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Fugare i dubbi: outcome renali e cardiovascolari del canagliflozin in pazienti con arteriopatia periferica

Punti chiave

Domanda: Nello studio CANVAS emergeva un aumentato rischio di amputazioni nel braccio dei pazienti trattati con canagliflozin rispetto a quelli allocati a placebo. È dunque prudente l’uso della molecola in pazienti affetti da arteriopatia periferica?

Risultati: Una pooled analisi in cui confluivano i dati dei pazienti del CANVAS Program e dello studio CREDENCE ha dimostrato che nei pazienti con arteriopatia periferica nota il beneficio in termini di outcome renali e cardiovascolari era sovrapponibile in termini statistici rispetto ai pazienti senza arteriopatia periferica e non vi era un aumentato rischio di ischemia acuta e cronica, trombosi e restenosi arteriosa agli arti inferiori.

Significato: Nello studio randomizzato di outcome cardiovascolare CANVAS veniva segnalato un aumentato rischio di amputazioni agli arti inferiori, una unicità all’interno della classe degli SGLT2 inibitori che ha in generale mostrato elevate caratteristiche di sicurezza. Questa analisi estesa ai pazienti del CREDENCE sembra smentire con fondatezza numerica che l’uso del canagliflozin possa essere considerato incauto in pazienti con arteriopatia periferica, riportando l’evidenza nell’ambito della logica: il beneficio dell’uso del farmaco va esteso anche a tale sottogruppo di pazienti diabetici per definizione ad altissimo rischio di eventi e mortalità cardiovascolare.


A cura di Fabrizio Diacono

9 maggio 2022 (Gruppo ComunicAzione) – La significativa riduzione dei MACE (major adverse cardiac events) registrata nella maggioranza degli studi di sicurezza cardiovascolare, la capacità di rallentare la progressione della nefropatia e la significativa riduzione delle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco hanno allocato l’uso della classe degli SGLT2 inibitori tra le prime linee terapeutiche nei pazienti con diabete mellito tipo 2. Se si eccettuano le infezioni del tratto genito-urinario, solitamente non gravi, e la chetoacidosi diabetica, evenienza rara e limitata in sottogruppi di pazienti, la classe ha mostrato un profilo di sicurezza solido. Unico neo in un panorama sostanzialmente univoco è il rilievo del significativo aumento, a carico del solo canagliflozin, delle amputazioni agli arti inferiori segnalato dal trial clinico randomizzato di outcome cardiovascolare CANVAS Program. Il dato non è stato confermato né da alcuni corposi studi osservazionali di real world (ad esempio lo studio 4D) né dallo studio di outcome renale CREDENCE, ma di fatto ha posto dubbi sulla sicurezza dell’uso di questa specifica molecola sui soggetti affetti da diabete mellito tipo 2 e concomitante arteriopatia periferica.

In una pooled post hoc analysis appena pubblicata su Diabetes, Obesity and Metabolism sono stati aggregati i pazienti dello studio CANVAS e dello studio CREDENCE per esplorare sia gli outcome classici cardiovascolari (MACE) e renali, sia per verificare se la evenienza dei major extended limb events (MALE) (ischemia acuta e cronica, trombosi e restenosi arteriosa agli arti inferiori) fosse maggiormente prevalente nei pazienti allocati a canagliflozin in confronto a placebo. Successivamente, veniva confrontato il beneficio del farmaco nei pazienti con e senza arteriopatia periferica già in anamnesi al momento dell’ingresso nei due studi.

Dei 14.543 pazienti confluiti nello studio (10.142 dello studio CANVAS e 4401 dello studio CREDENCE), 3159 pazienti (il 27%) erano affetti da arteriopatia periferica (PAD, peripheral arterial disease). I soggetti affetti da PAD erano più anziani, con una più lunga durata di malattia diabetica, con maggiore prevalenza di storia di scompenso cardiaco, pregressi eventi cerebrovascolari, complicanze microvascolari e storia di amputazioni; mostravano inoltre un peggiore controllo dei fattori di rischio cardiovascolari.

