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Relazione tra variabilità di HbA1c e variazioni assolute di HbA1c e mortalità per tutte le cause nel diabete di tipo 2

27 aprile 2015 (congresso Medico) – Esiste una relazione diretta tra il continuo aumento della prevalenza del diabete di tipo 2 (DMT2) e l’incremento di morbilità e mortalità a esso correlate. Uno dei parametri utilizzati per ottimizzare la cura del diabete è quello di ridurre il livello di HbA1c fino a valori il più possibile prossimi alla normalità. Tuttavia, dopo la pubblicazione dello studio ACCORD, che ha rivelato gli effetti pericolosi di una terapia eccessivamente intensiva e soprattutto di un obiettivo di glicata eccessivamente ristretto, sono stati rivisti i target glicemici e di HbA1c personalizzandoli in base alle caratteristiche del singolo paziente.

Esisterebbe quindi, nel DMT2, una correlazione tra valori assoluti di HbA1c (sia elevati sia eccessivamente ridotti) e rischio di mortalità, mentre i dati disponibili in merito a variabilità dell’HbA1c e morbilità/mortalità non sono conclusivi. Recenti studi hanno dimostrato una relazione tra sviluppo di microalbuminuria, progressione della nefropatia, incidenza di malattie cardiovascolari e variabilità di HbA1c indipendentemente dal livello medio di HbA1c, mentre un’analisi trasversale dello studio multicentrico italiano Renal Insufficiency and Cardiovascular Events (RIACE) non ha dimostrato alcun impatto della variabilità di HbA1c sulle complicanze macrovascolari (1). Inoltre, tra le persone con DMT2, vi sono scarse evidenze di studi su popolazione per quanto riguarda l’associazione tra cambiamenti assoluti individuali dell’HbA1c e la mortalità. Per tale motivo, Mette V. Skriver e coll. (Danimarca) hanno valutato il rapporto tra mortalità e variabilità e/o variazione assoluta dell’HbA1c, in un ampio studio prospettico osservazionale su una popolazione danese affetta da DMT2 (follow-up medio: 6 anni) pubblicato recentemente sulla rivista BMJ (2).

Dai file-dati pubblici sono stati individuati 11205 cittadini danesi con DMT2 nel periodo compreso tra il 2001 e il 2006 che avessero almeno tre misurazioni di HbA1c: una iniziale, una al termine (circa 22-26 mesi più tardi) e una intermedia. La media iniziale di HbA1c era 7,3%, l’età media era 63,9 anni e il 48% dei partecipanti era di sesso femminile. La variabilità di HbA1c è stata definita come la media residua assoluta intorno alla linea che collegava il valore iniziale e quello di chiusura. Per il calcolo del rischio proporzionale di mortalità per tutte le cause sono stati utilizzati i modelli di Cox.

Lo studio ha dimostrato che sia l’elevata variabilità di HbA1c sia un calo assoluto di HbA1c sono risultati fattori di rischio per la morte tra le persone con un valore iniziale di HbA1c al di sotto dell’8%. Per gli individui con un valore iniziale al di sopra dell’8%, invece, solo la variazione assoluta di HbA1c è risultata associata con la mortalità, mentre la variabilità non lo era.

In conclusione, i risultati suggeriscono che per ridurre la mortalità del DMT2 è necessario un trattamento maggiormente individualizzato, mirando a ridurre anche la variabilità di HbA1c soprattutto per gli individui con valori ≤8%. Tuttavia, trattandosi solo di uno studio osservazionale, saranno necessarie ulteriori valutazioni che confermino tali risultati.

 

1) Cardiovasc Diabetol 2013;12:98

PubMed

2) BMJ Open Diabetes Res Care 2015;3:e000060

PubMed


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