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L’aderenza alla terapia con statine è fondamentale anche nei pazienti con diabete tipo 1

A cura di Lucia Briatore

23 marzo2020 (Gruppo ComunicAzione) – Le malattie cardiovascolari (MCV) sono la principale causa di riduzione della aspettativa di vita nel diabete tipo 1 (DT1). La dislipidemia è un importante fattore di rischio modificabile e il trattamento ipolipemizzante è essenziale per ridurre il rischio di MCV.

Gli studi condotti sulla popolazione generale e sul diabete tipo 2 indicano che una bassa aderenza alla terapia ipolipemizzante costituisce una barriera per raggiungere il pieno potenziale protettivo. Meno noti sono i dati di aderenza alla terapia con statine nel DT1 e l’effetto di questa sul rischio di MCV.

Un gruppo di ricercatori svedesi ha cercato di indagare l’argomento in uno studio di popolazione con disegno longitudinale retrospettivo condotto tra il 2006 e il 2010, con follow-up fino a dicembre 2013 e recentemente pubblicato su BMJ Open Diabetes Research & Care. In totale, sono stati inclusi 6192 individui adulti con DT1, che hanno iniziato un trattamento ipolipemizzante tra il 2006 e il 2010. Sono state raccolte informazioni su trattamento ipolipemizzante, caratteristiche socioeconomiche, comorbilità ed eventi cardiovascolari. Dopo 18 mesi, è stata stimata l’aderenza alla terapia calcolando il rapporto di possesso del farmaco (MPR, medication possession ratio). La mancata persistenza è stata definita come mancanza di medicinali per almeno 180 giorni. I soggetti sono stati successivamente seguiti fino alla comparsa di un evento MCV, alla morte o al termine del follow-up nel dicembre 2013. Sono state eseguite analisi di regressione di Cox per valutare il livello di aderenza e la non persistenza di trattamento ipolipemizzante come predittore di MCV. Le analisi sono state adeguate ai fattori di rischio cardiovascolare e allo stato socioeconomico. L’età media era di 45 anni, la durata del diabete era 29 anni e il 58% era di sesso maschile. Il 43% ha ricevuto farmaci antipertensivi. La MCV precedente era presente solo nel 9% dei partecipanti.

Il MPR medio era del 72%, il 52% dei partecipanti aveva un MPR superiore all’80% e il 27% ha interrotto il trattamento ipolipemizzante. Ci sono stati 637 eventi cardiovascolari non fatali e 58 fatali e follow-up medio rispettivamente di 3,6 e 3,9 anni. Un MPR superiore all’80% era associato a un rischio ridotto di MCV non fatale rispetto a un MPR inferiore, HR 0,78 (IC 95% da 0,65 a 0,93). Per la MCV fatale, i risultati hanno indicato un effetto negativo di elevata aderenza, ma l’associazione non ha raggiunto una significatività statistica, HR 1,96 (da 0,96 a 4,01). Gli individui che hanno interrotto il trattamento ipolipemizzante avevano un rischio maggiore di MCV non fatale, HR 1,43 (IC 95% da 1,18 a 1,73).

I punti di forza dello studio sono la numerosità del campione e la precisa modalità di raccolta dei dati di outcome da ampi registri. I limiti sono il disegno osservazionale e i bias derivanti dal calcolo del MPR, poiché il possesso non assicura la corretta assunzione.

In conclusione, in soggetti con DT1 che iniziano una terapia ipolipemizzante un’elevata aderenza al trattamento è associata a un rischio inferiore del 22% di MCV non fatale. L’interruzione della terapia ipolipemizzante comporta un rischio maggiore del 43% di MCV non fatale. È importante notare come la popolazione dello studio fosse costituita da adulti con una lunga durata di malattia ma un’età media di soli 45 anni, e meno di un paziente su 10 aveva precedenti cardiovascolari.

Questo studio ci indica come sia importante valutare e enfatizzare l’aderenza alla terapia ipolipemizzante prescritta nella pratica clinica per raggiungere gli obiettivi del trattamento e ridurre il rischio di MCV nei soggetti con DT1.


BMJ Open Diabetes Research and Care 2020;8(1):e000719

PubMed


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