Empaglifozin in pazienti diabetici ad alto rischio cardiovascolare: risultati dello studio EMPA-REG OUTCOME
A cura di Francesco Romeo
18 marzo 2016 (Gruppo ComunicAzione) – Il diabete mellito tipo 2 (DMT2) è il maggiore fattore di rischio per malattia cardiovascolare e la presenza DMT2 e malattia cardiovascolare aumentano il rischio di mortalità. Le evidenze che i bassi livelli di glucosio riducano i tassi di eventi cardiovascolari e di mortalità non è mai stato dimostrato in maniera convincente, sebbene un modesto beneficio cardiovascolare può essere osservato dopo un lungo periodo di follow-up. Inoltre, il controllo glicemico intensivo attraverso l’uso di ipoglicemizzanti orali può essere associato a outcome cardiovascolari avversi. Proprio per questo è necessario stabilire la sicurezza e i benefici cardiovascolari dei farmaci ipoglicemizzanti oggi in commercio.
Gli inibitori del cotrasportatore sodio glucosio di tipo 2 (SGLT2) riducono l’iperglicemia nei pazienti con DMT2 riducendo il riassorbimento renale di glucosio e favorendone l’eliminazione attraverso le urine. Empagliflozin è un inibitore selettivo di SGLT2 ed è stato approvato per il trattamento del DMT2. Da solo o in associazione con altri farmaci ha dimostrato di ridurre l’HbA1c in pazienti con DMT2 anche in stadio 2 e 3 di insufficienza renale cronica. Inoltre, empagliflozin determina riduzione della pressione arteriosa e del peso corporeo.
Nello studio EMPA-REG OUTCOME, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista The New England Journal of Medicine, si sono voluti valutare gli effetti di empagliflozin in aggiunta alla terapia standard nel ridurre morbilità e mortalità cardiovascolare in pazienti con DMT2 ed elevato rischio cardiovascolare.
I pazienti arruolati ricevevano empagliflozin 10 o 25 mg oppure placebo una volta al giorno. L’endpoint primario composito era rappresentato da morte per cause cardiovascolari, infarto del miocardio non fatale, ictus non fatale. Endpoint secondario era lo stesso del primario più l’ospedalizzazione per angina instabile.
Sono stati arruolati 7020 pazienti con DMT2 e seguiti per una mediana di 3 anni. L’endpoint primario si verificava in 490 pazienti su 4687 trattati con empagliflozin (10,5%) e in 282 su 2333 trattati con placebo, che rappresenta il 12% della popolazione in esame. Non vi era una differenza statisticamente significativa nei due gruppi in termini di incidenza di infarto del miocardio e ictus, ma nel gruppo empagliflozin vi era una riduzione significativa di mortalità per cause cardiovascolari (3,7 vs. 5,9% nel gruppo placebo; riduzione del rischio relativo del 38%), ospedalizzazione per scompenso cardiaco (2,7 vs. 4,1%; riduzione del rischio relativo del 35%) e mortalità per tutte le cause (5,7 e 8,3% rispettivamente; riduzione del rischio relativo del 32%). Non vi erano differenze nei due gruppi per l’endpoint secondario (p = 0,08 per superiorità). Nei pazienti con empagliflozin vi era un incremento di infezioni genitali ma non di altri eventi avversi.
I risultati di questo studio sono molto interessanti in quanto raggiunti in pazienti diabetici con elevato rischio cardiovascolare e già adeguatamente trattati (acido acetilsalicilico, farmaco agente sul sistema RAA e statina). Le ragioni dell’effetto protettivo di empagliflozin sono, verosimilmente, da ricercarsi soprattutto negli effetti ancillari del farmaco volti a migliorare non solo l’iperglicemia ma anche diversi altri fattori responsabili della sindrome metabolica.
N Engl J Med 2015;373(22):2117-28
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