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Il paradosso della glicemia: troppo bassa negli anziani e troppo alta nei giovani

A cura di Lucia Briatore

24 febbraio 2020 (Gruppo ComunicAzione) – Da molto tempo le linee-guida diabetologiche indicano che il target glicemico deve essere individualizzato. È inoltre assodato che il beneficio di uno stretto controllo glicemico è tanto maggiore se raggiunto poco dopo la diagnosi e protratto nel tempo, poiché il suo effetto ha bisogno di diversi anni per manifestarsi.

Queste premesse non corrispondono tuttavia alla realtà dei fatti, come dimostra uno studio osservazionale retrospettivo recentemente pubblicato su BMJ Open Diabetes Research and Care da autori statunitensi, che ha valutato i dati di emoglobina glicosilata, l’uso di sulfaniluree e insulina, e le comorbilità di oltre 190.000 soggetti con diabete tipo 2 presenti nel database OptumLabs Data Warehouse dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2016.

Secondo la classificazione di Piette e Kerr, le comorbilità sono state classificate come:

  • diabete-concordanti (CKD [chronic kidney disease, nefropatia cronica] fase 3-4, insufficienza cardiaca, infarto del miocardio, ipertensione, malattia cerebrovascolare, retinopatia proliferativa e neuropatia periferica);
  • discordanti (malattia epatica/cirrosi, depressione, BPCO, incontinenza urinaria, cadute, artrite);
  • avanzate (demenza, ESRD [end-stage renal disease, insufficienza renale termninale], cancro [escluso il cancro della pelle non melanoma]).

Dei soggetti con diabete tipo 2 inclusi nello studio, il 45,2% presentava solo comorbilità concordanti, il 30,6% concordante e discordante, il 2,7% solo discordante e il 13,0% presentava ≥1 comorbilità avanzata. L’HbA1c media era del 7,7% tra i 18-44 anni contro il 6,9% tra i ≥75 anni ed era più elevata tra i pazienti con comorbilità: 7,3% con solo concordante, 7,1% con solo discordante, 7,1% con concordante e discordante, e 7,0% con comorbilità avanzate rispetto al 7,4% tra pazienti senza comorbilità.

La probabilità di uso di insulina diminuiva con l’età (OR 0,51 [IC 95% da 0,48 a 0,54] per età ≥75 vs. 18-44 anni) ma aumentava con l’accumulo di comorbilità concordanti (OR 5,50 [IC al 95% da 5,22 a 5,79] per ≥3 vs. nessuno), discordanti (OR 1,72 [IC al 95% da 1,60 a 1,86] per ≥3 contro nessuno) e avanzate (OR 1,45 [IC al 95% da 1,25 a 1,68] per ≥2 vs. nessuno). Al contrario, l’uso di sulfanilurea aumentava con l’età (OR 1,36 [IC 95% da 1,29 a 1,44] per età ≥75 vs. 18-44 anni) ma diminuiva con l’accumulo di comorbilità concordanti (OR 0,76 [IC al 95% da 0,73 a 0,79] per ≥3 vs. nessuno) e discordanti (OR 0,70 [IC al 95% da 0,64 a 0,76] per ≥3 vs. nessuna), ma non avanzate (OR 0,86 [IC al 95% da 0,74 a 1,01] per ≥2 vs. nessuna).

Lo studio dimostra che la percentuale di pazienti che raggiungono bassi livelli di HbA1c con insulina aumentano con l’età avanzata e con l’accumulo di comorbilità concordanti con il diabete e, in misura minore, di comorbilità discordanti e avanzate. Paradossalmente, i pazienti più giovani e quelli con poche comorbilità hanno minori probabilità di raggiungere livelli glicemici bassi o di essere trattati con insulina a livelli più elevati di HbA1c.

In che modo questi risultati potrebbero cambiare il focus della ricerca o della pratica clinica? Anzitutto, suggerendo ampie opportunità di de-intensificazione dell’insulina tra i pazienti più anziani e pazienti con comorbilità avanzate e/o multiple, riducendo il rischio di ipoglicemia. Poi, al contrario, i pazienti più giovani e più sani potrebbero trarre beneficio dall’intensificazione del trattamento e dall’affrontare gli ostacoli al controllo ottimale del diabete.


BMJ Diabetes Research and Care

PubMed


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