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La variabilità glicemica è un potente fattore predittivo indipendente di eventi cardiovascolari maggiori a medio termine in pazienti con diabete e sindrome coronarica acuta

A cura di Eugenio Alessi

18 marzo 2019 (Gruppo ComunicAzione) – Il diabete mellito (DM) è uno dei più potenti fattori di rischio cardiovascolare (CV) e in caso di infarto miocardico acuto (IMA) molteplici parametri legati al DM, come la glicemia al momento del ricovero, la glicemia a digiuno e l’HbA1c, sono correlati a eventi CV avversi e alla mortalità CV, mentre meno chiaro è il valore prognostico degli episodi di ipoglicemia.

Con l’espressione variabilità glicemica si intende una misura delle oscillazioni della glicemia di un individuo nell’arco della stessa giornata, di giorni differenti e anche di periodi più lunghi. Alcune evidenze sembrano correlare l’elevata variabilità glicemica allo sviluppo ed evoluzione delle complicanze microangiopatiche (retinopatia e nefropatia) e anche alle complicanze CV.

Obiettivo dello studio condotto da E. Gerbaud (Cardiology Intensive Care Unit and Interventional Cardiology, Hôpital Cardiologique du Haut Levêque, Pessac; Cardio-Thoracic Research Centre Bordeaux University, France) e colleghi è stato di valutare l’associazione fra la variabilità glicemia e l’incidenza di eventi CV maggiori (MACE, major adverse cardiac event) a medio termine in pazienti con DM e sindrome coronarica acuta (SCA).

Sono stati arruolati 327 soggetti con DM (diagnosi già nota o confermata da valori di HbA1c >6,5%, 18 di essi con DM tipo 1) e IMA sia con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI, ST elevation myocardial infarction) sia con sottoslivellamento del tratto ST (NSTEMI, non-ST elevation myocardial infarction), con un follow-up medio di 16,9 mesi. Durante il ricovero sono stati valutati, fra l’altro, il SINTAX score, indice della complessità della malattia coronarica, e la frazione d’eiezione (FE) del ventricolo sinistro. La variabilità glicemica è stata misurata come deviazione standard (DS) della glicemia sulla base dei valori ottenuti con monitoraggio capillare discontinuo (in media 5 determinazioni/die a paziente) durante l’intera durata del ricovero; sulla base di curve ROC (receiver operating characteristic) sono stati individuati due gruppi di pazienti, uno con variabilità glicemica ≤2,7 mmol/l (48,6 mg/dl) e uno con variabilità glicemica >2,7 mmol/l. Durante il ricovero è stata praticata esclusivamente terapia insulinica, anche endovenosa se necessario, perseguendo un target di glicemia fra 140 e 180 mg/dl. Outcome primario era l’incidenza di MACE, costituiti da nuovo IMA, ospedalizzazione per scompenso cardiaco e morte CV.

Durante il ricovero 45 (13,8%) pazienti hanno sperimentato una ipoglicemia (in media 2 episodi a paziente), all’82,3% di essi è stata praticata terapia insulinica endovenosa, l’HbA1cmedia era 7,55%. La variabilità glicemica media era 2,55 mmol/l (45,9 mg/dl) e correlava all’analisi univariata con la glicemia e l’HbA1call’ingresso (coefficiente di correlazione di Pearson r = 0,505 e r = 0,427 rispettivamente, p <0,001) e con l’ipoglicemia durante il ricovero (r = 0,366, p <0,001). Durante il follow-up, un MACE si è verificato in 89 (27,2%) pazienti: 35 (10,7%) pazienti hanno avuto un nuovo IMA, 30 (9,2%) pazienti una ospedalizzazione per scompenso cardiaco e 24 (7,3%) pazienti sono morti per cause cardiache.

All’analisi di regressione multivariata di Cox le variabili che incrementavano in maniera significativa il rischio di MACE erano la variabilità glicemica >2,7 mmol/l (OR 2,21; p <0,001), il SINTAX score >34 (OR 1,88; p = 0,002) e la FE <40% (OR 1,71; p = 0,009). I pazienti nel gruppo a variabilità glicemica >2,7 mmol/l, rispetto ai pazienti a variabilità glicemica più bassa, avevano un’incidenza significativamente maggiore di nuovo IMA (p <0,001), di ospedalizzazione per scompenso cardiaco (p <0,001), di morte CV (p = 0,003) e dell’outcome composito (p = 0,003).

Gli autori concludono che, nella popolazione in esame, l’elevata variabilità glicemica è stato il più potente predittore indipendente di incrementato rischio di MACE a medio termine, anche in misura maggiore rispetto al SINTAX score e alla ridotta FE, due parametri CV ben noti come fattore di rischio.

Potenziale limite dello studio, come riconosciuto dagli autori, potrebbe essere l’aver utilizzato ai fini della valutazione della variabilità glicemica la DS della glicemia capillare, anziché l’ampiezza media delle escursioni glicemiche (MAGE, mean amplitude of glycemic excursions) rilevate con monitoraggio continuo del glucosio interstiziale (CGM, continuous glucose monitoring). D’altro canto, la forza dell’associazione dell’elevata variabilità glicemica nel breve termine con il rischio di MACE a medio termine nella popolazione in studio può avere implicazioni cliniche, consentendo di individuare i pazienti a rischio molto elevato cui destinare un trattamento e un monitoraggio ancora più intensivi (sfruttando anche gli ipoglicemizzanti con provati benefici CV). Potrebbe essere opportuno, anche se obiettivamente difficoltoso, utilizzare estesamente il CGM real-time, in associazione alle glicemie capillari, nelle terapie intensive coronariche. Ulteriori studi sono però necessari sia per dimostrare che la variabilità glicemica nel breve termine rappresenti un fattore di rischio indipendente per le complicanze del diabete, sia per dimostrare che la correzione della variabilità glicemica possa effettivamente ridurre l’incidenza di MACE.


Diabetes Care. 2019 Feb 6. pii: dc182047. doi: 10.2337/dc18-2047. [Epub ahead of print]

PubMed


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