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Metformina nei prediabetici: quali ricadute sul rischio cardiovascolare?

Punti chiave

Domanda: La somministrazione di metformina nei soggetti con prediabete svolge un ruolo di prevenzione nei confronti del rischio cardiovascolare?

Risultati: Nonostante una significativa riduzione a lungo termine del rischio di sviluppare diabete, la terapia con metformina non si è dimostrata efficace nel ridurre il rischio cardiovascolare nei soggetti con prediabete.

Significato: L’impiego di metformina nelle condizioni di alterata glicemia a digiuno e ridotta tolleranza glucidica riduce il rischio di progressione verso il diabete tipo 2, ma non conferisce in questa categoria di soggetti una protezione aggiuntiva nei confronti delle patologie cardiovascolari.


A cura di Marcello Monesi

6 giugno 2022 (Gruppo ComunicAzione) – Il rapporto continuo tra iperglicemia e rischio vascolare si estende anche al di sotto della soglia della diagnosi di diabete: numerose evidenze hanno messo in relazione l’alterata glicemia a digiuno (IFG), la ridotta tolleranza glucidica (IGT) e la presenza di valori di emoglobina glicata alterati ma inferiori a 6,5% con l’aumentato rischio cardiovascolare.

Lo studio Diabetes Prevention Program (DPP), risalente al 2002, dimostrò che nei pazienti con prediabete la somministrazione di metformina o l’approccio intensivo e strutturato sullo stile di vita erano in grado di ritardare la diagnosi di diabete rispettivamente del 31 e del 58%. I soggetti dello studio DPP sono stati mantenuti in follow-up, e rispettando la suddivisione originale dei bracci dello studio un gruppo ha proseguito regolarmente l’attività fisica (anche se meno intensiva rispetto al protocollo iniziale) e un altro ha continuato l’assunzione di metformina per un periodo non inferiore a 18 anni.

Ora i risultati di questo follow-up a lungo termine (DPPOS, Diabetes Prevention Program Outcomes Study) sono stati pubblicati in un articolo apparso su Circulation. Gli autori hanno analizzato i dati provenienti dai 3234 soggetti con IGT, suddivisi all’epica del DPP in tre gruppi: metformina 850 mg bid, attività fisica intensiva e placebo. Nel follow-up del DPPOS, per i successivi 18 anni a tutti i partecipanti è stata offerto un intervento sullo stile di vita ed è stato proseguito il trattamento con metformina nei soggetti inizialmente randomizzati all’assunzione del farmaco. L’outcome primario del follow-up a lungo termine è stata la prima insorgenza di MACE, ovvero infarto miocardico o ictus non fatali e morte cardiovascolare; tra gli outcome secondari, il ricovero per scompenso cardiaco o angina instabile, la rivascolarizzazione coronarica o agli arti inferiori, segni ecografici di infarto silente; su base annua i ricercatori hanno raccolto gli ECG e i dati sui fattori di rischio CV.

Durante il periodo di follow-up 310 soggetti sono andati incontro a un primo evento CV, ma l’incidenza non è stata diversa nei due gruppi: né la metformina né l’intervento sullo stile di vita sono stati in grado di ridurre l’outcome primario (metformina: HR 1,03, IC 95% 0,78-1,37 vs placebo; esercizio fisico: HR1,14, IC 95% 0,87-1,5 vs placebo). Analoghi risultati sono stati ottenuti anche sugli outcome secondari.

In fase di commento gli autori della ricerca sottolineano che, sebbene sia rassicurante constatare che la metformina non abbia effetti negativi a livello cardiovascolare, è piuttosto sorprendente riscontrare che né l’intervento fisico né la terapia con metformina riescano a conferire protezione a lungo termine nei confronti del rischio CV nei soggetti che presentano adeguato controllo dei fattori di rischio (glicemia, lipidi, pressione arteriosa).


Circulation 2022;146(22);1632-41

PubMed


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