L’analisi aggregata dei due studi ha confermato la riduzione di tutti gli outcome nei pazienti allocati a braccio attivo di trattamento versus placebo con beneficio sovrapponibile sia nei pazienti affetti da PAD sia in chi non era affetto: la riduzione del 17% dei MACE (PAD: HR 0,76, IC 95% 0,62-0,92; e senza PAD: HR 0,86, IC 95% 0,76-0,98), del 26% di ospedalizzazioni per scompenso cardiaco e morte cardiovascolare (PAD: HR 0,69, IC 95% 0,56-0,86 vs non PAD: HR 0,76, IC 95% 0,66-0,88), del 15% della mortalità per tutte le cause (più spiccatamente significativa in chi affetto da PAD: HR 0,73, IC 95% 0,69-0,98 vs non PAD: HR 0,88, IC 95% 0,76-1,02, p interaction 0,320).

In termini di outcome composito renale vi era una riduzione significativa del 29% nei pazienti affetti da PAD e del 39% dei pazienti non affetti da PAD (HR 0,71, IC 95% 0,49-1.03 vs HR 0,61, IC 95% 0,49-0,76), con una differenza tra i due gruppi non statisticamente significativa (p interaction 0,502).

In numeri assoluti, nel sottogruppo dei pazienti affetti da PAD si è registrato un minor numero di MACE, di ospedalizzazioni per scompenso cardiaco, di morte cardiovascolare, di morte per tutte le cause e degli elementi dell’outcome composito renale.

I pazienti affetti da PAD non mostravano un aumentato rischio di amputazioni se confrontati con chi non ne era affetto, ma il rischio di amputazioni si confermava aumentato nei pazienti allocati a canagliflozin (HR 1.50; IC 95% 1,19-1,89) per un effetto dovuto al maggior peso numerico dei soggetti provenienti dallo studio CANVAS (HR 1,97; IC 95% 1,41-2,75) in confronto a quelli del CREDENCE, dove il dato delle amputazioni non risultava significativo (HR 1,11; IC 95% 0,79-1,55). Nella intera coorte aggregata il rischio di MALE non era aumentato sia che i pazienti fossero affetti da PAD (HR 1,09; IC 95% 0,82-1,46) sia che non lo fossero (HR 1,22; IC 95% 0,91-1,64), come in generale il rischio di eventi avversi gravi.

Gli autori dello studio sottolineano che la loro analisi post hoc dimostra chiaramente che la presenza di arteriopatia periferica nei pazienti analizzati non preclude il beneficio dell’uso di canagliflozin. Tali soggetti sono per definizione a più elevato rischio di eventi cardiovascolari, progressione del danno renale e scompenso cardiaco se confrontati con chi non è affetto da PAD: da qui l’atteso vantaggio dell’uso di un SGLT2 inibitore, che è più significativo tanto maggiore sono i caratteri di rischio della popolazione trattata come si desume dai trial di sicurezza cardiovascolare a oggi disponibili per i farmaci appartenenti alla classe.

In relazione all’aumentato rischio di amputazioni rilevato nei pazienti trattati, gli autori sottolineano che il motivo di tale rilievo non è noto e che possa essere un rilievo casuale visto che non è stato confermato dallo studio CREDENCE e non è stato riscontrato in nessun trial condotto con farmaci della stessa classe, da qui la decisione dell’FDA di rimuovere la specifica allerta in scheda tecnica. In più, l’analisi dei MALE non era statisticamente aumentata dall’uso del canagliflozin in generale e nel confronto tra pazienti con e senza PAD. Risultati identici sono stati evidenziati in una analisi post hoc dello studio di sicurezza e superiorità cardiovascolare DECLARE-TIMI 58 condotto con dapagliflozin.

I dati suggeriscono chiaramente che l’uso di canagliflozin può portare ai pazienti affetti da diabete mellito tipo 2 complicato da arteriopatia periferica il beneficio atteso alla stregua di tutte le altre molecole appartenenti alla classe degli SGLT2 inibitori.


Diabetes Obes Metab 2022;24:1072-83

PubMed


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