L’utilità dell’intervento (e della diagnosi) precoce nel diabete gestazionale: un altro pezzo di un puzzle ancora da comporre
Punti chiave
Domanda: In donne con almeno un fattore di rischio per diabete gestazionale sottoposte a screening prima della 20a settimana di gestazione con esito positivo, un approccio che prevede l’intervento terapeutico immediato è superiore in termini di outcome materno-fetali all’intervento terapeutico posticipato al terzo trimestre?
Risultati: Un trial clinico randomizzato multicentrico ha dimostrato che l’approccio precoce ha significativamente ridotto l’incidenza di un outcome composito di nascita prima della 37a settimana, macrosomia fetale, trauma alla nascita, distress respiratorio neonatale, fototerapia, morte pre- o perinatale, distocia della spalla.
Significato: L’evidenza che lo screening, diagnosi e trattamento precoci nelle prime fasi della gravidanza, anche in donne con un solo fattore di rischio, riducono l’incidenza degli eventi avversi materno fetali riconducibili al diabete gestazionale può, in futuro, aprire una discussione sulla solidità delle attuali indicazioni sulle tempistiche di esecuzione dei test di screening.
A cura di Fabrizio Diacono
15 maggio 2023 (Gruppo ComunicAzione) – Tutte le donne in gravidanza con almeno un fattore di rischio tra presenza di diabete in familiari di primo grado, macrosomia fetale in gravidanze precedenti, sovrappeso, età >35 anni, etnie a elevato rischio devono essere sottoposte a screening per escludere il diabete mellito gestazionale (DMG) fra la 24a e la 28a settimana di gestazione; nelle donne con obesità, pregresso DMG, glicemia a digiuno 100-125 mg/dl all’inizio della gravidanza o in passato, lo screening va anticipato fra la 16a e la 18a settimana.
Queste chiare indicazioni dettate dalle linee-guida AMD-SID, e la concomitante aumentata prevalenza dell’eccesso ponderale in donne che tendono ad affrontare gravidanze in età sempre più avanzata, ha nettamente aumentato la platea delle gestanti che vengono seguite dai diabetologi perché affette da DMG. E nella stragrande maggioranza dei casi, sia per i criteri sopra riportati che, spesso, per il mancato screening precoce in soggetti in cui indicato, l’intervento terapeutico conseguente alla diagnosi viene iniziato nel terzo trimestre. Gli stessi dati di letteratura disponibili che hanno chiaramente dimostrato l’efficacia delle terapie nutrizionale e farmacologica sul ridurre l’incidenza dei caratteristici eventi avversi materno-fetali correlati alla presenza del DMG (preeclampsia, feti grandi per età gestazionale, distocia della spalla, traumi peri natali e ipoglicemia neonatale) sono basati su popolazioni in cui la diagnosi veniva posta appunto principalmente tra la 24a e la 28a settimana.
Pochissimi studi, di carattere perlopiù osservazionale, si sono concentrati sul valore di un intervento diagnostico e terapeutico precoce (prima della 20a settimana), con risultati che potevano solo suggerire un reale beneficio.
Sul New England Journal of Medicine è stato recentemente pubblicato un trial clinico randomizzato multicentrico volto a esplorare l’utilità dell’intervento terapeutico precoce in donne con diagnosi di DMG eseguita prima della ventesima settimana di gestazione.
Un gruppo di 3681 donne senza pregressa diagnosi di diabete, in gravidanza e con almeno un fattore di rischio per diabete gestazionale (pregresso DMG, obesità, età >39 anni, familiarità di primo grado per diabete tipo 2, pregressa macrosomia fetale, sindrome dell’ovaio policistico, etnia non caucasica) venivano sottoposte a carico orale di glucosio (OGTT) prima della 20a settimana (in media alla 15a settimana) di gestazione. Fra esse, venivano individuate 793 donne con DMG inserite nello studio e randomizzate in due bracci: in un gruppo di 400 donne si procedeva ad intervento “precoce”, 396 donne venivano inserite nel gruppo di controllo e ritestate con OGTT alla 24a settimane e solo in quelle in cui veniva confermato il DMG si procedeva ad intervento “tardivo”.
