Polveri sottili e temperatura ambientali: relazione col rischio di sindrome metabolica
A cura di Sara Colarusso
17 febbraio 2017 (Gruppo ComunicAzione) – L’inquinamento ambientale e la temperatura esterna sembrerebbero correlati a morbilità e mortalità cardiovascolari. La sindrome metabolica e le sue componenti (obesità addominale, elevata glicemia a digiuno, colesterolo LDL, ipertensione arteriosa e ipertrigliceridemia) sono strettamente correlate a patologia cardiovascolare ma le cause ambientali non sono ben indagate.
Un recente studio americano pubblicato sulla rivista American Journal of Epidemiology da Rachel S. Wallwork e coll. è fra i primi a condurre un’osservazione prospettica dell’associazione a lungo termine fra l’inquinamento ambientale, definito come polveri sottili con diametro massimo ≤2,5 µm (PM2.5), la temperatura esterna e lo sviluppo di sindrome metabolica o di sue componenti.
Sono stati osservati 587 soggetti di sesso maschile, età media 70 anni, fra il 1993 e il 2011, esenti da disfunzioni metaboliche all’anamnesi; sono stati rilevati misure antropometriche e valori pressori, livelli ematici di glicemia, colesterolo totale, HDL e trigliceridi.
Gli autori hanno riscontrato per ogni incremento di 1 µg/m3 PM2.5 all’anno un più alto rischio di sviluppare sindrome metabolica (HR 1,27, IC 95%:1,06-1,52), elevata glicemia a digiuno (HR 1,20, IC 95%: 1,03-1,39) e ipertrigliceridemia (HR 1,14, IC 95%: 1,00-1,30); anche l’aumento annuale della temperatura di 1° C è risultato correlato con un aumentato rischio di elevata glicemia a digiuno. I dati si sono mantenuti significativi pur considerando livelli PM2.5 al di sotto dei limiti raccomandati dall’agenzia americana della protezione ambientale (12-µg/m3).
Tali risultati sono in linea con le osservazioni di recenti studi in cui si è ipotizzato che l’esposizione a PM2.5 predisponga a disfunzioni metaboliche attraverso la produzione di radicali liberi, contribuendo a determinare insulino-resistenza e patologia vascolare. Mentre la correlazione fra la temperatura e i valori glicemici dipenderebbe dalla mobilizzazione del tessuto adiposo per la produzione di calore in relazione alle temperature esterne.
Evidenze recenti dimostrano inoltre come l’esposizione a lungo termine a PM2.5 comporti infiammazione sistemica, aumento dell’adiposità viscerale e insulino-resistenza, seppure si tratti di dati su modelli animali e necessitino pertanto di appropriate valutazioni sugli uomini.
Non è stata invece osservata dagli autori l’associazione fra inquinamento ambientale/temperatura esterna e obesità addominale, colesterolo HDL basso/ipertensione arteriosa; ciò potrebbe anche indicare che i risultati di tale studio non sono inficiati da possibili confondenti legati agli stili di vita obesigeni.
Nonostante la selettività del campione analizzato (solo maschi e prevalentemente di razza bianca), e i limiti dovuti a possibili bias nelle metodiche di misurazione dell’inquinamento ambientale e della temperatura, tali risultati indicano che nel tempo chi vive in ambienti con peggiore qualità dell’aria o più caldi della media, ha un rischio maggiore di sviluppare la sindrome metabolica e suoi componenti, e pertanto può presentare un maggiore rischio cardiovascolare.
Am J Epidemiol 2017;185(1):30-9
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