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Efficacia e sicurezza del doppio inibitore SGLT1/2 sotagliflozin nel diabete tipo1: metanalisi di trial randomizzati e controllati

A cura di Eugenio Alessi

20 maggio 2019 (Gruppo ComunicAzione) – Il raggiungimento e il mantenimento degli obiettivi glicemici nel diabete tipo 1 (DT1) è difficoltoso e non esente da rischi: la terapia cardine, ovvero l’insulina, non è scevra da effetti collaterali, quali l’incremento ponderale e l’ipoglicemia. Le ipoglicemie severe, in particolare, rappresentano il principale ostacolo all’ottenimento di un buon compenso glicemico, oltre a determinare un incremento dei costi connessi alla gestione della patologia e rappresentare un fattore di rischio per eventi avversi cardiovascolari, non cardiovascolari e mortalità. I trattamenti aggiuntivi per il DT1, quelli approvati (la pramlintide negli Stati Uniti) o quelli più o meno recentemente proposti (metformina, SGLT2 inibitori, farmaci incretinici), non hanno dimostrato di poter ridurre l’incidenza di ipoglicemia severa. Il sotagliflozin, primo farmaco della classe, è un doppio inibitore del cotrasportatore sodio glucosio (SGLT) 1 e 2. L’SGLT2, come noto, determina il riassorbimento del glucosio a livello del tubulo renale, mentre l’SGLT1 è responsabile dell’assorbimento del glucosio a livello dell’intestino prossimale: la duplice inibizione di tali enzimi sembrerebbe offrire un beneficio aggiuntivo rispetto alla sola inibizione di SGLT2, specie in termini di controllo delle escursioni glicemiche post-prandiali e di variabilità glicemica.

Giovanni Musso (osp. universitario Humanitas Gradenigo, Torino) e colleghi hanno condotto e pubblicato sul British Medical Journal una metanalisi di studi randomizzati e controllati che avevano valutato l’efficacia e la sicurezza della terapia con sotagliflozin, in aggiunta a insulina, in soggetti adulti con DT1.

Sono stati selezionati 6 trial randomizzati e controllati con placebo, per un totale di 3238 partecipanti con DT1. Alcuni studi hanno confrontato tre diversi dosaggi di sotagliflozin (75, 200 e 400 mg), per un totale quindi di 10 comparazioni fra farmaco e placebo. La durata degli studi variava dalle 4 alle 52 settimane e sono stati presi in considerazione outcome di efficacia “glicemica”, outcome di efficacia “non glicemica” e outcome di sicurezza. Per quattro studi erano disponibili, in sottogruppi di pazienti, parametri ottenuti dal monitoraggio continuo del glucosio interstiziale (CGM, continuous glucose monitoring). Per i dettagli sulla complessa metodologia statistica utilizzata per la metanalisi dei dati si rimanda alla versione integrale dell’articolo.

Nel complesso, la terapia con sotagliflozin è risultata associata a una significativa riduzione dei livelli di HbA1c (differenza media pesata -0,34%, IC 95% da -0,41 a -0,27%, p <0,001) e a una significativa riduzione della glicemia plasmatica a digiuno (-16,98 mg/dl, IC 95% da -22,09 a -11,86, p <0,001), in maniera indipendente dalla durata dello studio e dai valori di HbA1c al basale. Quanto ai parametri ottenuti dal CGM, la terapia con sotagliflozin ha incrementato in maniera significativa il “time in range” (+9,73%, IC 95% da 6,66 a 12,81%, p <0,001) e ridotto in maniera significativa la glicemia media giornaliera e l’ampiezza media delle escursioni glicemiche (p <0,001 in entrambi i casi). La terapia con sotagliflozin, inoltre, è risultata associata a una riduzione significativa delle dosi di insulina totale (-8,99%, IC 95% da -10,93 a -7,05%, p <0,001), sia nella componente basale sia nei boli (p <0,001 in entrambi i casi).

Per quanto riguarda gli outcome “non glicemici”, la terapia con sotagliflozin ha determinato un significativo calo ponderale (-3,54%, IC 95% da -3,98 a -3,09%, p <0,001), correlato con l’entità della riduzione della dose di insulina rispetto al basale, e anche una riduzione significativa della pressione arteriosa sistolica e diastolica (p <0,001 in entrambi i casi). Quanto agli effetti renali, la terapia con sotagliflozin ha determinato una riduzione lievemente, ma significativamente, maggiore del filtrato glomerulare stimato, rispetto al placebo (-0,8 ml/min/1,73 m2, IC 95% da -1,48 a -0,18, p = 0,01), ma ciò è avvenuto solo negli studi con durata inferiore alle 12 settimane; al contrario, nei due studi di durata più lunga (52 settimane), si è assistito a un incremento del filtrato, sia in termini assoluti sia rispetto al placebo. Nei tre studi in cui è stato valutato il rapporto albuminuria/creatinuria, la terapia con sotagliflozin ne ha determinato una riduzione significativa (p = 0,02).

In termini di sicurezza, la terapia con sotagliflozin ha determinato una riduzione delle ipoglicemie (-9,09 eventi per paziente/anno, IC 95% da -13,82 a -4,26, p <0,001), con una riduzione del rischio di ipoglicemia severa del 31% (RR 0,69, 0,49-0,98, p = 0,04), ma anche un aumento del rischio di chetoacidosi (RR 3,93, 1,94-7,96, p <0,001), che si è verificato nel 3,1% dei pazienti trattati, con il 31% dei casi avvenuto con glicemia inferiore a 250 mg/dl. L’eccesso di rischio si è verificato sia nei pazienti in terapia multiniettiva sia in quelli in terapia con microinfusore ed è risultato inversamente correlato con i livelli al basale di HbA1c (significativo solo per valori <8%) e positivamente con l’entità della riduzione della dose di insulina basale. La terapia con sotagliflozin non è risultata associata a un incremento del rischio di infezioni delle vie urinarie, ma a un incremento delle infezioni micotiche genitali, di diarrea (ma non con altri eventi avversi gastrointestinali) e di eventi legati alla deplezione di volume. Non è emersa alcuna differenza significativa in termini di eventi cardiovascolari, neoplasie o mortalità. Per quanto riguarda gli outcome di efficacia, si è palesata una differenza significativa fra la dose di 400 mg/die e le dosi inferiori, ma ciò non si è verificato per gli outcome di sicurezza.

Gli autori concludono affermando che, nella metanalisi, l’utilizzo di sotagliflozin in pazienti con DT1 è risultata associata a un miglioramento di parametri glicemici e non glicemici, con una significativa riduzione di HbA1c, della variabilità glicemica, del peso corporeo, del fabbisogno insulinico e del rischio di ipoglicemia severa. Negli studi di durata più lunga vi era, inoltre, un potenziale effetto di nefroprotezione: non è stato riscontrato un incremento delle infezioni delle vie urinarie, anche in virtù del fatto che l’escrezione urinaria di glucosio si attestava a livelli più bassi rispetto a quanto generalmente accade con gli inibitori di SGLT2. L’evento avverso più rilevante è stata la chetoacidosi, con la riduzione della dose di insulina basale (più marcata nei pazienti meglio compensati) che sembra avere un ruolo centrale e sui cui bisognerebbe intervenire con precisi protocolli al momento della selezione dei pazienti per questo tipo di terapia aggiuntiva. Uno dei limiti della metanalisi è quello di aver incluso un numero limitato di studi, di durata breve, che quindi non ha permesso una valutazione adeguata di importanti outcome, come gli eventi cardiovascolari maggiori e la mortalità.


BMJ 2019;365:l1328

PubMed


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