Pioglitazone, un farmaco da rivalutare?
A cura di Gabriella Piscitelli per il Gruppo AMD: Terapia personalizzata
7 aprile 2017 (Gruppo ComunicAzione) – Per anni i tiazolidinedioni (TZD), pioglitazone e rosiglitazone, hanno avuto un ruolo preminente nel trattamento del diabete tipo 2 (DMT2) in ragione dell’effetto insulino-sensibilizzante, dell’efficace e duraturo controllo glicemico e del basso rischio di ipoglicemia. I rischi noti della terapia con TZD – incremento ponderale, ritenzione idrica e, in una piccola percentuale di pazienti, insufficienza cardiaca – potevano essere contenuti attraverso una accurata selezione dei pazienti e il loro stretto monitoraggio.
Nel 2007, una metanalisi condotta da Steven E. Nissen e Kathy Wolski, indicò un aumento del rischio di infarto miocardico e morte nei pazienti trattati con rosiglitazone (1), destando preoccupazione nella comunità scientifica e portando a un quasi abbandono dell’intera classe dei TZD, benché i dati non indicassero un simile rischio col pioglitazone. Le preoccupazioni sulla sicurezza dei TZD furono poi rinforzate da studi osservazionali che suggerivano un aumento del rischio di cancro della vescica con pioglitazone e di fratture ossee con entrambe i farmaci. Nel tempo, i dati disponibili non hanno confermato un aumento del rischio di infarto col rosiglitazone né del rischio di cancro della vescica col pioglitazone. Ciononostante, l’utilizzo di questi farmaci è rimasto limitato e, nel 2010, l’EMA ha sospeso l’autorizzazione all’immissione in commercio del rosiglitazone in Europa.
Due articoli pubblicati nel 2016 suggeriscono che sia tempo di rivalutare l’uso del pioglitazone.
La steatosi epatica non su base alcolica (nonalcoholic fatty liver disease, NAFLD) e la steatoepatite non alcolica (nonalcoholic steatohepatitis, NASH) sono frequenti complicanze dell’obesità, dell’insulino-resistenza e del DMT2.
Kenneth Cusi (University of Florida, Florida; USA) e coll. (2) hanno condotto uno studio randomizzato in doppio cieco con pioglitazone (45 mg/die) vs. placebo per il trattamento della NASH in 101 pazienti con pre-diabete o DMT2 e NASH documentata con biopsia. I pazienti sono stati seguiti per 18 mesi in cieco e per i successivi 18 mesi in aperto. Nei pazienti trattati con pioglitazone è stata osservata una riduzione del 41% (IC 95%, 23-59%, p <0,001) dell’outcome primario (riduzione di almeno 2 punti nel punteggio di attività del NAFLD in due categorie istologiche senza aggravamento della fibrosi) rispetto ai controlli. Il 51% dei pazienti trattati con pioglitazone ha avuto risoluzione della NASH (p <0,001), una riduzione nel contenuto epatico di trigliceridi dal 19 al 7% (differenza vs. placebo -7 %, IC 95%, -10%, -4%; p <0,001) e un miglioramento della sensibilità epatica e periferica all’insulina. Lo studio è importante in quanto NAFLD e NASH hanno una elevata prevalenza nel DMT2 e sono associate nel lungo termine ad un rischio significativo di cirrosi e carcinoma epatocellulare. I risultati dello studio suggeriscono che il trattamento con pioglitazone possa essere preso in considerazione, in aggiunta al calo ponderale, nei pazienti con NASH. Sono tuttavia necessari studi più allargati e di lungo-termine prima che questa possa diventare una raccomandazione generale al trattamento con pioglitazone.
Nel secondo studio, Walter N. Kernan (School of Medicine, Yale University, Connecticut; USA) e coll. (3) hanno valutato il pioglitazone nella prevenzione dell’ictus cerebrale, fatale e non, e dell’infarto del miocardio (IMA) in pazienti non diabetici con insulino-resistenza, con pregresso ictus o attacco ischemico transitorio (transient ischemic attack, TIA), una classe di pazienti cioè ad alto rischio per successivi eventi cardiovascolari. Le attuali terapie di prevenzione si focalizzano sulla riduzione dei lipidi circolanti e della pressione arteriosa, e sulla coagulazione ma non hanno alcuna azione sulla insulino-resistenza che è un fattore di rischio indipendente per ictus e IMA. Gli investigatori si sono posti la domanda se il trattamento con un insulino-sensibilizzante, quale il pioglitazone, potesse ulteriormente prevenire gli eventi cardiovascolari.
Hanno condotto uno studio multicentrico, in doppio cieco (studio IRAS) in 3876 pazienti con recente ictus ischemico o TIA randomizzati a pioglitazone (45 mg/die) o placebo. Dopo un follow-up medio di 4,8 anni, 175 su 1939 pazienti (9%) trattati con pioglitazone e 228 su 1937 (11,8%) trattati con placebo hanno avuto un evento (HR per pioglitazone 0,76; IC 95% 0,62-0,93; p = 0,007). E’ stata inoltre osservata una minore progressione del diabete nei pazienti trattati con pioglitazone (HR 0,48; IC 95% 0,33-0,69; p <0,001). Come atteso, il trattamento con pioglitazone si è associato a un maggior incremento ponderale (>4,5 kg nel 52,2 vs. 33,7%; p <0,001) ed edema (35,6 vs. 24,9%; p <0,001) e a un aumento significativo di fratture ossee che hanno richiesto riduzione chirurgica o ospedalizzazione (5,1 vs. 3,2%; p = 0,003) rispetto al placebo.
In conclusione, questi due studi indicano che l’effetto insulino-sensibilizzante del pioglitazone può avere effetti benefici che vanno al di là del controllo glicemico. In entrambe gli studi, pioglitazone è stato generalmente ben tollerato, con un profilo di tollerabilità coerente con quello osservato nei pazienti diabetici nella pratica clinica. Poiché NAFLD/NASH e le malattie cardiovascolari sono comuni complicanze del DMT2, questi risultati suggeriscono che si dovrebbe riconsiderare il ruolo del pioglitazone nel miglioramento degli obiettivi globali del trattamento nei pazienti con DMT2.
1. N Engl J Med 2007;356(24):2457-71
2. Ann Intern Med 2016;165(5):305-15
3. N Engl J Med 2016;374(14):1321-3
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