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Diabete No Grazie

Ripensare il trattamento del diabete: verso la rivoluzione “peso-centrica”

Qual è l’obiettivo più importante nella cura del diabete? Vengono prima le glicemie o i chilogrammi di troppo? All’82° congresso dell’American Diabetes Association si è riaperto il dibattito. I nuovi farmaci per il trattamento dell’obesità e del diabete potrebbero consentire un armistizio. Ma resta una questione… di un certo “peso”!

A cura di Marina Valenzano

20 giugno 2022 – Si è recentemente concluso l’82° congresso dell’American Diabetes Association (ADA), vetrina internazionale per presentare i progressi compiuti dalla ricerca in ambito diabetologico e punto di riferimento per tutti gli operatori sanitari impegnati nella prevenzione e cura del diabete.

Tra gli argomenti in evidenza ha dominato la scena la “questione obesità”: un problema che preoccupa per le sue dimensioni non soltanto in ambito clinico, ma anche nell’accezione epidemiologica, cioè nella sempre crescente numerosità dei casi. L’obesità ha ormai ricevuto la dignità di patologia a sé stante, ma rimane stretto il rapporto con il diabete mellito. Ne consegue la necessità di estendere le prospettive di cura a una popolazione più ampia e, quindi, tra gli studiosi si fa largo l’ipotesi di dover nuovamente ripensare l’approccio al trattamento del diabete.

Negli ultimi anni si è passati da una filosofia “gluco-centrica”, vale a dire focalizzata sul controllo della glicemia, a una “cardio-centrica”, che dà priorità alla prevenzione delle complicanze, in particolar modo di quelle cardiovascolari. Si sta ora valutando se tornare a inserire la riduzione di peso tra gli obiettivi primari della cura: stiamo forse per assistere alla rivoluzione di pensiero “peso-centrica” o, come vorrebbero gli esponenti dell’American Association of Clinical Endocrinologists, “adipo-centrica”?

Per comprenderne le ragioni, facciamo un passo indietro. L’obesità è definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come un accumulo anomalo o eccessivo di tessuto adiposo che comporta un rischio per la salute. Il peso è il parametro più semplice, diffuso e riproducibile che ne consente la misura, anche se non sempre definisce in modo ottimale lo stato di patologia (non dimentichiamo, ad esempio, l’importanza della distribuzione della massa grassa!). Ma il peso assume anche un ruolo importante nella storia della malattia diabetica – a volte precedendo, a volte aggravando le alterazioni del metabolismo – e rientra quindi già oggi tra gli obiettivi “aggiuntivi” di cura. Una recente revisione della letteratura scientifica, comparsa su The Lancet all’inizio del 2022, ci ricorda come un calo ponderale di almeno il 10-15% possa veramente modificare il decorso della malattia diabetica, provocando un miglioramento o, in alcuni casi, addirittura la remissione, se ottenuto in una fase molto precoce (generalmente nel primo anno dalla diagnosi di diabete). Per questi motivi, la riduzione del peso non può essere soltanto un requisito accessorio in tema di cura.

Ma raggiungere obiettivi così ambiziosi, in poco tempo, e soprattutto riuscire a mantenerli… non è certo facile! Solitamente, l’intervento sulla dieta e sullo stile di vita, anche se intensivi, risultano efficaci soltanto in 2 pazienti su 10. Migliori sono le performance della chirurgia bariatrica, che, tuttavia, non può essere proposta a tutti, a causa della sua complessità e dei rischi operatori.

Un nuovo entusiasmo è stato destato dalla disponibilità di opzioni farmacologiche innovative, efficaci nel favorire il calo ponderale in quadri di obesità e anche di diabete: ancora una volta è fondamentale la precocità di avvio al trattamento.

Negli Stati Uniti sono state approvate per questo scopo 5 molecole, di cui 4 commercializzate anche in Italia: orlistat, liraglutide, semaglutide e l’associazione naltrexone-buproprione. Il primo agisce riducendo del 30% l’assorbimento dei grassi introdotti con la dieta e ha effetti limitati; liraglutide e semaglutide mimano l’azione del glucagon-like peptide 1 (GLP1), un ormone intestinale coinvolto nella stimolazione della secrezione insulinica, ma anche nella regolazione del transito alimentare e dell’appetito; naltrexone e bupropione, infine, sono essenzialmente psicofarmaci e agiscono sulla sensazione di fame. Nel complesso, queste terapie consentono una riduzione media del peso del 3-7% in 12 mesi, con risultati migliori per la semaglutide, che tuttavia, per il momento, può essere prescritta in Italia per il trattamento del diabete, ma non per l’obesità in assenza di alterazioni della glicemia.

Recentemente, infine, la tirzepatide, una nuova combinazione di due ormoni (GLP1 e peptide inibitorio gastrico o GIP) ha completato gli studi necessari alla commercializzazione, mentre altre “multi-molecole” sono in sperimentazione. Nello studio SURPASS, tirzepatide ha fatto registrare una riduzione ponderale fino all’11% dopo 40 settimane in soggetti affetti da diabete.

In conclusione, seppur promettenti, i soli farmaci non hanno ancora raggiunto l’asticella del 15% di riduzione del peso, target per cui restano necessari interventi multidisciplinari. D’altra parte, il calo ponderale non è certo l’unico obiettivo da perseguire e non è possibile ridurre la complessità della malattia “diabete” alla sola problematica del peso. È importante notare, comunque, come gli obiettivi di cura tendano a “spostarsi” da quella che era (solamente?) prevenzione delle complicanze alla possibilità di prevenire la malattia. Nell’attesa di trovare, finalmente, la cura risolutiva.


Obesity management as a primary treatment goal for type 2 diabetes: time to reframe the conversation
Lancet 2022;399:394-405

Tirzepatide once weekly for the treatment of obesity
The New England Journal of Medicine 2022. Online ahead of print