Quanto è scritto nei nostri geni e quanto conta la prevenzione? L’elisir di lunga vita esiste
Antonio Nicolucci
medico internista, all’Istituto Mario Negri Sud di Chieti
Vivere più a lungo e in buone condizioni di salute. Chi non lo desidera? Nella maggior parte dei casi sta a noi raggiungere questo obiettivo. I progressi della medicina hanno avuto un impatto enorme sull’aspettativa di vita. «Per esempio grazie ai farmaci abbiamo debellato quasi tutte le malattie infettive. Nel 1977 l’attesa di vita era di 70 anni per i maschi e 77 per le femmine. Nel 2000 è salita a76,5 per i maschi e 82 per le femmine. Dal 2000 al 2004 però il progresso è stato più graduale», afferma Antonio Nicolucci medico internista, che lavora da 20 anni all’Istituto Mario Negri Sud di Chieti, il punto di riferimento della epidemiologia e della statistica in materia di malattie metaboliche e cardiovascolari.
Ma è una media come quella di Trilussa: se io mangio un pollo e tu nulla, abbiamo mangiato mezzo pollo a testa…
È vero. Ma come fare a essere fra quelli che mangiano mezzo pollo cioè che superano quell’attesa di vita e soprattutto che riescono a vivere senza troppi fastidi? Innanzitutto teniamo presente chi è il pericolo numero uno. Ogni anno circa 90 mila persone muoiono prima dei 65 anni e 193 mila prima dei 75. Inoltre 4 casi su 10 a causa di ictus o infarti. I tumori rappresentano meno del 30% dei decessi in questa fascia di età. E noi abbiamo le armi per sconfiggere il rischio cardiovascolare, soprattutto se agiamo per tempo.
La solita prevenzione di cui si parla tanto…
Se ne parla tanto perché è lì che possiamo agire. Quando il diabete è diagnosticato o il primo infarto si è manifestato si può fare qualcosa, ma in termini di riduzione del danno. Meglio agire prima e il rischio di ictus e infarti dipende largamente, forse per il 90%, da fattori di rischio modificabili insomma da delle scelte. Fumi o non fumi? Sei sovrappeso o no? Fai esercizio fisico o no? Hai una alimentazione ricca o povera di fibre? Stiamo parlando di scelte che sono pienamente nelle nostre mani. È difficile cambiare abitudini ma è anche difficile sopravvivere a un infarto. A questo poi si aggiungono fattori di rischio modificabili se del caso anche con l’aiuto di farmaci, penso alla pressione, ai grassi nel sangue, alla glicemia.
Ma quanto conta davvero la prevenzione? Non è che tutto è ‘già scritto’ nei geni?
C’è una familiarità, dietro la quale c’è anche una componente genetica. E questa può giocare a favore o contro. Ma se parliamo di malattie cardiovascolari, non c’è gene che possa contrastare un buon lavoro di prevenzione. La genetica ci dà in mano carte più o meno buone, ma la partita è tutta da giocare. Gli infarti e gli ictus non arrivano per caso, ma non sono nemmeno inscritti nel nostro codice genetico. Dipendono in larga parte dalle nostre abitudini e da scompensi metabolici che spesso sono la conseguenza di abitudini sbagliate. Fumi? Il rischio di infarto aumenta di tre volte. Hai il diabete e non lo controlli? Il rischio raddoppia, esattamente come accade se hai la pressione alta. Hai troppi grassi nel sangue? Il rischio quadruplica. Ma attenzione. Se fumi, hai il diabete la pressione alta e i grassi nel sangue ‘sballati’ – e non sto parlando di una situazione rara, la troviamo spesso nelle persone sedentarie – il tuo rischio è 42 volte superiore a quello di un coetaneo, aggiungiamoci un po’ di sovrappeso e di stress. Ed ecco che arriviamo a un rischio 333 volte superiore alla norma di sviluppare un infarto.
Trecentotrentatre volte, un numero che sembra fatto apposta per mettere paura!
In effetti. Direi che dopo i 50 anni equivale alla quasi sicurezza di avere un infarto e ictus entro cinque anni. Dico queste cose non per il gusto di fare del sensazionalismo ma perché gli stessi studi ci offrono la soluzione. Il dato che ho citato prima proviene da uno dei moltissimi studi fatti sull’argomento si chiama Interheart. In 262 ospedali di 52 Paesi del mondo per ogni persona arrivata in ospedale con un infarto si è scelta una persona coetanea dello stesso sesso e popolazione ‘sana’ dal punto di vista cardiovascolare. E si è andati a vedere in cosa differivano le persone infartuate da quelle sane. È emerso che non fumare significa ridurre di un terzo il rischio di infarti e ictus, non fumare, mangiare frutta e verdura e fare esercizio fisico lo riduce di quattro quinti.
Insomma sarebbe tutto nelle nostre mani. Ma come si fa a cambiare di punto in bianco tutte le proprie abitudini?
Il più è iniziare. I risultati si vedono subito. Se una persone obesa riduce anche solo del 7% il proprio peso il rischio di diabete si riduce del 60%, probabilmente si sentirà anche in migliore forma fisica e avrà più voglia di muoversi. Facendo esercizio fisico scoprirà anche il piacere di non fumare e così via. Sovrappeso e sedentarietà sono i punti di partenza. Oltre al fumo ovviamente, quello va abolito subito. In palio ci sono, con grande probabilità, anni e anni di vita sana in più. Mi pare che ne valga la pena, che dice?