La terapia basata sulle incretine, in aggiunta alla metformina, non incrementa il rischio di patologia pancreatica: studio di real world nel diabete tipo 2
A cura di Eugenio Alessi
29 ottobre 2018 (Gruppo ComunicAzione) – Gli agonisti recettoriali del GLP-1 (GLP-1RA) e gli inibitori della DPP-4 (DPP-4i) sono farmaci ipoglicemizzanti che basano la propria efficacia sull’effetto incretinico. Alcuni studi clinici e preclinici hanno riportato un’associazione fra l’utilizzo di tali farmaci ed effetti avversi pancreatici (pancreatite acuta, carcinoma del pancreas). In particolare, una metanalisi di dati ottenuti dagli studi di safety cardiovascolare con i DPP-4i ha mostrato un aumento del rischio di pancreatite acuta rispetto al placebo, sebbene il rischio assoluto fosse molto basso. Gli studi osservazionali sull’argomento non hanno dato risultati univoci e, in genere, hanno esclusivamente confrontato gli utilizzatori di terapie incretiniche con i non utilizzatori.
Obiettivo di questo studio di real world, condotto da O. Montvida (School of Biomedical Sciences, Queensland University of Technology, Brisbane, Australia) e colleghi, è stato quello di valutare il rischio e il tasso di pancreatite acuta, carcinoma del pancreas e altra patologia pancreatica in pazienti con diabete tipo 2 (DT2), in trattamento con metformina, che hanno iniziato una terapia di seconda linea con DPP4-i, GLP1-RA, sulfoniluree, tiazolidinedioni o insulina.
I dati sono stati ottenuti da un database statunitense (Centricity Electronic Medical Records) contenente informazioni cliniche e sociodemografiche longitudinali di oltre 34 milioni di individui seguiti da medici di medicina generale, specialisti, cliniche di comunità e strutture universitarie. Sono stati inseriti nello studio tutti i soggetti con DT2, di età fra i 18 e gli 80 anni, ai quali è stato prescritto un ipoglicemizzante di seconda linea in aggiunta alla metformina, che non avessero mai assunto in precedenza una terapia incretinica e non avessero mai avuto una patologia pancreatica. Fra i metodi statistici spicca l’utilizzo di un modello parametrico “time to event”, particolarmente indicato quando si tratta di esaminare decisioni e rischi non necessariamente lineari. I dati sono stati corretti per le caratteristiche al basale (es. BMI, età, durata di malattia, fumo, ecc.), con approccio mediante propensity-score.
Sono stati identificati 225.898 soggetti, con età media 59 anni, il 49% maschi e il 69% bianchi di discendenza europea. Il gruppo DPP4-i era rappresentato da 50.095 soggetti (22%), il gruppo GLP1-RA da 12.654 (6%), il gruppo insulina da 34.805 (il 15%), il gruppo sulfoniluree da 110.747 (49%) e il gruppo tiazolidinedioni da 17.597 (8%). Il follow-up medio è stato di 3,2 anni.
Solo 1049 pazienti (0,46%) hanno sviluppato una pancreatite acuta durante l’osservazione. Il tasso per 1000 persone era simile per i DPP4-i (1,31; IC 95% 1,21-1,59), per i GLP1-RA (1,49; IC 95% 1,16-1,92) e per le sulfoniluree (1,45; IC 95% 1,33-1,58), mentre coloro che erano trattati con insulina avevano un tasso significativamente più alto (2,01; IC 95% 1,75-2.31) e coloro che erano trattati con tiazolidinedioni significativamente più basso (0,89; IC 95% 0,70-1,12) rispetto a coloro che erano trattati con DPP4-i. Il tempo medio all’evento pancreatite acuta era di 2,63 anni per i pazienti trattati con DPP4-i, mentre chi era trattato con insulina la sviluppava 0,48 anni prima (p ≤0,01); non vi era differenza significativa fra il gruppo DPP4-i e gli altri gruppi.
Nella coorte, 357 pazienti (0,16%) hanno ricevuto diagnosi di carcinoma del pancreas, senza differenze significative fra i differenti gruppi, se si esclude il riscontro di un tempo medio all’evento più lungo per gli utilizzatori di GLP1-RA. Settecentocinquantadue pazienti (0,33%) hanno sviluppato altra patologia pancreatica (essenzialmente cisti del pancreas), con il gruppo in trattamento insulinico che presentava un tasso più alto rispetto agli altri gruppi.
Quando dall’analisi è stata esclusa la sottocoorte di pazienti che avevano sviluppato la pancreatite acuta, il carcinoma del pancreas o altra patologia pancreatica nei primi 6 mesi di osservazione, il tasso di eventi e il tempo all’evento nei soggetti trattati con insulina non differiva più dagli altri gruppi.
Sulla base di tali risultati, gli autori concludono che il rischio di pancreatite acuta e carcinoma del pancreas non è maggiore negli utilizzatori di terapie basate sulle incretine, in associazione a metformina, rispetto agli altri farmaci di seconda linea, con l’esclusione degli utilizzatori di tiazolidinedioni, che presentano un tasso ridotto di casi di pancreatite acuta, dato inatteso, ma in linea con alcune evidenze sperimentali in modelli animali. L’incremento del rischio di pancreatite acuta associato alla terapia insulinica non è sorprendente, poiché la terapia insulinica viene spesso utilizzata in pazienti con maggiori comorbilità e fattori di rischio per cui non si può perfettamente correggere in un’analisi retrospettiva; dopo aver escluso i pazienti con evento nei primi 6 mesi il dato perdeva significatività statistica.
Indubbio punto di forza dello studio è l’ampio numero di pazienti inclusi, la quantità di dati inseriti nell’analisi e il numero di eventi aggiudicati, seppur con i bassi tassi con cui si sono verificati, nonché il fatto di aver confrontato diverse classi di ipoglicemizzanti; rimangono i limiti legati alle sfide che gli studi retrospettivi su database elettronici pongono in termini di accuratezza e completezza dei dati, ad esempio in questo caso quelli riguardanti il consumo di tabacco e, soprattutto, alcol o l’aderenza alle terapie prescritte.
Diabet Med. Pub. online 10 October 2018
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