostre scelte non solo sono indipendenti dal codice genetico ma in parte lo influenzano.
È un po’ difficile da capire…
Faccio un esempio. Fra qualche anno mia figlia Virginia avrà la stessa corporatura e taglia di Monica, mia moglie. Se vorrà, Virginia potrà indossare i vestiti della mamma. Potrà scegliere nel suo armadio. Ma Virginia si vestirà in modo diverso da come si veste ora Monica perché sono due persone diverse e si trovano in momenti diversi della loro vita. E quando anche la sorellina Vittoria sarà grande, aprirà dei cassetti e degli scomparti dell’armadio che mia moglie da tempo non apre e viceversa. Il codice – cioè l’insieme degli abiti nell’armadio – è lo stesso, ma lo stile, le scelte saranno diverse. E varieranno nel tempo perché forse Virginia a 15 anni sceglierà degli abiti diversi da quelli che tirerà fuori a 18. Spero di essere riuscito a farmi capire. Il fatto che esista una predisposizione genetica non toglie nulla – se parliamo di diabete, obesità e sindrome metabolica – alla mia possibilità di agire e per esempio di prevenire queste condizioni.
Insomma ciascuno è al timone della sua vita?
Sì, se con questa frase si intende dire che possiamo essere protagonisti e fare delle scelte di prevenzione e in qualche modo di poter gestire la nostra “pistola carica” genetica. No se con questo sottintendiamo che chi ha il diabete o è obeso… se lo è meritato perché non ha fatto delle scelte corrette. Ha il diabete perché ha esagerato con i dolci, è grasso perché non fa sport.
Perché? Anche questo non è vero?
Diciamo che è vero solo in parte. Sia nelle ricerche epidemiologiche sia nella pratica di ambulatorio i conti non tornano. Troppe eccezioni. E poi come spiegare l’epidemia di diabete in persone e popoli che migrano o cambiano stile di vita? L’esercizio fisico e l’alimentazione sono importantissimi ma non sono evidentemente l’unica leva che ‘fa scattare’ il diabete.
Questo si dice anche dei tumori…
Le differenze fra malattie metaboliche e tumori si stanno per certi versi assottigliando. Nell’immaginario collettivo era entrato il concetto che possiamo prevenire il diabete ma, fumo a parte, non possiamo prevenire i tumori. Ora ci accorgiamo che ambedue questi concetti sono in parte falsi. Il fatto è che nel nostro ambiente interno, il corpo entrano sostanze provenienti dall’ambiente esterno che hanno una azione importante sul nostro sistema endocrino. Sono dei veri distruttori endocrini: sostanze potenti come farmaci ma velenose che spesso non sono state mai testate seriamente sull’uomo, che assumiamo senza saperlo, attraverso i cibi e non solo. Queste sostanze vanno a inibire o ad attivare dei recettori e provocano delle reazioni nelle cellule. Alcune di queste sostanze, come ad esempio la diossina di cui tanto si parla in questi giorni per il problema dei rifiuti di Napoli o per la tragedia di Seveso, sono in grado di interagire con il DNA e di modificare l’espressione di alcuni geni. Le conseguenze si esprimono attraverso malattie endocrine e probabilmente attraverso i tumori.
Quindi se una persona è obesa o ha il diabete…
Dire che è tutta colpa sua non è solo poco ‘corretto’ è proprio scientificamente sbagliato. C’è un elemento genetico, c’è un ruolo degli stili di vita – per cui è importante adottare degli stili di vita migliori possibile – ma c’è anche una responsabilità sociale.
Cosa c’entra la società?
Non possiamo pensare che il singolo vada a informarsi su ciascuna delle sostanze con cui entra in contatto – probabilmente più di mille al giorno – e sull’effetto che ogni sostanza in commercio o diffusa nell’acqua o nell’atmosfera può avere sul suo organismo. Ma possiamo chiedere che qualcuno lo faccia e proibisca o limiti l’uso di quelle potenzialmente pericolose, anche se sono redditizie o se rendono per altri versi più vendibile un prodotto.
Ma il cittadino non ha diritto di scegliere?
Il diritto di scelta si esprime in un contesto. Se vai al ristorante a mangiar funghi hai il diritto di scegliere i funghi che vuoi tra quelli proposti nel menù, ma hai anche il diritto di aspettarti che qualcuno abbia controllato e che in nessun caso ti saranno serviti funghi velenosi. La libera scelta presuppone quindi proprio per essere libera un controllo pubblico.
Come si fa con i farmaci?
Esattamente. Un farmaco che ha mostrato di essere utilissimo in 99.999 casi su 100 mila ma che in un caso ha provocato, anzi potrebbe aver provocato, un effetto secondario importante viene sospeso e spesso ritirato dal mercato mondiale nel giro di poche settimane o mesi. Accade non di rado. E questo è giusto. Ma nello stesso tempo non esiste nessuna sorveglianza su tutte le altre sostanze che assumiamo in dosi anche superiori alcune delle quali hanno un effetto ancora più potente sull’organismo. Non solo, anche quando si riesce a dimostrare il loro effetto negativo, attenzione: solamente negativo, occorrono anni o decenni perché né venga davvero cessata la commercializzazione. Pensiamo al DDT o all’amianto. Esiste quindi una responsabilità sociale non meno importante di quella personale (gli stili di vita) e della non-responsabilità genetica.
Ma la società può davvero fare qualcosa?
Certo che sì! Quando vuole la collettività si muove. Il fumatore è stato informato ed è stata fatta su di lui una forte pressione. I risultati si vedono. Sono calati i fumatori, il numero di sigarette fumate e il loro contenuto in nicotina. I bambini si lavano i denti e i dentisti notano che ci sono meno carie. Riducendo il sale nel pane si abbassa l’ipertensione in una intera città o nazione. Un oncologo vede ridursi i tumori ‘occupazionali’ dei tintori, degli stampatori e dei lavoratori della plastica a seguito delle misure di sicurezza rese obbligatorie in fabbrica. Un traumatologo vede meno conseguenze estreme degli incidenti stradali da quando casco e cinture sono divenute obbligatorie. Quando medici, politici, sindacati si sono mossi, i risultati si sono visti!