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La medicina di genere approda in AMD con l’istituzione del Gruppo Donna

Le donne e gli uomini dovrebbero essere uguali anche nel diritto alla salute e all’accesso alle cure. Dovrebbero… Ne parliamo con Valeria Manicardi e Angela Napoli, del nuovo Gruppo Donna di AMD

di Lorenzo De Candia


Le donne e gli uomini dovrebbero essere uguali anche nel diritto alla salute e all’accesso alle cure: dato che spesso si traduce in una focalizzazione (ad esempio la prevenzione) sulle patologie che colpiscono l’uomo e la donna singolarmente. La medicina di genere cerca invece di capire come prevenire, diagnosticare e curare malattie comuni ai due sessi – nello specifico, il diabete e le sue complicanze – che incidono diversamente su uomini e donne proprio per la differenza di genere, e che renderebbero la donna meno immune da alcune classiche patologie “maschili” come quelle cardiovascolari. Anzi, queste inciderebbero sulla mortalità femminile in misura maggiore che su quella maschile.

Occorre ancora constatare la differenza di genere nell’accesso alle ricerche cliniche e allo studio di farmaci, e come gli effetti collaterali ma anche gli effetti terapeutici dei farmaci in commercio – classicamente testati su modelli standard (maschio adulto) e poi traslati sulla popolazione di diversa età e sesso – possano essere diversi quando applicati alle donne.

Tali considerazioni, che diventano sempre più evidenze (ricordiamo che nell’ottobre 2010 si è tenuto a Padova il 2° Congresso nazionale sulla Medicina di Genere), stanno anche lasciando il campo ristretto della rierca e le riviste strettamente scientifiche per approdare ai periodici generalisti, come testimonia l’articolo “Maschi contro femmine: se si tratta di cure, ogni sesso ha la sua” apparso sul Venerdì di Repubblica del 25 febbraio scorso.

AMD ha deciso di dare spazio e voce a questo tema istituendo il Gruppo Donna, che intende approfondire e diffondere le conoscenze sulle eventuali differenze di espressione della malattia nel sesso femminile, ma anche individuare le differenze nell’accesso alle cure, riconoscere i bisogni che nella malattia esprimono le donne e approfondire le implicazioni che la malattia porta con sé nella vita sociale e familiare per dare, se possibile, risposte operative.

Abbiamo incontrato Valeria Manicardi e Angela Napoli, che fanno parte del Gruppo, per parlare con loro di medicina di genere. Valeria dirige l’Unità complessa di Medicina interna dell’ospedale di Montecchio (RE), Angela lavora nel Reparto di Endocrinologiadell’ospedale S. Andrea di Roma, ed è professore aggregato all’Università La Sapienza.

Valeria Manicardi

Angela Napoli

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Cos’è per voi la medicina di genere?

Valeria: Medicina di genere significa occuparsi di eventuali differenze del modo di estrinsecarsi di una malattia nelle donne e negli uomini, ma anche – a mio parere – vuol dire verificare se ci sono differenze di accesso alle cure, di intensità di trattamenti, di raggiungimento dei target fra i due sessi. In realtà c’è un mix confondente fra chi vive questo contesto in senso “femminista” e chi è invece realmente preoccupato delle problematiche che ho citato. Il problema della medicina di genere è sempre più attuale perché si moltiplicano le evidenze sulle differenze biologiche e non solo della manifestazione delle malattie nei due sessi. Diverse società scientifiche stanno dando sempre più attenzione a questo tema e anche l’Oms ha istituito un gruppo dedicato a questo con un titolo accattivante: “The women ar not the small man”.

Angela: E' qualcosa nata per sopperire – in fondo – a tutte le "mancanze" nei confronti delle donne, che nel mondo della ricerca si sono verificate nel corso degli anni.

Nel mondo diabetologico si può parlare di femminismo?

