Skip to content

La dieta chetogenica tra evidenze ottimistiche e necessità di ulteriori ricerche di qualità

Punti chiave

Domanda: La dieta chetogenica può rappresentare un approccio terapeutico di prima linea per la terapia del diabete mellito e dell’obesità?

Risultati: La dieta chetogenica ha dimostrato di ridurre la glicemia e migliorare non solo l’insulino-resistenza ma anche altre condizioni croniche associate a disfunzione metabolica come la steatoepatite, le malattie neurodegenerative e le neoplasie.

Significato: La dieta a basso contenuto di carboidrati sembra presentare vantaggi metabolici in soggetti con obesità e/o diabete ma sono necessari ulteriori studi clinici per garantirne efficacia e sicurezza.


A cura di Gemma Frigato

20 luglio 2020 (Gruppo ComunicAzione) – In un articolo pubblicato nelle scorse settimane sul Journal of Nutrition, David S. Ludwig (New Balance Foundation Obesity Prevention Center, Boston Children’s Hospital and Harvard Medical School, Boston, MA, USA) compie un excursus in quella che è la storia della dieta chetogenica come approccio terapeutico nel diabete e nell’obesità, sulle evidenze scientifiche a supporto e sul suo prospetto di utilizzo futuro.

Fino a un secolo fa la dieta chetogenica rappresentava uno standard per la cura del diabete tipo 1 e tipo 2, in quanto la restrizione di carboidrati (in genere <50 g/dì e con >70% grassi) produce spesso un rapido e notevole miglioramento clinico. Poi, la scoperta dell’insulina nel 1920 ha permesso il controllo dell’iperglicemia in persone diabetiche senza rinunciare alla quota di carboidrati nella dieta.

Se prima gli alimenti a elevato contenuto di grassi erano stati considerati la principale causa di sovrappeso, studi recenti hanno dimostrato che sul controllo ponderale influiscono più gli effetti metabolici degli alimenti rispetto alla tipologia di nutrienti che li compongono. E a dimostrazione di ciò, i carboidrati processati (es. maggior parte dei pani, riso, prodotti a base di patate) che hanno sostituito i grassi alimentari nell’era della dieta a basso contenuto di grassi promuovono la deposizione di tessuto adiposo, stimolano la fame e un minor dispendio energetico, favorendo obesità e diabete negli individui predisposti. Una consensus dell’ADA 2019 ha concluso che “le diete a basso contenuto di carboidrati hanno dimostrato un miglioramento della glicata e la minor necessità di ricorso ad antidiabetici orali nei pazienti con diabete tipo 2”.

Pochi studi hanno analizzato l’effetto della dieta chetogenica sul diabete tipo 1, probabilmente per l’elevato rischio di ipoglicemie gravi e chetoacidosi. Uno di questi, condotto su 316 soggetti con diabete tipo 1 trattati con dieta a basso contenuto di carboidrati, ha dato buoni risultati sul controllo glicemico, bassi tassi di ipoglicemia e chetoacidosi e un’elevata soddisfazione nella gestione del diabete. E anche gli effetti sull’assetto lipidico sembrano confortanti: sebbene il colesterolo LDL possa aumentare nelle diete a basso contenuto di carboidrati il rischio cardiovascolare non sembra aumentare significativamente, per la prevalente composizione di apolipoproteine A e fosfolipidi ossidati.

Numerosi studi hanno poi dimostrato nella popolazione generale la relazione tra maggior rischio di morte e dieta ricca di grassi saturi; tale relazione potrebbe tuttavia non applicarsi a coloro che utilizzano una dieta chetogenica per effetto dei tassi eccezionalmente elevati di ossidazione dei grassi saturi e la bassa neolipogenesi.

Il sito web clinictrials.com elenca attualmente 85 studi pianificati per dimostrare i benefici della dieta chetogenica sull’apparato cardiovascolare, neurologico, gastrointestinale e psichiatrico. Complessivamente, non è dimostrato un ruolo diretto benefico della dieta chetogenica sulla prognosi delle malattie tumorali ma, agendo in sinergia con altri trattamenti (es. inibitori della fosfoinositide 3 chinasi), potrebbe favorirne la prevenzione, possibilità che giustifica la necessità di ulteriori studi in merito. Ancora: alla luce dei potenti effetti dei chetoni sul cervello, da studi preliminari emerge inoltre che, in pazienti con Alzheimer caratterizzato da insulino-resistenza centrale, una dieta chetogenica porta a un miglioramento clinico, così come in bambini con epilessia.

Il limite della dieta chetogenica è lo scarso utilizzo di carboidrati ricchi di fibre, come il grano che, in studi osservazionali, trova associazioni protettive verso malattie cardiovascolari, cancro e mortalità totale. Tuttavia, tali studi possono solo affrontare la relativa salubrità di un alimento specifico rispetto ad alimenti che sarebbero stati comunque consumati.

Su questo argomento è stata condotta una recente metanalisi, che evidenzia come le diete ricche di cereali integrali rispetto alle diete di controllo non mostrano differenze sulla composizione del grasso corporeo, mentre diete contenenti cereali raffinati risultano responsabili di un aumento dell’indice di massa corporea in soggetti con diabete/sindrome metabolica/sovrappeso o obesità rispetto a diete che contengono cereali integrali.

L’autore conclude che – in base ai dati da lui raccolti – una dieta chetogenica ben formulata appare sicura e può essere considerata un iniziale approccio per il trattamento dell’obesità e del diabete tipo 2. Necessitano tuttavia studi “ad hoc” per chiarire alcuni dubbi:

  • In che modo l’aumento del colesterolo LDL nelle diete chetogeniche condiziona il rischio cardiovascolare?
  • La riduzione della glicata con una dieta chetogenica si traduce in una riduzione delle malattie cardiovascolari?
  • Esistono popolazioni particolarmente sensibili o condizioni cliniche (malattie epatiche o renali?) Per le quali una dieta chetogenica sarebbe controindicata?
  • Quanto è più efficace la dieta chetogenica a lungo termine rispetto ad approcci che stimolano il cambiamento dello stile di vita (attività fisica)?
  • La chetosi cronica fornisce benefici metabolici migliori rispetto a una dieta a base di carboidrati a basso indice glicemico?

Un ultimo aspetto affrontato dal lavoro di Ludwig è l’evoluzione della dieta chetogenica: se quella “classica” ha ricevuto critiche per le elevate quantità di prodotti di origine animale che prevede, nel tempo essa ha tuttavia subito diverse evoluzioni, e le diete chetogeniche vegetariane (contenenti uova o latticini) o vegane con grassi a base vegetale (es. olio di cocco, lino, oliva) proteine (es. tofu, seitan, tempeh), verdure non amidacee e frutta a basso contenuto di zucchero, hanno sedato le preoccupazioni tra coloro che sostengono stili alimentari vegetali per motivi di salute, etici o ambientali.


J Nutr 2020 Jun 1;150(6):1354-9

PubMed


AMD segnala articoli della letteratura internazionale la cui rilevanza e significato clinico restano aperti alla discussione scientifica e al giudizio critico individuale. Opinioni, riflessioni e commenti da parte degli autori degli articoli proposti non riflettono quindi posizioni ufficiali dell’Associazione Medici Diabetologi.