Gli outcome dello studio erano tre: il primo rappresentato da un composito di nascita prima della 37asettimana, macrosomia fetale, trauma alla nascita, distress respiratorio neonatale, fototerapia, morte pre- o perinatale, distocia della spalla; un secondo rappresentato da ipertensione in gravidanza (preeclampsia, eclampsia o ipertensione gestazionale); un terzo outcome rappresentato dalla massa corporea magra del neonato. Venivano inoltre analizzati una serie di outcome secondari materno-fetali.
I dati di outcome erano disponibili a fine studio per 378 donne nel braccio di intervento e per 370 in quello di controllo nel braccio di controllo fra le donne ritestate per OGTT al terzo trimestre solo nel 67% veniva confermata la diagnosi di DGM e dunque trattate.
I risultati dello studio hanno mostrato che, in merito all’outcome primario, nel braccio di intervento “precoce” è stata osservata una modesta ma significativa riduzione degli eventi avversi (94 su 378, 24,9% dei casi) in confronto al gruppo di controllo (113 su 370, 30,5% dei casi) – (IC 95%, da -10,1 a -1,2; p = 0,02) con un rischio relativo di 0,82 (IC 95%, 0,68-0,98) e un number needed to treat (NNT) di 18. Non venivano registrate differenze significative degli altri due outcome primari. Fra gli outcome materni secondari veniva registrata una differenza significativa a favore del braccio di intervento precoce solo per il danno perineale (0,8% dei casi trattati precocemente vs 3,6% nei controlli (IC 95%, da -4,1 a -1,5) e per la qualità della vita testata con l’EQ-5D; fra gli outcome secondari fetali risultavano statisticamente significativi il peso alla nascita (3258 g nel braccio di intervento vs 2248 g nel braccio controllo) e per i giorni di degenza in terapia intensiva neonatale, favorevoli al braccio di intervento.
L’analisi per sottogruppi ha dimostrato che l’evento trainante la significatività dell’outcome primario è stato sostanzialmente la riduzione dei casi di distress respiratorio postnatale e la popolazione che ha più beneficiato dell’intervento precoce era rappresentata dal sottogruppo di donne con valori più elevati all’OGTT.
Nel panorama delle evidenze questo studio rappresenta il primo trial clinico randomizzato che si concentra sul valore dell’efficacia del trattamento precoce in donne con DMG diagnosticato prima della 20a settimana confrontato con il medesimo approccio terapeutico procrastinato nel terzo trimestre di gestazione. Il disegno dello studio impone di concludere che il beneficio osservato nel braccio di intervento prima della 20a è da attribuirsi proprio alla precocità dell’azione terapeutica. Il fatto che il distress respiratorio neonatale sia l’evento trainante la significatività fa congetturare che lo stesso è particolarmente frequente nelle donne in cui non viene individuato e trattato il DMG precocemente.
Va infine evidenziato un punto di estremo interesse: per protocollo veniva sottoposta a screening una popolazione di donne con almeno un fattore di rischio per DMG; si può congetturare che buona parte dei soggetti coinvolti nello studio, nella pratica clinica quotidiana e secondo linee-guida, sarebbero state sottoposte a OGTT tra la 24a e la 28a settimana di gestazione. Nel braccio di controllo nel 33% di donne con OGTT positivo prima della 20a settimana si osservava la normalizzazione dell’OGTT al terzo trimestre. Da tale dato, intuitivamente, è possibile che un numero rilevante di soggetti in cui è indicata esecuzione del carico orale al terzo trimestre e in cui lo stesso risulta normale possa aver avuto nella prima fase della gravidanza valori glicemici compatibili con DMG.
Tali spunti, se confermati in studi più ampi, possono certamente aprire una discussione sia sui criteri di individuazione delle donne da sottoporre a screening per DMG sia sulla tempistica dello screening stesso e del conseguente intervento terapeutico.
N Engl J Med. 2023 May 5. Online ahead of print
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