La pandemia post-pandemia: aumentato rischio di sviluppare diabete tipo 2 in soggetti guariti da COVID-19
Punti chiave
Domanda: I soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 hanno un aumentato rischio di sviluppare diabete tipo 2 nei mesi successivi la guarigione?
Risultati: In uno studio osservazionale di coorte un gruppo di soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 confrontati con un gruppo di soggetti affetti da sindrome influenzale, allocati a gruppo di controllo, ha dimostrato un aumento significativo di rischio di sviluppare diabete tipo 2 nei 6 mesi successivi alla guarigione.
Significato: La pandemia da COVID-19 è un evento che non ha eguali nella storia della medicina per i suoi effetti globali in ambito sanitario, economico e sociale. Ad oggi, il rilievo della pressione sui sistemi assistenziali dei pazienti ospedalizzati per polmonite da SARS-CoV-2 è stato centrale. Ma recentemente stanno emergendo evidenze relative alle sequele dell’evento clinico acuto che possono anch’esse impattare in modo considerevole sui sistemi sanitari. La dimostrazione che la diagnosi di diabete tipo 2 possa essere condizionata temporalmente dall’infezione da SARS-CoV-2 ha un enorme rilievo per chi opera in ambito sanitario nei servizi diabetologici.
A cura di Fabrizio Diacono
14 febbraio 2022 (Gruppo ComunicAzione) – Nel contesto della sindrome da insufficienza respiratoria acuta (SARS-CoV-2, severe acute respiratory syndrome coronavirus 2) è nota la possibilità che si sviluppi diabete tipo 2. Il coronavirus, che ancora oggi è causa della pandemia, ha dimostrato di avere un trofismo specifico per le cellule insulari pancreatiche e ciò può spiegare il nesso causale tra l’infezione e l’insorgenza dell’iperglicemia indipendentemente dall’uso di corticosteroidi nel contesto terapeutico. Non è stata peraltro ancora esplorata la possibilità che il COVID-19 possa anche dopo la guarigione indurre la comparsa di diabete.
In uno studio osservazionale retrospettivo di coorte, appena pubblicato, sono stati analizzati i casi di COVID-19 raccolti in un database americano che raccoglie dati di 63 organizzazioni sanitarie a cui è iscritta una popolazione totale di 70 milioni di individui per il 93% dei casi residenti negli Stati Uniti. La popolazione studiata comprendeva tutti i soggetti con diagnosi di COVID-19 dal gennaio 2020 al gennaio 2021. La stessa veniva confrontata con una popolazione di soggetti che avevano ricevuto diagnosi di sindrome influenzale. Sia il gruppo dei casi sia il gruppo di controllo sono stati suddivisi in due sottogruppi a seconda dell’entità clinica dell’infezione in lieve (non richiedente ospedalizzazione) e moderato-severa (richiedente ospedalizzazione). L’outcome dello studio era la diagnosi di diabete tipo 2 nei 180 giorni successivi alla guarigione.
Sono state individuate 600.055 persone con pregresso COVID-19 (546.819 con forma lieve e 53.236 con forma moderato-severa) e 394.667 persone con diagnosi di influenza (377.903 lieve e 16.764 moderato severa). Nell’1,1% dei casi con pregresso COVID-19 per le forme lievi e nel 21% dei casi nelle forme moderato-severe veniva registrata la diagnosi di diabete tipo 2 entro i 180 giorni successivi alla guarigione. Dopo aver appaiato i casi e i controlli con il propensity score matching lo studio ha rilevato che le persone con pregresso COVID-19 in forma lieve avevano un significativo aumento di rischio relativo (RR) di 1,54 (IC 95% 1,46-1,62) di sviluppare diabete se confrontati a quelli con le forme lievi influenzali. Un simile aumento di rischio relativo è stato rilevato nel confronto di chi ha avuto le forme moderato severe [RR 1,46 (IC 95% 1,26-1,69)]. Dopo aver escluso i pazienti trattati con corticosteroidi, il rischio relativo si attenuava, pur rimando statisticamente significativo, nelle forme lievi [RR 1,22 (IC 95% 1,14-1,29)], ma rimaneva sostanzialmente della stessa entità nelle forme moderato-severe [RR 1,42 (IC 95% 1,13-1,8)].
Lo studio, estremamente semplice nella sua articolazione, suggerisce con chiarezza un’associazione tra COVID-19 e diagnosi di diabete tipo 2 nei mesi successivi alla guarigione. La comparsa dell’iperglicemia durante le fasi acute della malattia virale, e nel post-guarigione, è stata da subito in parte attribuita all’uso di corticosteroidi che, specie nei protocolli terapeutici allestiti nel primo anno di pandemia, venivano utilizzati in maniera estesa. Gli autori sottolineano che l’analisi dei dati dopo esclusione del sottogruppo di soggetti cortico-trattati non ha alterato il dato nella sua significatività, specie nelle forme richiedenti ospedalizzazione, e affermano che il nesso è da ricercare con l’infezione in sé, con supponibile correlazione con la carica virale.
Spunto di interesse è la scelta dei soggetti con pregressa sindrome influenzale come gruppo di controllo. Il fine della scelta è chiaramente quella di pulire il campo dall’ipotesi che il solo stato infiammatorio di per sé, specie dell’entità riconosciuta nel COVID-19, possa aver indotto l’iperglicemia anche post-guarigione. È altresì vero che gli autori sottolineano il potenziale bias relativo al fatto che lo stato flogistico scaturito da sindrome influenzale è di entità meno dirompente rispetto a quelle note nella SARS-CoV-2. Ma, d’altra parte, c’è l’evidenza che le cellule insulari pancreatiche esprimano il recettore d’accesso ACE2 in maniera molto più significativa delle cellule polmonari e che altri coronavirus differenti dal SARS-CoV-2, che usano il recettore ACE2 per l’ingresso cellulare, sono stati in passato associati a neodiagnosi di diabete tipo 2.
Lo spunto conclusivo dello studio è che se si fa un confronto indiretto con i dati già noti di incidenza del diabete tipo 2 nella popolazione americana, il rischio di neodiagnosi nei pazienti guariti da COVID-19 è da 3 a 12 volte maggiore nei 6 mesi successivi la guarigione. A conferma di tutto ciò sono certamente necessari studi prospettici di maggiore peso e solidità in termini di evidenza scientifica, ma, se confermate tali prime indicazioni, risulta palese che nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 andrebbe sistematicamente considerata la possibile persistenza di iperglicemia diagnostica di diabete tipo 2, specie in soggetti con sintomatologia suggestiva di scompenso glicemico.
Diabetes Obes Metab. 2022 Feb 3. Online ahead of print
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