Valeria: on lo so. Alcune di noi sono sensibili a quest’argomento, altre no: in realtà le donne sono ancora in affanno nell’acquisire posizioni di potere ma sicuramente questo cambierà in relazione al numero di donne ormai preponderante nell’ingresso a Medicina. Ciò avviene forse perché il medico oggi non guadagna e non ha il prestigio di un tempo per cui… questa professione viene in qualche modo snobbata e lasciata alle donne.

Angela (scherzando): Si sa che nel mondo le donne devono lavorare per gli uomini… Comunque è ora che le donne siano guardate dal punto di vista femminile, oltre che da quello maschile.

E il Gruppo Donna AMD?

Valeria: E’ un gruppo nuovo, costituito da Mariarosaria Cristofaro, la coordinatrice, esperta appunto in medicina di genere in diabetologia e malattie metaboliche; da Angela Napoli, che si occupa di contraccezione nel diabete; da Maria Franca Mulas, attenta ai risvolti sociali della medicina di genere, di accesso alle cure e di vissuto delle pazienti; da me, che mi occupo di medicina di genere e malattia cardiovascolare. E poi da Titti Suraci e da Cristina Ferrero.

Quali le necessità che hanno spinto a fondarlo?

Valeria: La necessità prima è che – anche in AMD – qualcuno si occupi dei problemi che si manifestano peculiarmente nelle donne. Se pensiamo ai temi cardiovascolari, il diabete è un esempio emblematico di tali differenze: la cardiopatia ischemica, che nella popolazione generale colpisce più il sesso maschile, nella popolazione diabetica colpisce anche la donna precocemente (già in età fertile) e con conseguenze gravi: la donna diabetica colpita da infarto muore di più, e va incontro più frequentemente a complicanze come lo scompenso cardiaco. Problema noto da anni, ma spesso le donne sono state trascurate o escluse dai trial. Le ragioni di queste differenze sono in parte note (malattia del microcircolo nella donna), ma in parte ancora da approfondire. In Italia, Maria Grazia Modena, cattedra di cardiologa all’Università di Modena, si occupa da anni di questo tema e fa parte del Gruppo di studio Oms sulla Medicina di genere.

Diciamo poi che, in particolare, gli studi sulla cardiopatia sono stati condotti per anni solo sugli uomini, e che i risultati ottenuti sono stati trasferiti sulle donne, ma senza evidenze forti che i risultati fossero davvero gli stessi. Dimostrata la validità negli uomini, sono stati "semplicemente" applicati alle donne.

Va ancora detto che il Gruppo Donna si propone di valutare alcune ipotesi: per esempio, che dal Nord al Sud del nostro paese le donne non hanno – per ragioni culturali e sociali – le stesse possibilità di accesso alle cure degli uomini. Che per le donne extracomunitarie, provenienti da etnie con maggiore incidenza di malattia diabetica, le possibilità di accesso e cura sono ridotte: in genere vengono a seguito dei mariti, che conoscono la lingua perché lavorano, mentre loro no perché stanno a casa.

La donna medico si pone in modo differente nel rapporto coi colleghi e coi pazienti?

Valeria: Sono cresciuta in una medicina di uomini. Oggi dirigo un’unità complessa a prevalenza di donne, ma sono in netta minoranza nelle riunioni aziendali rispetto a miei colleghi direttori. Il mio modo di pormi nei confronti dei collaboratori è quello di cercare un lavoro di squadra senza “marcare il territorio”, a differenza dei miei colleghi maschi che cercano sempre di chiarire i loro ambiti. Il mio obbiettivo è una leadership condivisa.

Angela: Difficile per me parlare di differenze. Nell’ambiente universitario sono circondata da uomini che in genere occupano tutte le posizioni di comando.

E coi pazienti?

