Occorre implementare le linee-guida per lo screening del diabete gestazionale? Risultati di un’indagine italiana
A cura di Francesco Romeo
17 giugno 2016 (Gruppo ComunicAzione) – Negli ultimi anni il dibattito sullo screening e la diagnosi di diabete gestazionale (GDM) è stato molto animato.Da quando O’Sullivan, cinquant’anni fa, iniziò a studiare un gruppo di donne con l’obiettivo di valutare il loro grado di tolleranza glucidica in gravidanza, sono stati proposti numerosi metodi per la diagnosi di diabete gestazionale. Ancora oggi non vi è una unica posizione condivisa dalle società medico-scientifiche internazionali. L’uso di una procedura che preveda un solo step (test tolleranza al glucosio) o due step (screening più test tolleranza al glucosio) rimane tuttora discussa; nei casi di procedura a due step, può essere inoltre adottato uno screening selettivo o universale, in base a specifiche raccomandazioni e individuazione di specifici fattori di rischio.
Uno studio italiano condotto dal Dott. B. Pintaudi e coll., recentemente pubblicato sulla rivista Diabetes Research and Clinical Practice, si è posto l’obiettivo di valutare il grado di diffusione e di gradimento delle linee-guida nazionali di screening e diagnosi di diabete gestazionale attraverso la somministrazione di uno specifico questionario redatto dal Gruppo Italiano Diabete in Gravidanza. Hanno partecipato 122 diabetologici appartenenti a 122 diversi Centri di diabetologia (21,7% territoriali e 78,3% ospedalieri/universitari). Tutti hanno dichiarato di eseguire ai fini diagnostici l’OGTT con 75 g di glucosio. Quasi un quinto dei partecipanti ha riferito di preferire uno screening universale, mentre la rimanenza esegue lo screening basandosi sui fattori di rischio. Nelle pazienti a rischio elevato la curva da carico viene eseguita a 16-18 settimane nell’84% dei casi. Il 6,5% dei partecipanti preferisce eseguirla appena possibile e il 9,5% preferisce aspettare comunque la 24-28ma settimana di gestazione. Nel caso di glicemia a digiuno ≥92 mg/dl, i due terzi dei partecipanti dichiara di procedere comunque con l’esecuzione completa della curva; i rimanenti si “accontentano” della glicemia a digiuno per porre diagnosi di diabete gestazionale.
I risultati di questo studio evidenziano che il livello di recepimento delle linee-guida può ritenersi buono. La procedura diagnostica è universalmente accettata e praticata. Maggiore eterogeneità è stata invece documentata sullo “screenare” tutte le donne o solo quelle a rischio e sulla tempistica per l’esecuzione dell’OGTT nelle donne a rischio elevato.
Il dato sullo screening deriva probabilmente dalla poca “fiducia”, per tale aspetto, nelle linee-guida da parte dei clinici. Il sospetto è che il set dei fattori di rischio considerati non sia esattamente performante in ottica di identificazione delle categorie maggiormente a rischio e che sia necessaria una ridefinizione dei criteri di screening. L’atteggiamento dei clinici nel gestire situazioni in cui i livelli di glicemia delle prime settimane di gravidanza sarebbero già indicativi di GDM nel caso di screening universale (ma che invece richiederebbero di attendere fino alla 16-18ma settimana di gravidanza) è risultato molto eterogeneo: se da una parte, infatti, poter stabilire il più precocemente possibile se si tratti di una gravidanza effettivamente complicata da GDM consente di avviare le procedure di cura in maniera più efficace e tempestiva (e protegge da eventuali implicazioni medico-legali), dall’altra si rischia in tal modo di medicalizzare precocemente donne che non ne avrebbero realmente necessità.
Diabetes Res Clin Pract 2016;113:48-52
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