Il counseling sull’attività fisica: una priorità nella pratica clinica. Il tempo di agire è ora!
A cura di Sara Colarusso
11 marzo 2015 (Gruppo ComunicAzione) – La ricerca scientifica dimostra con ampio consenso come il praticare regolarmente attività fisica (AF) protegga da malattie croniche quali ipertensione arteriosa, diabete mellito tipo 2, obesità, patologie cardiache, declino cognitivo, neoplasie e depressione. Nessun altro intervento terapeutico si associa a un così largo ventaglio di effetti benefici come l’AF. In una recente “call to action” l’American Heart Association ha nuovamente evidenziato come non praticare AF rappresenti una principale causa di mortalità in tutto il mondo. Poiché svolgere AF rientra nelle modificazioni del lifestyle e dato il ruolo essenziale che gli operatori sanitari rivestono nel motivare il cambiamento comportamentale nei pazienti, il counseling sull’AF rappresenterebbe un’ottima opportunità per migliorare lo stato di benessere e di salute dei pazienti, e pertanto a basso costo.
Con un viewpoint pubblicato di recente sul JAMA, la Dott.ssa Kathy Berra (Stanford, California; USA) e coll. si sono posti l’obiettivo di motivare gli operatori tutti al counseling in tema di AF, a includerlo nella regolare pratica clinica ambulatoriale, consigliando gli strumenti più utili e appropriati per adattarlo al meglio nei quotidiani ritmi lavorativi. Precedenti esperienze cliniche americane già note e pubblicate (Activity Counseling Trial Research Group) hanno dimostrato che svolgere brevi incontri (3-4 min.) durante le abituali visite ambulatoriali di routine comportava un aumento dei livelli di AF da parte dei pazienti nel corso dei due anni successivi e pure un miglioramento del grado di fitness cardiorespiratorio. Investire il team di cura e prevenzione nel processo assistenziale, fornendogli le opportune competenze in tema di counseling, aiuta a promuovere e favorire l’efficacia delle strategie comunicazionali e motivazionali, che costituiscono parte integrante ed essenziale del contratto terapeutico fra medico e paziente particolarmente nelle malattie croniche come il diabete mellito tipo 2.
Gli autori del lavoro di JAMA illustrano quali potrebbero essere gli approcci più efficaci nel corso del colloquio in tema di counseling e AF:
- illustrare come l’AF sia un aspetto vitale;
- chiedere al paziente se pratica regolare AF (se sì, annotare secondo quali caratteristiche e modalità; in caso contrario indagarne lo stato motivazionale);
- incoraggiare i pazienti in relazione agli sforzi fatti per favorire il miglioramento e il mantenimento.
Dunque, il medico può concordare con il paziente una prescrizione condivisa e il programma giornaliero di AF, invitandolo ad annotare le attività svolte compilando un diario reale da condividere nei successivi controlli. Ciò può dimostrare infatti al paziente l’interesse del medico nei suoi confronti e quanto egli si voglia impegnare a essere parte attiva e collaborante nel processo di cura, incentivando e rafforzando l’autoefficacia del paziente. I messaggi sull’AF devono poi essere rafforzati a ogni successivo controllo di follow-up. Infine, gli autori sottolineano come nel caso di pazienti che necessitino di un supporto educazionale aggiuntivo e specialistico sia utile avere nel team di cura consulenti esperti in diabete mellito con competenze appropriate in tema di alimentazione, dieta, attività fisica.
Anche la tecnologia può essere d’aiuto, ad esempio podometri e altri strumenti di monitoraggio indossabili per misurare l’AF svolta, oppure suggerire e indicare app e siti internet per incoraggiare/consigliare l’AF. Gli autori concludono affermando che il counseling svolto dai medici e dagli altri operatori sanitari del team di cura è una valida opportunità per migliorare la qualità di vita e lo stato di salute dei pazienti.
Anche brevi momenti di counseling possono essere efficaci, come dimostrato e supportato da ampio consenso delle società scientifiche. La domanda rimane: “I medici e i pazienti sono pronti per agire?”
AMD segnala articoli della letteratura internazionale la cui rilevanza e significato clinico restano aperti alla discussione scientifica e al giudizio critico individuale. Opinioni, riflessioni e commenti da parte degli autori degli articoli proposti non riflettono quindi posizioni ufficiali dell’Associazione Medici Diabetologi.