Angela: Sempre difficile, per me, parlare di differenze. Nel rapporto col paziente lavoro prevalentemente da sola, sia pure con gli specializzandi. Certamente sono decisa nel consigliare qualcosa, ma sono pronta all'ascolto – anche esponendomi col mio vissuto – e a comunicare che capisco le loro difficoltà, aiutandoli a prendere contatto con la realtà delle loro problematiche.

Valeria: Credo che la donna abbia più tendenza a capire il paziente, a costruire un rapporto empatico e a comprendere, più che a sottolineare, la mancata adesione alla terapia o alla dieta. Personalmente credo di saper ascoltare sia uomini che donne, e dare maggior attenzione al vissuto del paziente.

Valeria Manicardi si occupa sopratutto di cardiopatia ischemica…

Vero, e posso affermare che c’è una peculiarità in questa patologia nel sesso femminile: il diabete tipo 2 ha da sempre una caratteristica rovesciata rispetto al normale andamento della patologia nella popolazione, le donne non sono protette dall’ombrello ormonale e hanno raggiunto “la parità” di morbilità fra uomini e donne. Anzi, si ammalano più di scompenso e un infato miocardico acuto tende a provocare maggiore mortalità. Anche l’atteggiamento medico è stato per molto tempo meno aggressivo nei confronti delle donne che venivano sottoposte, sulla base della loro presunta protezione ormonale, a meno a cure intensive ed esami. Per dire: in tutte le sottopopolazioni degli studi recenti la frequenza di cardiopatia ischemica si è andata riducendo negli uomini ed è invece in aumento nelle donne…

Angela Napoli, un problema spinoso è quello della contraccezione…

Verissimo. Non c’è fra diabetologi e metabolisti una conoscenza approfondita della contraccezione. Spesso la donna diabetica ritiene di non poter utilizzare una contraccezione ormonale per le possibili complicanze metaboliche e cardiovascolari. L’OMS ha valutato delle classi di rischio in generale per le donne ed estrapolandole per donne diabetiche. Questa base scientifica, che comprende aree più vaghe di rischio, non consente ancora di prescrivere con sicurezza nelle varie età. Penso peraltro che la pillola si possa certamente prescrivere nelle diabetiche meno compromesse e poi scegliere nelle età e durata di malattia più avanzata cosa fare. Occorre ricordare che l’ultima review della Cochrane al riguardo, del 2009, se non erro, che tra l’altro cita anche un nostro lavoro del 2005 – Contraception in diabetic women: an Italian study –, definisce non chiaro il rischio della contraccezione nel diabete, sopratutto in quello complicato. D’altronde, negli ultimi anni, il cambio della composizione e la generale riduzione del dosaggio degli estro-progestinici, l’offerta più varia insomma, ci consente margini maggiori di intervento.

Ma c’è richiesta di pillola e si può fare una differenza fra tipo 1 e tipo 2?

Certo che c’è richiesta. La società è cambiata e siamo cambiati anche noi: prima le pazienti erano per lo più sposate e pronte ad avere figli. Ora molte non ne vogliono e sono – comunque tutte – più attente ed esigenti circa la loro sessualità. Per quanto riguarda il tipo di diabete, sicuramente la donna tipo 1 ha più timore della contraccezione ormonale, mentre la tipo 2, avendo meno percezione della malattia, se ne preoccupa meno e quindi la richiede di più. Un’alternativa, in entrambi i casi, è lo IUD, la spirale, che dai pochi dati disponibili parrebbe non comportare un aumento di rischio infettivo.

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Qui ha termine l'incontro con Valeria Manicardi e Angela Napoli. Ma col Gruppo Donna vorremmo però approfondire altri aspetti della medicina di genere: in particolare, proprio le differenze "di genere" emerse nel report degli Annali AMD 2010, l’argomento delle migranti e delle fasce di popolazione più disagiata. Arrivederci dunque al prossimo incontro.


  • Mariarosaria Cristofaro – Gruppo Donna AMD: donne diabetologhe per donne con diabete. Guarda il video
     
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